Eco-ansia e disastri ambientali: L’Italia sotto stress psicologico

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  • Il 67% dei giovani globali è preoccupato per il cambiamento climatico.
  • Nel 2024, alluvioni in Emilia-Romagna hanno causato traumi psicologici.
  • Tra il 25% e il 50% delle persone colpite da disastri meteo sviluppa problemi mentali.

L’impatto crescente dei disastri ambientali sulla salute mentale

Nel corso dell’ultimo decennio, la ricerca scientifica ha concentrato un’attenzione significativa sugli effetti diretti dei cambiamenti climatici sulla salute umana, ma un aspetto ancor più critico e sottovalutato sta emergendo con forza: l’impatto profondo e pervasivo sulla nostra salute mentale. A partire dagli anni 2010, un campo di studi interdisciplinare, che fonde psicologia e scienze sociali, ha iniziato a esplorare le complesse interazioni tra la crisi ecologica e climatica e il benessere psicologico degli individui e delle comunità. Un termine chiave in questo contesto è “eco-ansia”, un costrutto psicologico che descrive le esperienze di ansia correlate alle crescenti crisi ambientali.

L’eco-ansia si manifesta principalmente come ansia climatica, una preoccupazione strettamente legata ai mutamenti climatici di origine antropica. Questi includono il riscaldamento globale, l’innalzamento dei livelli del mare e l’aumento della frequenza e dell’intensità di disastri naturali ed eventi meteorologici estremi, come le alluvioni che nel 2024 hanno colpito l’Emilia-Romagna, causando non solo danni materiali ma anche profondi traumi psicologici. Oltre all’ansia climatica, l’eco-ansia abbraccia un ventaglio più ampio di calamità ambientali, non sempre direttamente riconducibili ai cambiamenti climatici, quali la distruzione di interi ecosistemi, la perdita di biodiversità, l’inquinamento di massa a livello globale e la deforestazione. Alcuni studiosi definiscono l’eco-ansia come la “sensazione generalizzata che le basi ecologiche dell’esistenza siano in procinto di crollare”, un chiaro indicatore della portata esistenziale di tale preoccupazione.

Nonostante l’eco-ansia non sia ancora classificata come un disturbo d’ansia riconosciuto a livello clinico, bensì come una reazione comprensibile alla gravità della crisi ecologica, esistono numerosi casi in cui l’intensità di questa ansia rende necessario un intervento di supporto psicologico. L’APA (American Psychological Association) ha identificato questo fenomeno come una “paura cronica del destino ambientale”. Le manifestazioni di tale paura sono variegate: alcune persone sperimentano quotidianamente stati di dolore e disperazione, altre subiscono attacchi di panico improvvisi e, in situazioni estreme, alcune considerano persino di non avere figli a causa delle preoccupazioni sulla futura qualità della vita sul pianeta.

Statistiche recenti:
Il 67% dei giovani a livello globale è preoccupato per l’impatto del cambiamento climatico.
In Italia, il 70,3% dei ragazzi tra i 14 e i 19 anni esprime preoccupazione per i cambiamenti climatici [UNICEF].

Un esempio emblematico di questo impatto psicologico è la solastalgia, un concetto coniato dal filosofo ambientale australiano Glenn Albrecht. Questo termine descrive la nostalgia o il “mal di terra” che una persona prova quando il proprio ambiente domestico o il proprio territorio viene danneggiato o alterato irreversibilmente a causa di eventi climatici o interventi umani devastanti, come l’estrazione del carbone nella Upper Hunter Valley in Australia. I sintomi della solastalgia possono essere acuti o cronici, a breve o lungo termine, e includono dolore, nostalgia, stress, alienazione, depressione, ansia, senso di perdita, disturbi del sonno e, in alcuni casi, persino pulsioni suicide o un aumento dell’aggressività. Questi sintomi evidenziano un legame indissolubile tra la salute dell’ecosistema e quella umana, un aspetto cruciale nel panorama della psicologia moderna.

Alla luce dei recenti eventi atmosferici estremi, la presenza di eco-ansia nella popolazione attuale è cresciuta. Nel corso del 2023, si sono verificati eventi climatici notevoli che hanno scosso profondamente la nostra realtà ambientale quotidiana, tra cui il collasso del ghiacciaio della Marmolada e le catastrofiche inondazioni avvenute in Emilia-Romagna. Tali incidenti hanno comportato un incremento rilevante dell’eco-ansia, fenomeno registrato attraverso diversi sondaggi condotti sull’argomento. [State of Mind]. La percezione dell’eco-ansia si manifesta in modo diverso da individuo a individuo. Diversi elementi giocano un ruolo cruciale: l’età giovanile, ad esempio; la comunicazione diretta delle problematiche ambientali; e un’elevata fruizione di notizie preoccupanti riguardanti la crisi ecologica possono incrementare notevolmente questa vulnerabilità. Risulta evidente che le donne mostrano una predisposizione maggiore nel provare tali stati emotivi rispetto ai loro colleghi maschi. D’altra parte, gli attivisti e i professionisti del settore della sostenibilità vivono questa realtà con una forma accentuata di eco-ansia, ma riescono al contempo ad accrescere doti particolari, quali un profondo senso d’efficacia personale e opportunità concrete per intervenire attivamente nella questione. È indiscutibile come questo fenomeno stia crescendo esponenzialmente: l’eco-ansia continua infatti ad avere ripercussioni significative sul benessere psico-emotivo delle persone, portando così la comunità scientifica psicologica a indagare ulteriormente le interconnessioni fra mutamenti climatici ed equilibrio mentale.

Traumi collettivi e la violenza dei disastri ambientali

Il concetto di trauma collettivo, nel panorama della psicologia contemporanea, si riferisce a risposte psicologiche complesse che si manifestano in un’intera società a seguito di eventi traumatici di vasta portata. A differenza del trauma individuale, che si concentra sull’esperienza del singolo, il trauma collettivo non è una mera somma di esperienze individuali, ma piuttosto un fenomeno che permea la coscienza sociale, influenzando la cultura, i valori e la percezione del futuro di un’intera comunità. Nel contesto italiano, l’emergere di questo concetto è particolarmente rilevante, soprattutto in relazione ai disastri ambientali che hanno colpito il paese con frequenza crescente. Eventi come le alluvioni in Emilia-Romagna nel 2024, che hanno causato ingenti danni materiali e la perdita di vite umane, rappresentano esempi lampanti di come la violenza tossica dei disastri ambientali possa generare ferite psicologiche profonde e durature.

Statistiche sui traumi ambientali:
  • Tra il 25% e il 50% delle persone colpite da disastri meteorologici può risentire di effetti sulla salute mentale.
  • I dati suggeriscono una marcata escalation nella prevalenza di sintomi depressivi, disturbi legati allo stress post-traumatico, ansia e un incremento allarmante dei fenomeni di sciopero della vita, riscontrati fra coloro che hanno vissuto esperienze traumatiche dovute a calamità naturali.
    [APA].

La “sofferenza mentale con origine da trauma ambientale” è una questione sempre più dibattuta. Gli operatori sociali e psicologi hanno iniziato a documentare il “limbo” in cui vivono le vittime delle comunità colpite da tali eventi: una persistente paura per il futuro, aggravata dalla perdita di beni materiali, di mezzi di sussistenza e, in alcuni casi, di persone care. Questi eventi acuti scatenano sintomi intensi e diretti di ansia, stress post-traumatico e altre gravi complicazioni psicologiche. Tuttavia, la violenza dei disastri ambientali non si limita all’impatto immediato degli eventi estremi. Esiste anche una “violenza tossica” più subdola, legata al degrado ambientale generalizzato, all’inquinamento persistente e ai cambiamenti climatici graduali, che possono agire come fattori di stress cronico. Tale stress può innalzare i livelli di pressione sanguigna, contribuire a malattie cardiache, obesità e diabete, e indurre problemi emotivi, cognitivi e comportamentali.

Un aspetto particolarmente inquietante è il legame tra il surriscaldamento globale e l’aumento dei tassi di suicidio. Già nel 1880, si osservava una correlazione tra l’aumento delle temperature estive e l’incremento dei suicidi, una tendenza la cui regolarità era “troppo grande per essere attribuita al caso”. Studi più recenti, come quello del Burke e colleghi (2018), hanno confermato questa correlazione: un aumento di 1° Celsius della temperatura media mensile provoca un incremento del tasso di suicidi dello 0,7% negli Stati Uniti e del 2,1% in Messico. Questa correlazione è stata riscontrata in diverse contesti e demografie, indipendentemente dalla ricchezza o dalla geografia, suggerendo una causalità diretta.
Le statistiche mostrano la gravità della situazione: in India, oltre 60.000 casi di suicidio negli ultimi 30 anni sono stati registrati, spesso legati a raccolti scarsi dovuti alla variabilità climatica, che costringe gli agricoltori nell’indebitamento. Situazioni analoghe si riscontrano tra le popolazioni indigene, come gli Inuit e i Sami, le cui vite tradizionali sono intrinsecamente connesse alla terra, al mare e al ghiaccio artico. La modificazione di questi ecosistemi porta a un aumento dell’ansia e della depressione, con un giovane allevatore di renne Sami su tre in Svezia che ha considerato il suicidio. In queste comunità, l’APA ha riscontrato anche un aumento dell’uso di droghe e alcol, impiegati per colmare il tempo “vuoto” che in precedenza sarebbe stato dedicato ad attività tradizionali a terra. Questi esempi evidenziano come il disfacimento ambientale non sia solo una questione ecologica o economica, ma una profonda crisi umana che mina la salute mentale e la coesione sociale di intere popolazioni.

Eco-ansia in Italia: Riconoscimento e risposte psicologiche

In Italia, la crisi climatica ed ecologica sta emergendo non più come una questione puramente scientifica o politica, ma come una vera e propria emergenza di salute pubblica. L’intensificarsi di eventi climatici estremi e le loro conseguenze disastrose, come dimostrato dalla media di oltre sette eventi estremi al giorno nel 2024, stanno avendo ripercussioni significative sia sulla salute fisica che su quella mentale della popolazione. Oltre all’aumento di disturbi psichiatrici riconosciuti, quali il Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) e la depressione maggiore, si registrano con crescente frequenza intense reazioni psicologiche anche in chi non è stato direttamente colpito dagli eventi estremi. Queste reazioni includono ansia, senso di lutto e impotenza, fenomeni che la psicologia climatica sta cercando di comprendere e affrontare.

La “psicologia climatica” è una disciplina emergente che studia come gli esseri umani percepiscono, elaborano e rispondono alla crisi climatica. Un contributo fondamentale in questo campo è il Manuale di Psicologia Climatica della Climate Psychology Alliance (CPA), recentemente tradotto in italiano. Questo manuale offre una guida preziosa per comprendere non solo le risposte psicologiche alla crisi, ma anche le barriere che ostacolano l’azione climatica, fornendo supporto a chi soffre di ansia e preoccupazione per il futuro del pianeta. Tra i concetti chiave trattati figurano meccanismi psicoanalitici come la negazione e altre difese psicologiche, che portano molte persone a minimizzare il problema o a evitarne il pensiero, un fenomeno noto come “disimpegno psicologico”. Si esplorano anche processi cognitivi come la catastrofizzazione, una modalità di pensiero che genera ansia e paura, distorcendo l’elaborazione delle informazioni e portando a credere che lo scenario peggiore sia il più realistico.

Nel contesto della ricerca sugli effetti psicologici del cambiamento climatico, è stato introdotto il termine “eco-distress” per descrivere il disagio emotivo specifico legato alla crisi ecologica e climatica, evidenziando un rischio significativo per la salute mentale. L’eco-ansia e l’ansia climatica, pur essendo termini spesso usati in modo intercambiabile, presentano sottili differenze: l’eco-ansia si riferisce a una preoccupazione generalizzata per le condizioni ambientali, mentre l’ansia climatica enfatizza l’angoscia specifica derivante dalla consapevolezza dell’impatto umano e dalla percezione di una mancanza di controllo sulla situazione. Queste “eco-emozioni” possono variare da risposte adattive che promuovono comportamenti pro-ambientali e attivismo, fino a contribuire a esiti negativi sulla salute mentale, come sintomi di ansia e depressione.

L’eco-ansia è particolarmente diffusa tra i giovani: uno studio su 10.000 giovani in dieci paesi (tra 16 e 25 anni) ha rivelato che la maggior parte prova ansia e angoscia per la crisi climatica, sentendo anche un forte senso di tradimento dovuto all’inazione dei governi. In Italia, i primi studi hanno confermato questo fenomeno, con la validazione della Hogg Eco-Anxiety Scale (HEAS-13) in italiano (Rocchi et al., 2023) e del Eating-Related Eco-concern Questionnaire (Tecuta et al., 2024). Questi studi evidenziano un legame tra eco-ansia e comportamenti pro-ambientali, nonché tra preoccupazioni ecologiche e scelte alimentari sostenibili. Tuttavia, emerge anche che le preoccupazioni ecologiche possono correlare con atteggiamenti rigidi e disfunzionali nell’ambito alimentare, sottolineando la complessità della relazione tra ecologia e salute mentale.

Al di là dell’eco-ansia, il manuale della CPA introduce concetti come la compassione e la speranza radicale, l’identità ambientale e i valori, ponendo l’accento sulla giustizia climatica e la responsabilità sociale. Il manuale è un punto di partenza per psicologi, educatori e attivisti italiani per sviluppare interventi “climate psychology-informed”, superando la mancanza di linee guida ufficiali. Questo è cruciale in un contesto dove il dibattito sul clima è spesso politicizzato, e l’approccio della psicologia climatica può aiutare a superare lo stallo emotivo e politico, favorendo l’azione collettiva e una transizione equa e sostenibile. Il 72% degli italiani, secondo un’indagine dell’Istituto Noto elaborata da Repubblica, si mostra preoccupato per i cambiamenti climatici, evidenziando un ampio disagio che l’eco-ansia acuisce, soprattutto negli adolescenti, amplificando l’incertezza sul futuro. Volontariato e attivismo ambientale sono visti come vie per rispondere a questi bisogni, ricostruendo reti solidali e promuovendo il benessere psicologico collettivo contro il senso di impotenza.

Il percorso verso la resilienza: Comprendere e agire di fronte al cambiamento climatico

Nel cuore della psicologia comportamentale, risiede la comprensione di come le nostre reazioni emotive e cognitive di fronte a stimoli esterni modellino le nostre azioni. Quando parliamo di crisi climatica, una nozione fondamentale è quella della desensibilizzazione progressiva, un meccanismo attraverso il quale, se esposti ripetutamente a informazioni allarmanti senza la possibilità percepita di agire, possiamo finire per smorzare la nostra risposta emotiva. Inizialmente, l’eco-ansia o la solastalgia possono generare un forte disagio, ma con il tempo, se questa ansia non viene canalizzata in azioni concrete e significative, il nostro cervello potrebbe “spegnersi” per proteggersi dal carico emotivo eccessivo. È un meccanismo di difesa, ma che rischia di portarci all’apatia, all’impotenza appresa, un silenzioso e pericoloso fattore che blocca ogni tentativo di agire per un futuro migliore. Questa è una delle basi della psicologia cognitiva attuale: la percezione o l’assenza di percezione di efficacia. Uno dei concetti distintivi provenienti dal campo della psicologia cognitiva è senza dubbio quello riguardante la coerenza narrativa. Questa nozione si riferisce alla capacità degli individui d’integrare tra loro le esperienze traumatiche – in particolare quelle associate ai disastri ambientali – all’interno delle proprie storie personali in modo coerente e significativo. In seguito a eventi catastrofici quali alluvioni o periodi prolungati di siccità, molte persone potrebbero trovarsi a mettere in discussione l’equilibrio del loro ambiente quotidiano, causando così uno smembramento della propria biografia personale. Pertanto, ripristinare tale coerenza risulta fondamentale tanto sul piano individuale quanto su quello collettivo ed è da considerarsi un intervento terapeutico imprescindibile. Ciò implica non soltanto affrontare il dolore causato dalle perdite subite e le ansie relative al domani, ma comporta anche un tentativo attivo nel riqualificare queste esperienze, considerandole nell’ambito di una trama più vasta che abbraccia resilienza e collaborazioni attive nel sociale. Se gestite nella giusta maniera, le emozioni negative possono fungere da impulsi decisivi per modifiche significative: la rabbia potrebbe indurre alla mobilitazione sociale; il dolore promuovere lo sviluppo dell’empatia e della solidarietà; mentre sentimenti complessi come quelli legati alla vergogna possono incentivare scelte ecologicamente responsabili nelle nostre vite quotidiane.

La sfida per ognuno di noi, in questo scenario di profondo e rapido cambiamento, è trovare il proprio spazio in questa narrazione. Non si tratta solo di riconoscere la propria eco-ansia o solastalgia, ma di comprendere come queste emozioni, sebbene dolorose, possano essere una bussola. Esse ci indicano la direzione di un cambiamento necessario, sia a livello personale che comunitario. Limitare l’esposizione passiva alle notizie allarmanti, senza un accompagnamento attivo di elaborazione e azione, è un primo passo. Partecipare a gruppi di supporto, come le “Carbon Conversations” o utilizzare risorse come “Project Inside Out”, mette in luce il potere del supporto sociale e dell’impegno condiviso. Attivarsi in forme collettive, dal volontariato ambientale alla semplice condivisione di conoscenze e strategie, è la chiave per trasformare la paura cronica in speranza attiva. Il ripristino di un contatto significativo con la natura, la partecipazione a iniziative di sostenibilità o di riqualificazione ambientale, non solo allevia il senso di impotenza ma rafforza anche l’identità ambientale e la percezione di autoefficacia. In un mondo in evoluzione, la consapevolezza psicologica diventa il nostro alleato più prezioso per costruire un futuro resiliente, dove l’ansia per il destino ambientale si trasforma in un catalizzatore per l’azione e per una ritrovata coerenza del nostro essere individui in un ecosistema più grande.

Glossario:
  • Eco-ansia: ansia e preoccupazione per il degrado ambientale e i cambiamenti climatici.
  • Solastalgia: nostalgia o dolore provocato dalla degradazione dell’ambiente domestico o dalla sua trasformazione.
  • DPTD: Disturbo Post-Traumatico da Stress, condizione psicologica che può seguire esperienze traumatiche.

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