- Il 30% dei veterani di guerra soffre di PTSD.
- Il 10-20% delle persone esposte a traumi sviluppa PTSD.
- Il 56,1% degli italiani ha subito almeno un evento traumatico.
- Traumi di guerra: rischio PTSD al 12,2%, violenza sessuale allo 0,8%.
- L'EMDR è una tecnica promettente per il PTSD.
L’impegno instancabile dei soccorritori, spesso esposti a scenari di profondo disagio e violenza, nasconde un costo umano significativo: il trauma psicologico, in particolare il disturbo da stress post-traumatico (PTSD), e le sue ripercussioni sulla salute fisica, con un crescente interesse verso gli eventi cardiaci. In Italia, sebbene manchino statistiche esaustive dedicate specificamente ai soccorritori, studi internazionali come quelli del NIMH negli Stati Uniti indicano che categorie come i veterani di guerra (con un 30% dei veterani del Vietnam affetti da PTSD) e i soccorritori stessi sono altamente a rischio di sviluppare questa condizione.
L’esposizione ripetuta a eventi fortemente stressanti, siano essi disastri naturali, incidenti gravi o atti di violenza, crea un terreno fertile per lo sviluppo del PTSD. Nonostante il fatto che molte persone riescano ad affrontare lo shock immediato in modo efficace, vi è una frazione notevole della popolazione – soprattutto tra i soggetti professionalmente vulnerabili – che non consegue mai l’agognata normalizzazione del proprio stato emotivo. Questo disagio può persistere per più di trenta giorni ed esercitare un’influenza negativa sulla routine quotidiana così come sulle relazioni professionali e sociali.
Il fenomeno del disturbo supera quindi i limiti del semplice turbamento emotivo; esso prende forma tramite una intricatissima serie di sintomi: dalla risperimentazione dell’evento traumatico, manifestata da flashback e incubi inquietanti all’evitamento persistente, nei confronti delle situazioni o dei luoghi correlati al trauma stesso. Si assiste inoltre a un’interferenza significativa nell’‘alterazione negativa dei pensieri e delle emozioni’: sensi di colpa rielaborati fino alla nausea sembrano accompagnarsi ad esperienze tortuose legate alla memoria. Inoltre emerge frequentemente un fattore estremamente critico: l’‘iperattivazione fisiologica’. Questo stato patologico affligge gli individui rendendoli costantemente tesi dal timore maestrale rappresentato dall’ansia perenne — irritabilità inclusa — creando così anche impedimenti nel regolare riposo notturno.
Questo protrarsi dell’iperattivazione genera complicanze degne d’attenzione; essa infatti conduce spesso a uno stadio perpetuo d’allerta – assolutamente non naturale – travasandosi infine in quella ‘tensione cronica sul corpo’. È proprio questa condizione da scrutare affinché possano emergere interrogativi legittimi circa le relazioni potenzialmente dannose verso la salute cardiovascolare generale degli individui coinvolti.
Studi scientifici evidenziano come lo stress emotivo cronico sia associato a una maggiore suscettibilità alla mortalità cardiovascolare, influenzando negativamente il sistema renina-angiotensina-aldosterone e il sistema nervoso simpatico. In contesti come quello italiano, dove uno studio ha rivelato che oltre la metà della popolazione (56,1%) è stata esposta ad almeno un evento traumatico, e con un rischio di PTSD che varia notevolmente a seconda della tipologia di evento (dal 12,2% per traumi legati alla guerra allo 0,8% per violenza sessuale), l’attenzione verso la salute dei soccorritori diventa cruciale. La prevenzione non è solo una questione di protocolli di intervento, ma anche un imperativo etico per salvaguardare il benessere di coloro che sono in prima linea.
Meccanismi biologici del trauma e le sue implicazioni cardiache
La comprensione del trauma va oltre la sua dimensione psicologica, poiché si radica profondamente in meccanismi neurobiologici complessi che possono avere un impatto diretto sulla salute fisica, in particolare sul sistema cardiovascolare. L’esposizione a eventi traumatici altera le funzioni di diverse aree cerebrali, tra cui l’amigdala, l’ippocampo e la corteccia prefrontale.
L’amigdala, centro di elaborazione delle emozioni, in particolare la paura, diventa iperattiva, mantenendo il corpo in uno stato di allerta costante. L’ippocampo, fondamentale per la memoria, può subire alterazioni che portano a difficoltà nel consolidamento dei ricordi traumatici, manifestandosi in flashback o amnesia. La corteccia prefrontale, responsabile del controllo emotivo e della regolazione dello stress, può mostrare una ridotta attività, compromettendo la capacità di gestire le risposte allo stress.
Queste disfunzioni si traducono in un’attivazione cronica dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), il principale sistema di risposta allo stress dell’organismo. Un’iperattività di questo asse porta a un’eccessiva secrezione di cortisolo, l’ormone dello stress, che nel lungo termine può essere dannoso per il cuore e i vasi sanguigni. L’eccessiva esposizione al cortisolo può contribuire all’infiammazione sistemica, alla disfunzione endoteliale e all’aumento della pressione sanguigna, tutti fattori di rischio noti per le malattie cardiovascolari.
Inoltre, la disregolazione del sistema nervoso autonomo, con un’iperattivazione del sistema simpatico (quello che prepara il corpo alla “lotta o fuga”) e una riduzione dell’attività parasimpatica (quella che favorisce il rilassamento), predispone a una maggiore incidenza di eventi cardiaci.
La “sindrome da cuore spezzato” (cardiomiopatia da stress) è un esempio lampante di come stress emotivo acuto possa indurre disfunzione cardiaca reversibile. Sebbene questa sindrome sia spesso scatenata da eventi isolati di forte stress, la ricerca suggerisce che anche lo stress cronico associato al PTSD possa contribuire a un aumento del rischio di infarto miocardico, ictus e altri eventi cardiovascolari avversi. Uno studio menzionato negli articoli evidenzia come un maggior numero di eventi cardiaci sia riscontrato in persone che hanno subito traumi.
La gestione di questi rischi richiede un approccio integrato che non si limiti alla sola cura dei sintomi psicologici, ma che consideri anche le profonde interazioni tra mente e corpo.

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Strategie di intervento e resilienza: un percorso necessario per la salute dei soccorritori
Strategie d’azione e capacità di recupero: un cammino imprescindibile per il benessere degli operatori di soccorso
Di fronte all’impatto devastante che il trauma e il PTSD possono avere sulla salute dei soccorritori, diventa imperativo implementare strategie di intervento efficaci e mirate a promuovere la resilienza. Le indicazioni generali per la tutela della salute mentale, come limitare l’esposizione ai media allarmistici o discutere apertamente delle proprie emozioni, sebbene valide, non sono sufficienti per chi affronta quotidianamente scenari traumatici.
Per i soccorritori, è fondamentale un approccio più strutturato che preveda il supporto psicologico e la formazione specifica.
Tra le terapie più accreditate e con una solida base di evidenze scientifiche per il trattamento del PTSD spiccano l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) e la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) focalizzata sul trauma.
- EMDR: riduce l’impatto emotivo negativo dei ricordi traumatici.
- CBT: modifica i pensieri disfunzionali e i comportamenti di evitamento.
L’EMDR agisce sulla rielaborazione dei ricordi traumatici, aiutando il cervello a integrarli in modo più adattivo, riducendo l’impatto emotivo negativo. La CBT, invece, si concentra sull’identificazione e la modifica dei pensieri disfunzionali e dei comportamenti di evitamento associati al trauma, fornendo strategie pratiche per affrontare i trigger e le reazioni fisiologiche. La letteratura scientifica, seppur con un minor numero di studi mirati specificamente ai soccorritori rispetto ad altre categorie, suggerisce una significativa efficacia di questi trattamenti.
Oltre agli interventi terapeutici, è cruciale adottare misure preventive e di supporto continuo. Le indicazioni di associazioni come la Croce Rossa Italiana, sebbene non dettagliate negli articoli forniti, ribadiscono l’importanza di proteggere sé stessi, salvaguardare la propria incolumità mentale e condividere le esperienze con i colleghi e con esperti.
Questo senso di comunità e la possibilità di discutere apertamente successi e fallimenti sono elementi chiave per accettare i propri limiti e chiedere aiuto quando necessario. La formazione continua sulle dinamiche del trauma, sui segnali di disagio e sulle strategie di coping può rafforzare la resilienza individuale e di squadra.
In sintesi, un approccio olistico che combini interventi psicoterapeutici evidence-based, supporto tra pari e formazione specifica rappresenta la strada più efficace per tutelare la salute mentale e fisica dei soccorritori, permettendo loro di continuare a svolgere il loro prezioso lavoro con meno oneri invisibili.
Oltre la superficie: riconoscere e affrontare il trauma invisibile
È affascinante, e al tempo stesso inquietante, come la scienza stia sempre più svelando le profonde interconnessioni tra la nostra mente e il nostro corpo, specialmente quando si parla di esperienze traumatiche. La psicologia cognitiva ci insegna che non è l’evento in sé a definire il trauma, ma la sua elaborazione soggettiva. Ciò significa che la stessa situazione può essere vissuta e memorizzata in modi molto diversi da persona a persona.
Per i soccorritori, esposti a eventi estremi, il rischio è che il cervello, nel tentativo di proteggersi, finisca per “incepparsi” in schemi di reazione e pensiero disfunzionali. Questo è dove la psicologia comportamentale interviene, mostrandoci come i comportamenti di evitamento, l’ipervigilanza e le alterazioni dell’umore diventino risposte apprese, spesso inconsapevoli, a un ambiente percepito come costantemente minaccioso, anche quando il pericolo è cessato.
Ma c’è di più. La medicina moderna, e in particolare la neurobiologia, ci sta aprendo gli occhi su come il trauma, lungi dall’essere solo un fantasma nella mente, lasci impronte profonde nel nostro sistema nervoso. Sappiamo che l’amigdala, la nostra “sentinella della paura”, può rimanere “accesa” anche molto tempo dopo che l’evento minaccioso è passato. Questo stato di allerta costante, lungi dall’essere una semplice sensazione, si traduce in una vera e propria tempesta ormonale e neuronale che, se prolungata, può fiaccare il nostro cuore.
La disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), con l’eccessiva produzione di cortisolo, e lo squilibrio del sistema nervoso autonomo, con un predominio del ramo simpatico, indeboliscono progressivamente il sistema cardiovascolare, rendendoci più vulnerabili a eventi avversi. Questo ci porta a una riflessione profonda: quanto siamo consapevoli, come società, del costo che le nostre emergenze e le nostre catastrofi impongono su chi è in prima linea? È imprescindibile non limitarsi a esprimere gratitudine verso i soccorritori per le loro azioni, ma altresì instaurare e mantenere strutture che favoriscano il superamento dei traumi vissuti. Questi sistemi devono essere volti alla guarigione e alla tutela completa della salute degli operatori del soccorso. Infatti, si deve considerare come la forza d’animo dimostrata da questi professionisti rappresenti un indice diretto della robustezza collettiva della nostra società.
Glossario
- PTSD: Disturbo da Stress Post-Traumatico, una condizione psicologica che può svilupparsi a seguito di esperienze traumatiche.
- EMDR: Eye Movement Desensitization and Reprocessing, una terapia per il trattamento del trauma mediante la desensibilizzazione e rielaborazione.
- HPA: Asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene, un importante sistema di risposta allo stress nel corpo.