E-Mail: [email protected]
Cpr Torino: Abusi e psicofarmaci, la situazione è peggiore del carcere?

- 30 su 53 detenuti nel CPR di Torino assumono psicofarmaci.
- Alcuni trattenuti risiedono in Italia da oltre 35 anni.
- La struttura è descritta come peggiore del carcere da un giovane migrante.
Le attuali circostanze che caratterizzano il Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) situato a Torino pongono rilevanti interrogativi sul rispetto della dignità umana e sullo stato psicologico degli immigrati trattenuti. Sebbene un gruppo formato da sei migranti sia stato recentemente rimandato in Albania come parte delle misure adottate dal governo italiano, è evidente che le condizioni esistenti all’interno del CPR in corso Brunelleschi siano tutt’altro che soddisfacenti. L’alto costo dei beni necessari al sostentamento quotidiano, insieme alle difficoltà nella comunicazione con il mondo esterno e alla totale assenza d’iniziative ricreative, offrono uno scenario contraddistinto da un marcato disagio sociale ed emotivo. L’impossibilità d’interagire attivamente amplifica lo stress psicologico vissuto dai detenuti già soggetti a fragilità e vulnerabilità sociale; è nota infatti la presenza crescente tra loro di disturbi mentali sia cronici sia acuitisi sotto pressione nelle circostanze carcerarie.
Inoltre, una recente verifica condotta dagli esponenti dell’organizzazione Avs ha documentato immagini inquietanti riguardo al CPR: fra i 53 detenuti monitorati nel centro emergono statistiche sconcertanti poiché ben 30 persone risulterebbero sotto trattamento farmacologico notturno tramite psicofarmaci. Tale condizione mette seriamente in discussione se tale tipo d’imprigionamento possa realmente armonizzarsi con quelle esigenze cognitive ed emotive indispensabili nei percorsi terapeutici; anche perché, secondo quanto previsto dalla legislazione attuale, chi necessita assistenza psichiatrica o convive con dipendenze dovrebbe teoricamente trovarsi escluso dall’esperienza carceraria. Attualmente, circa sessanta persone sono ristrette in sole due aree della struttura, a seguito della chiusura della zona “viola” dopo una rivolta. I restanti tre blocchi sono in fase di ristrutturazione.
Tentativi di Suicidio e Autolesionismo: Segnali di Profondo Disagio
Nel contesto del CPR si registrano testimonianze che segnalano una preoccupante serie di eventi legati a tentativi di suicidio e pratiche autolesionistiche. Un detenuto è ritornato nella struttura dopo aver necessitato d’intervento medico per aver ingerito oggetti pericolosi come lamette e batterie; ora sta esprimendo il suo dissenso attraverso uno sciopero della fame. È notevole sottolineare come molti dei trattenuti abbiano radici storiche in Italia, con alcuni anche oltre i 35 anni di residenza; addirittura alcuni hanno prole avente diritto alla cittadinanza italiana. Particolarmente allarmante appare la situazione riguardante un giovane tunisino: entrato nel sistema come minorenne non accompagnato, ha compiuto il diciottesimo anno ed è attualmente confinato all’interno del CPR.

La situazione descritta da chi ha visitato il CPR è di un disagio mai visto prima. Un ragazzo nigeriano ha trasformato il refettorio in un altarino con bicchieri e succhi di frutta, un gesto disperato che evidenzia la sua condizione di vulnerabilità. Alcuni degli “ospiti” provengono dal CPR di Brindisi, dopo la morte di un cittadino nigeriano, mentre altri sono stati trasferiti in Albania. Molti provengono da Paesi senza accordi di rimpatrio con l’Italia, sollevando dubbi sull’efficacia e sull’umanità di queste procedure.
- È confortante vedere che si sollevano queste questioni... 👍...
- Davvero una situazione inaccettabile, non possiamo tollerare......
- E se il problema fosse la concezione stessa di CPR...? 🤔...
Un Sistema Disumano: Criticità e Mancanze
La struttura, riaperta dopo lavori di ristrutturazione, non sembra aver subito miglioramenti significativi. L’assenza di una sezione dedicata all’assistenza sanitaria, precedentemente chiamata “ospedaletto”, è una grave mancanza. La situazione all’interno del CPR è descritta come peggiore di quella carceraria, dove almeno esistono regole e procedure chiare. Nel CPR, l’incertezza e la mancanza di informazioni sui propri diritti contribuiscono a un senso di smarrimento e disperazione. Un giovane migrante, con esperienza in altri CPR, ha definito quello di Torino il peggiore in cui sia mai stato rinchiuso.
Oltre le Mura: La Salute Mentale al Centro del Dibattito
La questione emersa dal CPR di Torino solleva interrogativi significativi riguardo alla salute mentale degli individui migranti o detenuti nelle suddette strutture. L’uso diffuso degli psicofarmaci, insieme ai drammatici episodi di tentati suicidi e autolesionismo, evidenzia l’esistenza di una condizione interna complessa da affrontare con urgenza. Un cambiamento radicale nell’approccio è essenziale: è imprescindibile promuovere pratiche che rispettino con umanità il valore intrinseco dell’individuo, tenendo presente le loro fragilità e necessità particolari. Focalizzare l’attenzione sulla salute mentale deve risultare prioritario non solo nei centri per immigrati ma anche nelle strategie d’accoglienza e integrazione.
Permettetemi una riflessione condivisa: ciò che la psicologia cognitiva sostiene sottolinea come il contesto abitativo influisca notevolmente sulle nostre emozioni ed elaborazioni mentali. Pensate a cosa significhi trovarsi confinati in uno spazio privo di interazioni stimolanti; lì dove ogni forma comunicativa viene ostacolata mentre si assiste al disfacimento della speranza personale — comprensibilmente tale condizione impatta sulla psiche.
In questo scenario si introduce quindi il concetto evoluto della resilienza traumatica. Le reazioni al trauma variano notevolmente tra gli individui; mentre alcuni possono manifestare disturbi mentali, altri dimostrano una capacità straordinaria di affrontare le difficoltà e progredire nella propria vita. È fondamentale riconoscere che la resilienza non deriva da talenti innati, ma deve essere attivamente coltivata attraverso esperienze favorevoli ed empatiche.
Ciò ci porta a riflettere: quali piccole azioni possiamo intraprendere affinché il nostro contesto diventi più accogliente e inclusivo? Talvolta bastano semplicemente gesti come un sorriso amichevole o parole confortanti; tuttavia, l’impegno va oltre i gesti quotidiani: è cruciale lavorare concretamente alla difesa dei diritti dei soggetti vulnerabili. La protezione della nostra salute mentale deve essere considerata come una priorità indiscutibile tanto a beneficio personale quanto della collettività intera.
Correlati
Soldati israeliani: scopri come Gaza lascia cicatrici indelebili
Un’analisi approfondita rivela l’aumento dei casi di PTSD e le…
Cpr torino: stop all’orrore, salute mentale prima di tutto
L’ispezione nel CPR di Torino rivela condizioni allarmanti e un…