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Cpr Albania: perché le condizioni disumane sollevano un allarme sui diritti umani?

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  • Migranti privati di orologi e telefoni, con perdita della cognizione del tempo.
  • Uso smodato di psicofarmaci, somministrati "su richiesta" senza valutazione medica.
  • Nei primi giorni, 2,7 tentativi di suicidio o autolesionismo al giorno.

Un sistema di detenzione disumano

Il progetto del governo italiano di affidare la gestione dei migranti a centri esterni, i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) in Albania, si sta rivelando un insuccesso sul piano umano. Presentato con notevoli aspettative, il CPR di Gjader è diventato un luogo di patimento e disperazione, dove i diritti fondamentali delle persone trattenute vengono regolarmente calpestati. I racconti raccolti da rappresentanti parlamentari, avvocati e organizzazioni per la tutela dei diritti umani delineano un quadro inquietante di soprusi, isolamento e scarsa assistenza adeguata.

Uno degli aspetti più preoccupanti è la perdita della cognizione del tempo. Ai migranti vengono sottratti orologi e telefoni cellulari, e l’assenza di informazioni su ora e data genera un senso di spaesamento e annullamento. Questo, unito all’isolamento e alla mancanza di contatti esterni, contribuisce a un veloce peggioramento della salute mentale. I parlamentari che hanno visitato il centro hanno riferito di persone che chiedevano insistentemente il giorno e l’ora, segnale di una profonda disconnessione dalla realtà.

Un altro grave problema è l’uso smodato di psicofarmaci. Le testimonianze descrivono una somministrazione “su richiesta”, con dosaggi aumentati a domanda dei detenuti senza un’appropriata valutazione medica. Questo abuso di farmaci viene impiegato come mezzo per sedare e tenere sotto controllo i migranti, anziché per alleviare le loro sofferenze. Le conseguenze di tale pratica possono essere devastanti, portando allo sviluppo di dipendenze e danni permanenti alla salute mentale.

Autolesionismo e tentativi di suicidio: un grido di disperazione

Le condizioni inumane del CPR di Gjader hanno causato un preoccupante aumento di episodi di autolesionismo e tentativi di suicidio. Nei primi giorni di funzionamento del centro, si sono registrati in media 2,7 tentativi di suicidio o atti di autolesionismo al giorno. Queste cifre drammatiche sono un chiaro indicatore della profonda disperazione e del trauma psicologico che i migranti stanno affrontando. La carenza di assistenza medica appropriata e la difficoltà nel raggiungere l’ospedale più vicino, situato a Tirana a oltre un’ora di distanza, mettono a repentaglio la vita delle persone recluse.

Le storie dei migranti confinati nel CPR di Gjader sono strazianti. Un uomo, sopravvissuto a un tentativo di suicidio, chiede solo di essere rimpatriato nel suo paese d’origine, l’Algeria, per poter stare vicino alla madre anziana e malata. Un altro, tossicodipendente e con problemi psichiatrici, porta sul corpo i segni delle torture subite in Libia e le ferite di un naufragio in cui hanno perso la vita 75 persone. Malgrado le sue gravi condizioni di salute, non ha ricevuto cure adeguate e ha contratto la tubercolosi e l’HIV.

Questi sono solo alcuni esempi delle sofferenze che si consumano nel CPR di Gjader. Le testimonianze raccolte svelano un sistema che criminalizza l’immigrazione e nega i diritti fondamentali delle persone. La mancanza di trasparenza e la difficoltà di accesso al centro per i parlamentari e le organizzazioni per i diritti umani alimentano un clima di opacità e impunità.

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Le falle legali e le difficoltà operative

Il “modello Albania” è stato fin da subito oggetto di critiche e contestazioni legali. I tribunali italiani hanno più volte sospeso i trasferimenti di migranti nel centro di Gjader, sollevando dubbi sulla compatibilità di questa misura con la normativa europea e con il diritto internazionale. In particolare, è stata contestata l’applicazione automatica del criterio del “paese di origine sicuro”, che non tiene conto delle specifiche condizioni di rischio e vulnerabilità dei singoli individui.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è espressa sulla questione, statuendo che uno Stato può essere considerato sicuro solo quando i rischi di persecuzioni, violenze e violazioni dei diritti sono assenti “in modo generale e uniforme” su tutto il territorio nazionale. Questo significa che non è sufficiente basarsi sulla lista dei paesi sicuri stilata dal governo, ma è necessario valutare caso per caso la situazione di ogni singolo richiedente asilo.

Un altro problema riguarda il rimpatrio dei migranti a cui viene negata la richiesta di asilo. Per far funzionare il meccanismo, sono necessari accordi con i paesi di origine e capacità logistiche adeguate. Tuttavia, i dati dimostrano che solo una piccola percentuale dei decreti di espulsione emessi in Italia viene effettivamente eseguita. Nel caso dell’accordo con l’Albania, si aggiunge la difficoltà di coordinarsi con un paese terzo, il che rischia di prolungare ulteriormente i tempi di detenzione e di creare situazioni di stallo.

Un sistema fallimentare che mette a rischio la vita delle persone

Il CPR di Gjader è diventato un simbolo del fallimento delle politiche migratorie del governo italiano. Un sistema che, anziché offrire protezione e assistenza ai migranti, li rinchiude in un limbo legale e li espone a gravi rischi per la loro salute fisica e mentale. Le testimonianze raccolte da parlamentari, avvocati e organizzazioni per i diritti umani sono un grido d’allarme che non può essere ignorato.

È necessario che le autorità italiane e albanesi intervengano immediatamente per garantire il rispetto dei diritti fondamentali delle persone trattenute nel CPR di Gjader. È necessario fornire assistenza medica e psicologica adeguata, garantire la trasparenza e l’accesso al centro per i parlamentari e le organizzazioni per i diritti umani, e porre fine all’uso eccessivo di psicofarmaci. Soprattutto, è necessario ripensare radicalmente le politiche migratorie, abbandonando la logica della detenzione e della repressione e adottando un approccio basato sull’accoglienza e l’integrazione.

Oltre il Muro: Riflessioni sulla Dignità Umana e la Salute Mentale

La vicenda dei CPR in Albania ci pone di fronte a interrogativi profondi sulla nostra umanità e sulla nostra capacità di accogliere e proteggere chi è più vulnerabile. La psicologia cognitiva ci insegna che la percezione del tempo e dello spazio è fondamentale per la nostra identità e per il nostro senso di appartenenza. Privare una persona di questi riferimenti significa negarle la sua stessa umanità, ridurla a un numero, a un oggetto da controllare e gestire.

Inoltre, la psicologia comportamentale ci mostra come l’isolamento e la deprivazione sensoriale possono avere effetti devastanti sulla salute mentale. Le persone rinchiuse nei CPR, private della libertà, dei contatti sociali e di stimoli ambientali, sono esposte a un rischio elevato di sviluppare disturbi psichiatrici, come depressione, ansia e disturbo da stress post-traumatico. La somministrazione indiscriminata di psicofarmaci, anziché risolvere il problema, non fa altro che aggravarlo, creando dipendenze e danni permanenti.

Ma c’è di più. La medicina psicosomatica ci rivela come le esperienze traumatiche e le condizioni di stress cronico possono manifestarsi anche a livello fisico, causando malattie e disfunzioni organiche. Le cicatrici sul corpo dei migranti, le malattie contratte durante il viaggio e le sofferenze patite nei CPR sono la testimonianza di un sistema che non si limita a violare i diritti umani, ma che distrugge anche la salute fisica e mentale delle persone.

Allora, cosa possiamo fare? Come possiamo contrastare questa deriva disumanizzante e costruire una società più giusta e accogliente? La risposta non è semplice, ma parte dalla consapevolezza che ogni essere umano ha diritto alla dignità, alla libertà e alla salute. Dobbiamo impegnarci a denunciare le violazioni dei diritti umani, a sostenere le organizzazioni che si battono per la difesa dei migranti, a promuovere una cultura dell’accoglienza e dell’integrazione. E soprattutto, dobbiamo ricordare che dietro ogni numero, dietro ogni statistica, c’è una persona, con una storia, un nome e un volto. Una persona che merita il nostro rispetto e la nostra solidarietà.

Amici, riflettiamo un attimo. La psicologia cognitiva ci dice che la nostra mente tende a semplificare la realtà, a creare categorie e stereotipi per orientarci nel mondo. Ma questa semplificazione può portarci a commettere errori di giudizio, a non vedere la complessità delle situazioni e a non riconoscere l’umanità degli altri. Un concetto avanzato è quello della “dissonanza cognitiva”: quando ci troviamo di fronte a informazioni che contraddicono le nostre credenze, proviamo un senso di disagio che cerchiamo di risolvere modificando le nostre convinzioni o negando la realtà. Di fronte alle sofferenze dei migranti, possiamo provare dissonanza cognitiva e cercare di giustificare le politiche repressive, negando la loro umanità. Ma se ci sforziamo di superare questa dissonanza, se ci apriamo all’empatia e alla comprensione, possiamo scoprire la ricchezza e la bellezza della diversità umana.


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