Bullismo e trauma cranico: come si influenzano a vicenda?

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  • Il 33% degli studenti italiani ha subito bullismo fisico o verbale.
  • Il bullismo induce alterazioni strutturali e funzionali nel cervello.
  • Ricerca ISTAT 2014: oltre il 50% dei ragazzi ha subito violenza.
  • Trauma cranico: mortalità del 40-50% nei casi gravi.
  • Il King's College ha scoperto che le vittime di bullismo hanno livelli più elevati di ansia e depressione.

Atti di bullismo e prevaricazione, specialmente durante la cruciale fase adolescenziale, lasciano cicatrici che vanno ben oltre il disagio psicologico immediato. Recenti indagini scientifiche hanno rivelato come l’esposizione a episodi ripetuti di violenza, sia essa verbale, fisica o psicologica, possa indurre alterazioni strutturali e funzionali nel cervello dei giovani, con ripercussioni significative sulla salute mentale a lungo termine. Si tratta di un fenomeno che, purtroppo, continua a essere diffuso, come dimostrano dati statistici. Uno studio del 2016, ad esempio, ha evidenziato che due terzi di un ampio campione di 100.000 giovani intervistati in 18 nazioni erano stati vittime di bullismo. In Italia, una ricerca ISTAT del 2014 su 100 ragazzi tra gli 11 e i 17 anni ha rilevato che oltre il 50% aveva subito episodi offensivi o violenti nei dodici mesi precedenti.

Statistiche recenti sul bullismo: Secondo Save the Children, circa il 33% degli studenti italiani ha subito bullismo fisico o verbale almeno una volta.

La vulnerabilità neurobiologica durante l’adolescenza, un periodo caratterizzato da elevata plasticità neurale, rende il cervello particolarmente suscettibile agli effetti negativi dello stress cronico e del trauma relazionale. Diverse ricerche documentano come il bullismo possa indurre un orientamento diverso nello sviluppo neurale delle vittime, compromettendo abilità cognitive, sociali e relazionali che permangono anche nell’età adulta.

Uno studio longitudinale condotto dal King’s College di Londra, che ha seguito un campione di giovani europei (provenienti da Inghilterra, Irlanda, Francia e Germania) dai 14 ai 19 anni, ha esplorato la connessione tra bullismo cronico e salute mentale, misurando le modificazioni strutturali del nucleo caudato e del putamen, aree cerebrali note per essere implicate nello sviluppo di stati ansiosi. I risultati, basati su questionari di autovalutazione e scansioni cerebrali ad alta risoluzione, hanno mostrato che le vittime di bullismo ripetuto presentavano, a 19 anni, livelli più elevati di ansia e depressione rispetto ai coetanei non bullizzati. Inoltre, è stato riscontrato un decremento del volume di queste aree subcorticali (putamen e nucleo caudato). Questo dato si aggiunge a un corpo crescente di evidenze sugli effetti deleteri del bullismo.

Altri studi hanno evidenziato un legame tra bullismo e alti livelli di cortisolo, l’ormone dello stress. Un eccesso cronico di cortisolo può compromettere diverse funzioni cognitive, in particolare la memoria, e accrescere il rischio di problemi di salute mentale. Vittime di bullismo hanno mostrato consistentemente punteggi inferiori nei test di memoria verbale. Questo potrebbe essere spiegato dalla possibile morte di neuroni nell’ippocampo, una struttura fondamentale per la memoria, indotta da livelli elevati di cortisolo. L’ippocampo compromesso è associato anche a difficoltà nel mantenimento della memoria a lungo termine, influenzando negativamente l’apprendimento.

Effetti della bullismo sulla salute mentale:
  • Ansia e depressione
  • Diminuzione dell’autostima e della memoria
  • Alti livelli di cortisolo
  • Disfunzioni comportamentali

Le vittime manifestano anche problemi di attenzione e concentrazione, talvolta associati ad anomalie nel corpo calloso. La violenza fisica e psicologica associata al bullismo può inoltre generare il cosiddetto “dolore sociale”, un’esperienza emotiva negativa legata al rifiuto, all’ostracismo e all’umiliazione. Notevolmente, la ricerca ha dimostrato che il dolore sociale attiva circuiti neurali sovrapponibili a quelli coinvolti nel dolore fisico, inclusa la corteccia dorsale cingolata anteriore. L’attivazione di quest’area è stata correlata a sintomi internalizzanti (come depressione, ansia, paura e isolamento), che risultano maggiori e più persistenti nei soggetti con una storia di vittimizzazione da bullismo.

Studi recenti Risultati
Studio King’s College Vittime di bullismo presentano decessi nel volume del nucleo caudato
Ricerche JAMA Psychiatry Alterazioni nell’amigdala e nell’ippocampo
Ricerche ISISTAT 2014 Oltre il 50% dei ragazzi ha subito bullismo

L’esposizione a queste esperienze traumatiche, soprattutto nel periodo critico di maturazione psicofisica tra gli 11 e i 14 anni, può avere effetti duraturi sulle funzioni cerebrali. Le ripercussioni del fenomeno non sono circoscritte alla fase adolescenziale; al contrario, esse si estendono fino all’età adulta, determinando notevoli difficoltà nella creazione di relazioni sociali stabili, così come manifestando problematiche economiche, che possono persistere per decenni dopo gli eventi violenti. Tali evidenze evidenziano la necessità imperativa di adottare misure efficaci per combattere il bullismo e assistere le vittime, con l’intento di favorire il recupero – nei limiti del possibile – della salute neurologica ottimale.

Il trauma cranico: conseguenze neurologiche e neuropsicologiche

Il trauma cranico (TBI – Traumatic Brain Injury) rappresenta una problematica sanitaria di notevole rilevanza, essendo una delle principali cause di morte e disabilità, in particolare nei giovani adulti (15-25 anni) e negli anziani (oltre 75 anni). Sebbene spesso associato a incidenti stradali o cadute, il TBI può derivare da una varietà di cause e la sua fisiopatologia è intrinsecamente complessa, combinando effetti immediati e ritardati, nonché lesioni focali e diffuse. È fondamentale comprendere che la gravità della lesione encefalica non è strettamente correlata alla presenza o all’entità di fratture craniche. Un indice prognostico cruciale è invece la durata dell’eventuale perdita di coscienza successiva al trauma: più è prolungata, minore è la probabilità di un recupero completo.

Statistiche sul trauma cranico: Tra le categorie più colpite ci sono i ragazzi e le ragazze in età adolescenziale, con elevate percentuali di casi segnalati annualmente.

La valutazione iniziale della severità di un TBI si avvale di scale standardizzate come la Glasgow Coma Scale (GCS), che misura lo stato di coscienza basandosi su apertura degli occhi, risposta verbale e risposta motoria. Un GCS tra 14 e 15 indica un trauma cranico lieve, tra 9 e 13 un trauma moderato, mentre un punteggio inferiore a 9 segnala un trauma grave, associato a un tasso di mortalità significativamente più alto (40-50% nei casi gravi).

Conseguenze neurologiche e neuropsicologiche:
  • Deficit cognitivi e comportamentali
  • Amnesia post-traumatica
  • Depressione e ansia in età adulta

I sopravvissuti a un TBI possono riportare un’ampia gamma di deficit, sia neurologici che neuropsicologici, che costituiscono la principale causa di disabilità a lungo termine. Nella fase immediatamente successiva al trauma e al recupero della coscienza, il paziente può attraversare una fase di disturbo cognitivo globale nota come Amnesia Post-Traumatica (APT). Nel corso dell’APT – un periodo che abbraccia anche la durata del coma – si assiste in modo prevalente a stati mentali caratterizzati da confusione, disorientamento ed incapacità tanto nella creazione quanto nel recupero di nuovi ricordi. Questo quadro clinico può persistere per intervalli temporali che variano dalle poche ore ai diversi mesi; la lunghezza della condizione è stata identificata come uno dei più significativi fattori predittivi riguardanti l’esito funzionale a lungo termine. Durante questa fase iniziale non sono rari disturbi comportamentali quali apatia evidente – priva d’iniziativa –, irrequietezza costante accompagnata a attacchi d’ira.

Dopo il superamento della fase acuta emergono generalmente deficit cognitivi più mirati. Anche nei contesti caratterizzati da TBI lieve – dove le anomalie anatomiche potrebbero sfuggire all’analisi standard – vi è una manifestazione concreta di sintomi comprensivi di affaticamento cronico associato a difficoltà cognitive nell’ambito della concentrazione, oltre a un evidente rallentamento psicomotorio così come una riduzione dell’efficienza nelle pratiche quotidiane. Test neuropsicologici sviluppati con precisione dimostrano spessissimo carenze legate all’attenzione (soprattutto nella distibuzione dell’attenzione o per via delle interferenze) unitamente al malfunzionamento della working memory ed afflizioni nelle funzioni esecutive quali pianificazione sistematica o giusta valutazione critica delle situazioni proposte. Nella popolazione dei pazienti affetti da TBI lieve è frequente una chiara consapevolezza delle proprie limitazioni, caratteristica che si rivela utile nel stimolare la motivazione verso il processo riabilitativo; tuttavia, questa consapevolezza può sfociare in stati di frustrazione.

Al contrario, TBI moderati e gravi danno origine a configurazioni neuropsicologiche notevolmente più intricate e frequentemente segnate da sintomi frontalmente correlati. Tra questi si annoverano problematiche emotive come ottundimento affettivo, sensazioni di euforia, nonché una marcata diminuzione nelle capacità sociali; inoltre, emergono disturbi relativi alla motivazione come apatia, attitudini passive ed episodi di senso critico debole o assente.. In ambito comportamentale si evidenziano fenomeni quali difficoltà nell’inibire reazioni inappropriate (quali perseverazione e aggressività) oppure nell’aderire alle norme sociali. Sotto il profilo cognitivo permane una costante presenza di ostacoli; le problematiche evidenti riguardano enormemente i potenziali deficit mnemonici (sostanziali cali nella memoria sia retrograda, relativa a esperienze precedenti all’infortunio, sia anterograda, coinvolgente l’immagazzinamento di nuove informazioni) nonché ampie lacune negli atteggiamenti cognitivi essenziali, talora incapaci perfino di essere rilevati attraverso misure standardizzate applicabili negli ambienti clinici quando si affronta il deficit funzionale reale esperito dai soggetti stessi nel quotidiano.

In aggiunta ai deficit cognitivi e comportamentali, un TBI può portare a complicazioni mediche ritardate come epilessia post-traumatica o idrocefalo, e a disturbi sensorimotori minori, tra cui emiparesi, disartria, disfunzioni dei nervi cranici, problemi olfattivi, visivi o di deglutizione. Le conseguenze a lungo termine possono comprendere anche disturbi motori più severi (paralisi, difficoltà di coordinazione), del linguaggio e della vista. Complessivamente, i problemi di memoria, l’irritabilità, il rallentamento psicomotorio, la scarsa concentrazione e la stanchezza sono i sintomi più frequentemente riportati dai pazienti a distanza di due anni da un trauma cranico grave. La riabilitazione neuropsicologica è fondamentale e mira a ripristinare l’orientamento, la consapevolezza di malattia e le funzioni cognitive danneggiate, spesso utilizzando tecniche comportamentali per gestire le alterazioni del comportamento. Tuttavia, anche dopo un buon recupero, non è raro osservare una riduzione delle attività sociali e un rischio aumentato di isolamento o abuso di sostanze.

Risorse per la riabilitazione: L’uso della Terapia EMDR si è dimostrato efficace nel trattamento delle vittime di bullismo, garantendo un supporto psicologico mirato.
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Intersezione di vulnerabilità: quando bullismo e trauma cranico si incontrano

Nonostante la letteratura scientifica riguardante il fenomeno del bullismo tenda a focalizzarsi sulla dimensione psicologica, evidenziando i deleteri effetti a lungo termine del costante stress emotivo sulle dinamiche cerebrali, è altrettanto fondamentale approfondire l’intersezione tra tali fenomeni traumatici. Le varie forme di aggressione incluse nel contesto del bullismo comprendono frequentemente atti violenti che possono sfociare in traumi alla testa. Gli impatti associati a un colpo ricevuto nell’ambito di una crisi violenta relativa al bullismo potrebbero risultare in un trauma cranico, seppur modesto; questo porta con sé tutta una serie di ripercussioni neurologiche e neuropsicologiche.

Quando individui bersaglio di intimidazioni sperimentano simultaneamente traumi cranici da aggressioni fisiche correlate al contesto bullo-vittima emerge quindi una sorta di complessità nella valutazione delle vulnerabilità psicologiche. Infatti i processi degenerativi provocati dalla persecuzione potrebbero aver già influenzato profondamente le strutture cerebrali implicate nel controllo emozionale così come nella risposta allo stress ed ulteriormente intaccato capacità cognitive quali la memoria o l’attenzione stessa. L’ippocampo riveste un ruolo cruciale per il funzionamento della memoria ed è influenzato da elevati livelli di cortisolo conseguenti allo stress cronicamente indotto dal bullismo; pertanto è plausibile che esso possa essere compromesso ancor prima della comparsa di eventuali traumi fisici. In maniera analoga, le difficoltà riguardanti attenzione e concentrazione correlate al fenomeno del bullismo potrebbero intensificare i deficit attentivi propri del TBI.

Al contrario, anche lesioni craniche leggere possono aggravare disturbi neuropsicologici preesistenti oppure dar vita a nuove vulnerabilità in una mente già afflitta dallo stress cronico; questa potrebbe rivelarsi ulteriormente alterata sul piano strutturale. Le problematiche legate alla regolazione emotiva nonché ai comportamenti disfunzionali—già frequentemente riscontrabili nei soggetti colpiti da bullismo grazie all’attivazione dei circuiti legati al dolore sociale nonché alle trasformazioni avvenute nelle aree subcorticali—possono ricevere ulteriore impulso dai danni cerebrali anche minori riportati sulle regioni frontali o su altri distretti cerebrali interessati nel contesto del TBI. Un incidente cranico ha la potenzialità non solo di provocare ma anche di esacerbare sintomi quali irritabilità e impulsività, oltre ad ampliare ulteriormente le sfide relative alla gestione delle interazioni sociali: questioni essenziali già tese dalla vicenda dell’esperienza bullettizzata.

È ipotizzabile che un cervello già alterato dallo stress e dal trauma psicologico del bullismo possa avere una minor resilienza o una capacità di recupero ridotta in seguito a un trauma fisico, anche di lieve entità. Le vie neurali coinvolte nella risposta allo stress, nella memoria, nell’attenzione e nella regolazione emotiva sono le medesime aree che risultano vulnerabili sia al bullismo crionico che al TBI. Questa convergenza di impatti su circuiti neurali simili suggerisce che la combinazione di bullismo e trauma cranico fisico potrebbe avere conseguenze sinergiche e particolarmente severe sul funzionamento cognitivo, emotivo e comportamentale a lungo termine.

Richiesta di intervento: È fondamentale un approccio multidisciplinare per affrontare i danni derivanti dal bullismo e dai traumi cranici.

Strategie di intervento e necessità di consapevolezza

Davanti alla scomposizione degli effetti protratti del bullismo insieme ai danni da trauma cranico sul piano neurologico e nella sfera della salute mentale si rende necessario sviluppare immediatamente delle strategie d’intervento specifiche che siano multidisciplinari. L’attuale scenario dell’approccio psicologico cognitivo-comportamentale unito all’attenzione verso i traumi fisici ed emotivi deve fornire una risposta efficace a tali problematiche attraverso modalità innovative integrate anziché limitarsi esclusivamente alla gestione dei sintomi post-traumatici acuti. È importante sottolineare come questa questione sia portatrice di conseguenze rilevanti per il benessere globale degli individui così come per lo sviluppo personale nel contesto sociale; ne derivano oneri umani ed economici notevoli anche sulla comunità.

Nel caso in cui ci si trovi ad assistere a chi ha subito atti di bullismo è fondamentale adottare misure finalizzate ad attenuare gli impatti dello stress prolungato ed eventualmente ricondizionare alterazioni bio-neurologiche provocate da esperienze traumatiche. In tale ambito risultano determinanti gli interventi psicosociali volti a offrire sostegno terapeutico capace di affrontare ansie protratte dall’esperienza traumatica, occasionando problemi relazionali complessi o stati depressivi legati alle sofferenze subite. In considerazione delle evidenze relative alle alterazioni strutturali del cervello nonché ai vari deterioramenti cognitivi, come quelli riguardanti memoria e attenzione legati al bullismo, diventa imprescindibile adottare un approccio neuropsicologico. Questo tipo di supporto si rivela cruciale nella valutazione delle funzioni compromesse con lo scopo di migliorarle. Gli interventi terapeutici potrebbero prevedere metodologie dedicate a potenziare la gestione emotiva, affinare la capacità di affrontare lo stress e recuperare competenze cognitive afflitte dai danni subiti. Dato che il fenomeno del bullismo si manifesta frequentemente all’interno degli ambienti scolastici, l’implementazione di programmi preventivi e interventivi risulta vitale; tali iniziative devono contemplare non soltanto chi subisce o esercita atti di violenza, ma anche i testimoni dell’accaduto, poiché è importante considerare gli effetti deleteri derivanti dall’esposizione indiretta a simili situazioni traumatiche. Risulta quindi fondamentale che ci sia una maggiore sensibilizzazione politica sul tema attraverso politiche legislative capaci di implementare meccanismi efficienti per il monitoraggio e offrire sostegno ben strutturato.

Nel caso specifico riguardante un trauma cranico—sia questo lieve o grave senza distinzioni sulla sua origine—la riabilitazione neuropsicologica costituisce un elemento cardine nel percorso terapeutico intrapreso. Una volta superata la fase acuta dell’infortunio, è essenziale eseguire una valutazione approfondita dal punto di vista neuropsicologico; tale analisi serve a individuare deficit particolari (cognitivi, emotivi o comportamentali) necessari alla creazione di un piano riabilitativo personalizzato. Un intervento efficace potrebbe contemplare l’addestramento delle funzioni cognitive alterate come quelle attentive ed esecutive; al contempo dovrebbero essere adottate strategie mirate al potenziamento della memoria, insieme ad approcci tesi a gestire le modifiche comportamentali attraverso metodi basati su rinforzi positivi. È cruciale focalizzarsi sull’auto-consapevolezza del paziente, in particolare dopo un gravissimo TBI (trauma cranico traumatico), dal momento che una scarsa consapevolezza della propria condizione clinica potrebbe rendere difficile il percorso riabilitativo stesso. L’inclusione dei familiari nell’intervento risulta fondamentale: educarli riguardo agli effetti del trauma fornisce loro gli strumenti necessari a sostenere efficacemente il paziente nel recupero e nella successiva reintegrazione nella società civile. Inoltre, la sorveglianza prolungata si rende necessaria anche in situazioni in cui si verifichi un TBI leggero allo scopo di riconoscere tempestivamente eventuali sintomi ritardati o difficoltà croniche.

In contesti dove bullismo e trauma cranico coesistono, occorre adottare una metodologia ancora più olistica. A tal fine, è indispensabile effettuare una valutazione ampia che abbracci l’intera esperienza traumatica dell’individuo, inclusa quella sia mentale sia fisica, piuttosto che ridursi a singoli aspetti isolati della sua storia personale. Il team di intervento ideale dovrebbe includere neuropsicologi per valutare e trattare i deficit cognitivi specifici post-TBI e indotti dallo stress cronico, psicoterapeuti esperti per affrontare il trauma emotivo e le sue manifestazioni psicologiche e relazionali, e specialisti in riabilitazione neurologica per i deficit motori o sensoriali. L’obiettivo è creare un percorso terapeutico sinergico che affronti contemporaneamente la complessità delle difficoltà cognitive, emotive e comportamentali derivanti da entrambe le esperienze traumatiche.

Strategie per affrontare il bullismo:
  • Promuovere una cultura di rispetto e tolleranza
  • Utilizzare programmi di educazione emotiva nelle scuole
  • Sostenere capacità di resilienza nelle vittime

In sintesi, sia il bullismo che il trauma cranico hanno il potenziale di alterare profondamente lo sviluppo e il funzionamento del cervello, con conseguenze che possono perdurare per tutta la vita. La loro potenziale interrelazione richiede un cambio di paradigma negli approcci di prevenzione, diagnosi e trattamento, promuovendo una maggiore consapevolezza pubblica e professionale sulla loro gravità e sulla necessità di interventi multimodali che supportino pienamente le vittime nel loro percorso di recupero e reintegrazione.

Glossario:
  • Trauma Cranico (TBI): Lesione cerebrale causata da un colpo o impatto alla testa.
  • Cortisolo: Ormone prodotto dalla ghiandola surrenale, responsabile della risposta allo stress.
  • Amnesia Post-Traumatica (APT): Condizione di confusione e incapacidad di formare o rievocare nuovi ricordi dopo un trauma cranico.

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