- Oltre 700.000 casi globali e circa 4.000 in Italia all'anno.
- L'autolesionismo è aumentato del 60% negli ultimi anni.
- Aumenta di 4 volte il rischio di tentativi di suicidio.
L’allarme lanciato in occasione della Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio 2025 dalla Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA) ha riportato l’attenzione su un fenomeno dilagante e spesso sommerso: l’autolesionismo tra le giovani generazioni. Con numeri che parlano di oltre 700.000 casi a livello globale e circa 4.000 solo in Italia ogni anno, l’autolesionismo si posiziona come una delle principali cause di accesso in urgenza ai servizi di neuropsichiatria infantile e adolescenziale (NPIA) in Europa, dove colpisce circa un adolescente su cinque. Questa tendenza, aggravata negli ultimi anni e ulteriormente esacerbata dalla pandemia, mostra un incremento significativo, stimato intorno al 60%, con un’anticipazione dell’età di esordio, che ora si manifesta anche nella preadolescenza con i primi “attacchi al corpo” e pensieri negativi di natura autoconservativa. Non è solo una statistica ma una chiara indicazione di una profonda sofferenza emotiva che attraversa la psiche degli adolescenti, rendendo questo tema di capitale importanza nel panorama contemporaneo della salute mentale. L’ampiezza del problema assume una dimensione critica, in quanto vi è un legame intrinseco tra comportamenti autolesionistici e il rischio suicidario. Ciò evidenzia con urgenza l’urgenza di analizzare dettagliatamente i motivi, le variabili predisponenti e le metodologie d’intervento più adeguate per salvaguardare il benessere psichico delle nuove generazioni.
Fattori di rischio e cause profonde dell’autolesionismo adolescenziale
Il fenomeno dell’autolesionismo tra gli adolescenti si configura non come un semplice gesto impulsivo sprovvisto di ragioni profonde; al contrario è il frutto intricata delle interrelazioni fra vari fattori predisponenti che comprendono aspetti psicologici individuali oltre a elementi socio-ambientali. In primo piano si collocano diversi disturbi dell’umore quali la depressione insieme ai disturbi bipolari e ai disturbi della personalità, fra cui spiccano quelli borderline o narcisistici; vale la pena menzionare anche il disturbo d’ansia generalizzata ed episodi significativi legati agli attacchi di panico. Tali patologie mentali costituiscono spesso il terreno propizio nel quale possono svilupparsi comportamenti autolesivi; fungono così da meccanismi compensativi inefficaci per fronteggiare forme intense di sofferenza psichica insopportabile. La finestra temporale critica per l’insorgenza è tipicamente collocata tra gli 12 e i 14 anni; periodo durante il quale si manifesta una vulnerabilità distintiva dovuta a rapidi mutamenti neurobiologici in corso. A tal riguardo emerge l’asimmetria nello sviluppo cerebrale: infatti mentre il sistema limbico – responsabile delle emozioni e aspirante a ottenere gratificazioni istantanee – raggiunge uno stadio avanzato prima delle aree prefrontali dedicate al controllo razionale dei pensieri oltre alla modulazione degli impulsi affettivi, questo porta a un’aumentata predisposizione all’impulsività e alla tendenza verso attitudini autodistruttive negli individui giovani. Questa disfunzione nella regolazione emotiva è un elemento centrale che spinge i giovani a cercare nel dolore fisico una via d’uscita dall’angoscia interiore, un modo per “bloccare il dolore con il dolore”.
In aggiunta ai fattori interni, l’ambiente circostante gioca un ruolo cruciale. La pressione sociale, il bullismo e l’esposizione a traumi possono precipitare o intensificare la manifestazione di comportamenti autolesionistici. L’adolescenza è un periodo di intensa ricerca di identità e accettazione, e l’incapacità di gestire il disagio emotivo derivante da esperienze negative può trovare nell’autolesionismo una valvola di sfogo. Le ricerche evidenziano una forte associazione tra l’impulsività e i tentativi suicidari in adolescenza, sottolineando come la difficoltà a valutare le conseguenze a lungo termine delle proprie azioni e la propensione a comportamenti rischiosi siano elementi predittivi. Non si tratta solo di patologie manifeste; molti adolescenti, privi di evidenze psichiatriche chiare, possono attraversare crisi evolutive talmente profonde da percepire la morte come l’unica soluzione al loro dolore. La perdita di fiducia in un futuro migliore, l’assenza di speranza e uno stile di difesa evitante sono mediatori critici che possono condurre al suicidio adolescenziale. Le forme più comuni di autolesionismo non suicidario, come tagli, ustioni ed escoriazioni, spesso ripetitive, sono manifestazioni visibili di una sofferenza interna che i giovani faticano a comunicare verbalmente. L’incremento del fenomeno “cicatrice francese” quale pericolosa sfida sociale dimostra anche come la vulnerabilità intrinseca all’adolescenza si intersechi con dinamiche esterne, contribuendo alla diffusione di queste condotte. Le statistiche ci pongono di fronte a una realtà in cui l’autolesionismo non è solo un atto isolato, ma un segnale d’allarme di un disagio più profondo, che richiede un’attenzione multidisciplinare e interventi mirati per la prevenzione e il sostegno.
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Strategie terapeutiche: dall’approccio cognitivo comportamentale alla mindfulness
Di fronte alla complessità dell’autolesionismo adolescenziale, gli interventi terapeutici si rivelano fondamentali, con un’enfasi particolare su approcci scientificamente fondati come la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e la Dialectical Behavior Therapy (DBT), che integra elementi della CBT con pratiche di mindfulness. La CBT si concentra sull’identificazione e la modificazione di schemi di pensiero disfunzionali e comportamenti maladattivi, aiutando gli adolescenti a sviluppare strategie di coping più sane per gestire le emozioni intense. Attraverso tecniche specifiche, i giovani imparano a riconoscere i “trigger” che scatenano gli impulsi autolesivi e a sostituire le reazioni autodistruttive con risposte più funzionali. Questo include l’insegnamento di abilità di problem-solving, di regolazione emotiva e di tolleranza della sofferenza, fornendo loro un repertorio di strumenti pratici per affrontare le difficoltà della vita senza ricorrere all’autolesionismo. La ricerca ha dimostrato l’efficacia della CBT nel ridurre la frequenza e l’intensità dei comportamenti autolesivi, soprattutto in contesti in cui vi è una concomitanza con la depressione e altri disturbi psichiatrici. L’obiettivo è costruire un senso di auto-efficacia e migliorare le competenze relazionali, fondamentali per un sano sviluppo. Le strategie proposte sono volte a costruire precocemente adeguate capacità di tolleranza emotiva, un elemento chiave per ridurre la vulnerabilità ai comportamenti impulsivi e autodistruttivi.

La DBT, in particolare, è un approccio trasformativo che si è dimostrato altamente efficace nel trattamento dell’autolesionismo e dell’ideazione suicidaria negli adolescenti, soprattutto quelli con disregolazione emotiva e caratteristiche borderline. Essa si articola su quattro moduli principali: mindfulness, tolleranza della sofferenza, regolazione emotiva e efficacia interpersonale. La mindfulness, intesa come l’abilità di prestare attenzione al momento presente in modo non giudicante, insegna ai giovani a osservare i propri pensieri e sentimenti senza esserne sopraffatti, creando uno spazio tra l’emozione e la reazione impulsiva. Questa pratica consente di sviluppare una maggiore consapevolezza di sé e delle proprie sensazioni corporee, riducendo la necessità di ricorrere all’autolesionismo come meccanismo per “sentire qualcosa” o per “alleviare il vuoto”. Le abilità di tolleranza della sofferenza aiutano gli adolescenti a sopportare le emozioni intense senza agire in modo impulsivo, mentre le tecniche di regolazione emotiva li supportano nell’identificare, denominare e modificare gli stati emotivi problematici. Infine, l’efficacia interpersonale mira a migliorare le capacità di comunicazione e relazione, permettendo ai giovani di esprimere i propri bisogni e di gestire i conflitti in modo costruttivo. Risorse come “The Mindfulness Workbook for Teen Self-Harm” offrono strumenti pratici per aiutare gli adolescenti a superare pensieri e comportamenti autolesionisti, dimostrando l’importanza di un approccio integrato e supportivo. L’interazione tra tali terapie, spesso sostenuta da un approccio familiare e da un sistema scolastico, crea una vera e propria rete protettiva che ha la potenzialità di trasformare i percorsi psicopatologici. Ciò consente ai più giovani di dotarsi delle risorse fondamentali necessarie per gestire efficacemente le difficoltà che si presentano lungo il cammino della loro esistenza.
L’aumento dei casi e l’imperativo della prevenzione
Le statistiche degli ultimi anni dipingono un quadro preoccupante, evidenziando un marcato aumento dei casi di autolesionismo e ideazione suicidaria tra gli adolescenti. Il fenomeno è cresciuto del 60% negli ultimi anni, con un’accelerazione significativa in seguito alla pandemia, che ha acuito le fragilità emotive e le difficoltà relazionali. Questo incremento è parte di una crisi più ampia della salute mentale giovanile, spesso definita “silenziosa”, e si manifesta con un’età di esordio sempre più precoce, talvolta già nella preadolescenza. La SINPIA ha evidenziato come l’autolesionismo colpisca circa un adolescente su cinque in Europa, rendendolo una delle principali cause di accesso in urgenza ai servizi specialistici. Non solo i tentativi di suicidio sono in aumento, ma l’autolesionismo stesso incrementa di ben quattro volte la probabilità di un futuro tentativo di suicidio nell’arco della vita. È cruciale comprendere che, pur essendo distinti, autolesionismo e suicidalità presentano una forte correlazione, rendendo ogni segnale di autolesionismo un potenziale campanello d’allarme da non sottovalutare. Questi comportamenti sono spesso strategie disfunzionali messe in atto quando l’adolescente è sopraffatto da un dolore emotivo intollerabile e manca di strumenti più efficaci per gestirlo. L’impulsività, un tratto distintivo di questa fase di sviluppo, amplifica ulteriormente il rischio di azioni autodistruttive, un fattore neurologico da considerare nella formulazione di strategie di prevenzione.

La prevenzione non è solo possibile, ma necessaria e deve coinvolgere molteplici livelli: dall’individuo e dalla sua famiglia alla comunità, includendo la scuola, la società e le istituzioni nazionali. È fondamentale intercettare precocemente il disagio e fornire risposte autentiche e tempestive. Questo richiede un investimento significativo nei servizi territoriali e ospedalieri di Neuropsichiatria per l’Infanzia e l’Adolescenza (NPIA), che sono da tempo sottodimensionati in termini di personale, risorse e strutture adeguate. Creare una “cultura del dialogo, dell’ascolto e della vicinanza” è imperativo per permettere agli adolescenti di esprimere la propria sofferenza e ricevere il supporto di cui hanno bisogno. La scuola, con opportuni progetti educativi e formativi, deve diventare un ambiente sicuro dove i giovani possano sviluppare competenze di tolleranza emotiva e relazionale. Le famiglie necessitano di supporto e di strumenti per riconoscere i segnali d’allarme e per comunicare efficacemente con i propri figli. Anche il mondo del web, con la sua pervasività e le nuove sfide come la “cicatrice francese”, deve essere considerato un ambito di intervento per diffondere politiche di supporto e protezione. In definitiva, l’aumento dei casi di autolesionismo adolescenziale è un monito che non può essere ignorato. Richiede un’azione concertata e un impegno collettivo per garantire che ogni adolescente che soffre possa trovare un’alternativa al dolore, un sostegno e un futuro di speranza.

Oltre il silenzio: costruire resilienza e speranza
Per comprendere appieno l’autolesionismo adolescenziale è necessario penetrare in una realtà intrisa di intensa sofferenza emozionale che spesso rimane silenziosa e fraintesa. Gli adolescenti coinvolti in queste pratiche non hanno come obiettivo la morte; piuttosto ricercano vie disfunzionali per affrontare le loro emozioni opprimenti, affrontando così dolori psicologici che percepiscono come insostenibili. Attraverso la lente della psicologia cognitiva possiamo considerare tali comportamenti dei tentativi maladattivi volti alla regolazione delle emozioni. Quando gli individui vivono esperienze affettive particolarmente forti quali rabbia o tristezza – accompagnate da ansia e da un netto senso di vuoto – il cervello tende a cercare immediatamente una soluzione al disagio avvertito. Se mancano strumenti efficaci per far fronte alle proprie emozioni tumultuose, gli atti autolesivi possono fornire temporanea evasione dal dolore interiore: servono quindi sia a stimolare sensazioni fisiche quando regna l’intorpidimento sia a infliggere punizioni all’individuo stesso. Tale dinamica crea circoli viziosi nei quali ogni istante liberatorio diventa rafforzativo del comportamento stesso pur non intervenendo sulle cause radicate nel malessere duraturo.
La DBT (Dialectical Behavior Therapy), innovativa modalità terapeutica frutto dell’evoluzione della CBT (Cognitive Behavioral Therapy), consente una riflessione più approfondita su questo fenomeno clinico proponendo strategie efficaci nel trattamento dell’autolesionismo, specialmente laddove siano presenti problematiche legate alla disregolazione emotiva ed elementi caratteristici del disturbo borderline della personalità. La DBT enfatizza il concetto di “validazione del dolore” e insegna abilità fondamentali in quattro aree: mindfulness, tolleranza della sofferenza, regolazione emotiva e efficacia interpersonale. La mindfulness, in particolare, è cruciale poiché insegna a osservare le proprie emozioni e sensazioni senza giudizio o reattività immediata. Questo permette di creare uno spazio tra l’impulso a farsi del male e l’azione effettiva, offrendo l’opportunità di scegliere una risposta più sana. La sofferenza emotiva, sebbene difficile, non è intrinsecamente negativa; è spesso un segnale che qualcosa non va. Imparare a tollerarla, riconoscendo che le emozioni intense sono passeggere e non definiranno per sempre il proprio stato, è un passo fondamentale verso la resilienza.
Riflettere sull’autolesionismo negli adolescenti ci impone di andare oltre lo stigma e il giudizio. È un invito a vedere il comportamento non come una ricerca di attenzione o una debolezza morale, ma come una manifestazione di un profondo bisogno umano di essere visti, ascoltati e supportati. Dietro ogni cicatrice, dietro ogni tentativo di bloccare il dolore con altro dolore, c’è una domanda inespressa, un grido di aiuto che chiede una risposta autentica. Dobbiamo chiederci: stiamo fornendo ai nostri giovani gli strumenti emotivi necessari per navigare le complessità del mondo? Stiamo creando ambienti in cui possono sentirsi al sicuro nell’esprimere le loro vulnerabilità? Costruire una cultura del dialogo, dell’ascolto e della vicinanza non è solo un compito per gli specialisti, ma una responsabilità collettiva che ci coinvolge tutti. Solo così possiamo sperare di spezzare il ciclo del silenzio e offrire ai nostri adolescenti la possibilità di costruire un futuro in cui la speranza prevalga sul dolore.
Glossario:
- Autolesionismo: Comportamenti deliberati di auto-danno fisico.
- DBT (Dialectical Behavior Therapy): Terapia comportamentale dialettica, un approccio terapeutico mirato a gestire le emozioni e migliorare le relazioni interpersonali.
- Mindfulness: Rappresenta l’arte di concentrare la propria attenzione sul presente, adottando un approccio privo di giudizi.
- NPIA (Neuropsichiatria Infantile e Adolescenziale): Si tratta del settore della medicina che si occupa del benessere psicologico nell’infanzia e nell’adolescenza.