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Alluvioni e siccità: l’italia alle prese con l’eco-ansia e la solastalgia

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  • Nel 2024, l'Italia ha subito quasi 1.900 eventi climatici estremi.
  • In Catalogna, la siccità ha ridotto le riserve idriche al 16% nel gennaio 2024.
  • Il ciclone Boris ha riversato 250 millimetri di pioggia in 24 ore in Emilia-Romagna.

La crescente ombra dei traumi psicologici ambientali

L’Italia si trova ad affrontare una realtà allarmante: gli eventi climatici estremi sono in costante aumento. Nei soli primi nove mesi del 2024, si sono registrati quasi 1.900 fenomeni, una media di oltre sette al giorno. Questa escalation include più di mille nubifragi, circa settecento grandinate e oltre duecento tornado. Mentre il dibattito pubblico si concentra spesso sui danni materiali – case distrutte, cumuli di rifiuti e infrastrutture compromesse – esiste una dimensione più subdola e a lungo termine che merita attenzione: l’impatto psicologico. Le ferite invisibili lasciate da queste catastrofi naturali stanno diventando un campo di studio cruciale per psicologi e psichiatri.

L’alluvione di Firenze, ricordata a distanza di cinquant’anni nel 2025, è un esempio emblematico di come tali eventi possano segnare profondamente le comunità. Così come le recenti alluvioni in Emilia-Romagna e Toscana, descritte come “tsunami” da chi le ha vissute, hanno lasciato dietro di sé non solo distruzione fisica ma anche profondi traumi emotivi. In particolare, la Romagna ha visto esondare 23 fiumi e superare i livelli di guardia per altri 13, con un’area di 540 chilometri quadrati allagati, 17 vittime e 36mila sfollati nel maggio 2023. Eventi simili si sono ripetuti a settembre 2024, quando il ciclone Boris ha riversato 250 millimetri di pioggia in 24 ore negli stessi territori già duramente colpiti. La Toscana, invece, è stata devastata tra il 2 e il 4 novembre 2023, con nove vittime e 1.200 evacuati, soprattutto a Campi Bisenzio, dove il 70% del territorio comunale è stato allagato. Ad ottobre dello stesso anno, anche Bologna ha subito inondazioni, causando una vittima e 2.500 sfollati. Questi dati offrono una chiara delineazione della frequenza e dell’intensità di fenomeni che, ormai, non possono più essere considerati sporadici. Le reazioni psicologiche a tali disastri sono variegate e complesse. Stefania Castiglia di Faenza, la cui casa è stata colpita da tre alluvioni tra maggio 2023 e settembre 2024, descrive il fango come qualcosa che “ti rimane dentro”. Il cielo grigio, per lei, è diventato un innesco per l’ansia, portandola a spostare gli oggetti più importanti ai piani superiori, anche se consapevole che l’acqua potrebbe raggiungere ogni altezza. La sua esperienza, come quella di Stefano Brienza, artista di Faenza che ha dovuto ristrutturare la sua casa tre volte e ora vive con la famiglia presso la madre, evidenzia la natura logorante e continuativa del trauma. Brienza, che ha perso molte delle sue opere e ha visto la natura trasformarsi nel suo immaginario artistico, si trova a fronteggiare un mutuo trentennale, incapace di vendere un immobile compromesso e di ricostruire una vita in un luogo che ormai è sinonimo di paura o perdita costante.

L’analisi dell’impatto del cambiamento climatico sulla salute mentale è un campo in espansione. Una ricerca del 2024 su diecimila giovani in dieci paesi ha rivelato che tre quarti di loro considerano il futuro “spaventoso”, e la metà si sente triste, ansiosa, arrabbiata o persino colpevole della crisi climatica. *Non si tratta solo di emozioni transitorie; tali sentimenti emergono in forme più strutturate e patologiche. Tra i fenomeni rilevanti si trova l’eco-ansia: una persistente inquietudine nei riguardi del futuro ambientale; c’è poi la solastalgia, che indica una profonda nostalgia per un habitat considerato in declino. Infine, emerge anche il concetto di ecoparalisi, caratterizzata da una sensazione schiacciante d’impotenza che rende difficile intraprendere azioni concrete rispetto all’emergenza climatica.* [Recenti Progressi Medici]. Questi termini sono diventati centrali nel vocabolario della psicologia ambientale, riflettendo la complessità delle risposte umane a una minaccia globale. D’altro canto, si è osservata anche l’eutierria, un sentimento di ritrovato equilibrio e connessione tra esseri umani e natura, che suggerisce possibili vie di elaborazione e resilienza. Questi dati non solo mettono in luce la gravità della situazione, ma evidenziano anche la necessità di risposte strutturate e integrate che vadano oltre la gestione dell’emergenza fisica, abbracciando il sostegno psicologico come componente essenziale della ripresa.

L’analisi delle reazioni psicologiche ai disastri: dall’ansia acuta alla solastalgia cronica

Esaminare le risposte psicologiche alle calamità costituisce un aspetto cruciale nella comprensione della resilienza umana dinanzi a traumi devastanti. Si osserva così un processo evolutivo che parte dall’ansia acuta, percepita in modo immediato dopo il catastrofico evento, per culminare in stati di malessere persistente quali la solastalgia cronica. Tale transizione dipende da variabili intrinseche ed estrinseche, inclusa l’intensità del disastro e il supporto sociale disponibile al momento della crisi.

Gli effetti sulla salute mentale dei disastri ambientali sono estremamente variegati e dipendono in larga misura dalla natura e dalla tempistica degli eventi climatici. Questa complessità è stata studiata attraverso questionari e interviste approfondite condotte da esperti dell’Associazione Italiana Ansia da Cambiamento Climatico (AIACC) in Italia e Spagna. I risultati rivelano che gli eventi climatici improvvisi, come le alluvioni, generano emozioni acute e immediatamente percepibili, mentre i cambiamenti più lenti e graduali del paesaggio, quali la siccità prolungata, inducono emozioni che si stratificano e perdurano nel tempo. Questa differenza è cruciale per comprendere la natura dei disturbi psicologici che ne derivano. “È come se la velocità di cambiamento del nostro stato d’animo rispecchiasse la rapidità della trasformazione del paesaggio che ci circonda”, affermano gli esperti, sottolineando una risonanza profonda tra l’individuo e l’ambiente.

Un caso emblematico di questa dinamica è rappresentato dalla Catalogna, in Spagna, dove una siccità persistente da tre anni ha portato le riserve idriche al di sotto del 16% nel gennaio 2024. Il governo locale è stato costretto ad attuare misure straordinarie a causa della situazione emergenziale che ha colpito ben 202 comuni, inclusa Barcellona, influenzando circa sei milioni di cittadini. All’interno di tale scenario emergenziale si evidenzia un notevole incremento nei livelli di solastalgia tra la popolazione catalana. Le comunità e i singoli individui vivono con profonda angoscia l’inevitabile metamorfosi dell’ambiente circostante insieme alle consuetudini consolidate; assistono alla perdita delle realtà care a cui erano affezionati da sempre e che costituivano una certezza nelle loro routine quotidiane, nonché nel patrimonio culturale collettivo. In questa cornice problematica, la solastalgia si presenta come una nostalgia per un luogo perduto, pur rimanendovi fisicamente, generando stati d’animo caratterizzati da disorientamento, nonché lutto anticipato, con forti ripercussioni sul benessere psicologico.

D’altra parte, le alluvioni inducono sintomi chiaramente associati al trauma vissuto dalla popolazione. Le informazioni raccolte mostrano punteggi elevati sui vari strumenti diagnostici atti a misurare sia i segni del Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) sia quelli relativi all’ansia e alla depressione. I fattori scatenanti di questi quadri clinici sono molteplici e interconnessi: vanno dai traumi fisici diretti, come ferite e ustioni, a traumi psicologici di vasta portata. Questi ultimi possono includere l’esperienza devastante di vedere la propria casa distrutta, i ricordi più preziosi inghiottiti dal fango, o semplicemente l’assistenza impotente a scene di distruzione del proprio territorio. Il 2024 ha ribadito la crudeltà di tali eventi: il ciclone Boris, che ha colpito l’Emilia-Romagna tra il 18 e il 19 settembre, riversando 250 millimetri di pioggia in 24 ore, ha riacceso i traumi preesistenti nelle stesse comunità e nelle stesse abitazioni già compromesse nel maggio 2023. Questa ripetitività esacerba la vulnerabilità psichica, trasformando il trauma da evento singolo in un processo cumulativo e logorante. Il concetto di trauma, derivante dal greco “????u?” (ferita), in medicina si riferisce a una lesione prodotta in modo improvviso, rapido e violento. A livello psichico, esso rappresenta un turbamento profondo causato da un evento con una potente carica emotiva. I disastri naturali rientrano pienamente in questa categoria, accanto a guerre, violenze fisiche o sessuali, detenzioni e rapimenti. Un trauma iniziale può innescare un “effetto domino”, generando una cascata di micro e macro-traumi che possono persistere indefinitamente nel tempo. È il cosiddetto trauma cumulativo, in cui il trauma non è più percepito come un singolo evento isolato, ma come un processo continuo e sfiancante, dove la stanchezza emotiva prende il sopravvento sulla paura. Questo stato di allerta costante, o iperattivazione, si manifesta in chi vive un’alluvione, come riportato da una donna di Campi Bisenzio: “La prima settimana non sopportavo il rumore dell’acqua: quando pioveva mi coprivo le orecchie con le mani”. Questo testimonia la profonda alterazione dei meccanismi di risposta emotiva e fisiologica, che possono portare a un incremento del cortisolo – l’ormone dello stress – e delle citochine nel sangue, aumentando il rischio di infiammazioni e la genesi di numerosi disturbi psichiatrici.

La crisi dell’identità e la resilienza collettiva

Il legame con il proprio territorio trascende spesso la mera dimensione pratica o economica, assumendo una valenza profonda che incide sull’identità e sul senso di appartenenza. Per chi abita nelle campagne e vive del lavoro della terra, il degrado del paesaggio e l’impossibilità di prendesene cura possono generare un senso di lutto paragonabile alla perdita di una parte di sé. Quest’area di studi rientra nella psicologia cognitiva e comportamentale moderna. “Si tratta di una relazione identitaria e spirituale, che influisce direttamente sul senso di appartenenza”, sottolinea un’esperta psicologa dell’AIACC. “La fine del legame con la propria terra può causare una sorta di crisi di identità”, suggerendo come il benessere psicologico sia intrinsecamente connesso all’ambiente. Questa profonda connessione è emersa con forza dalle testimonianze raccolte. Gianni, che praticava orticoltura naturale e castanicoltura a Rocca San Casciano, descrive la liquefazione della strada che conduceva al suo podere, un luogo che lui stesso aveva cercato di “ridare vita come un sentiero nel bosco delle fate”. La devastazione ha “stravolto il profilo della montagna”, lasciandolo camminare su una terra “che sembrava una spugna bagnata”, una metafora potente del suo stato d’animo.

La dimensione economica amplifica ulteriormente questo impatto psicologico. Maria Gordini, 69 anni, residente a Boncellino, frazione di Bagnacavallo, in Emilia-Romagna, ha visto la sua famiglia perdere due case, quattro auto e il frutteto a trecento metri dal punto in cui il Lamone ha rotto l’argine due volte. Per lei e la sua famiglia, la raccolta delle mele rappresentava “l’entrata più importante”, un punto di riferimento anche quando altre colture fallivano. La perdita dei “campi che erano dei gioielli” ha minato non solo la sicurezza economica ma anche il senso di valore e di cura che avevano investito nella terra. Nonostante il fiume abbia straripato per la terza volta nel settembre scorso, Gordini afferma di aver “accettato quello che è accaduto senza urla: è successo e bisogna ripartire”. La sua è una testimonianza di una forma di resilienza individuale, ma anche una spia delle difficoltà nel mantenere una resilienza collettiva quando le perdite si susseguono e le infrastrutture di supporto faticano a tenere il passo. La resilienza collettiva, definita come la capacità di una comunità di far fronte in modo positivo agli eventi traumatici, riorganizzando positivamente la propria vita e rafforzando i legami sociali attraverso riti e narrazioni, risulta messa a dura prova in contesti di trauma cumulativo.

Tuttavia, proprio la natura e il supporto delle reti sociali possono innescare processi di elaborazione del trauma e favorire la resilienza. “La natura può rappresentare una fonte di resilienza”, afferma nuovamente la psicologa. “Salvare ciò che resta e la volontà di ricostruire donano agli individui speranza e un senso di ritrovata connessione.” Questo approccio, che può essere definito una “terapia ecologica”, dove l’atto di coltivare e proteggere l’ambiente contribuisce a curare ferite emotive profonde, richiama le basi della psicologia comportamentale che vede nell’azione concreta un modo per influenzare gli stati emotivi. Maria Gordini, che quotidianamente pulisce il suo giardino e ripristina aiuole ed erbe aromatiche, incarna questa pratica curativa. La sua frase conclusiva, “Non mi sento tradita dal fiume: forse è il fiume che ha bisogno di aiuto”, ribalta la prospettiva, suggerendo una profonda connessione empatica con l’ambiente che va oltre la percezione della minaccia. Una prospettiva che stimola a riflettere su come la dipendenza reciproca tra umani e ambiente sia una strada a doppio senso, dove il benessere dell’uno è intrinsecamente legato a quello dell’altro.

In questo scenario, gli infermieri e i servizi di emergenza sanitaria si trovano di fronte a nuove sfide. Il cambiamento climatico, rendendo gli eventi meteorologici estremi sempre più frequenti, sta creando nuove difficoltà per i sistemi sanitari, che devono affrontare non solo i traumi fisici ma anche quelli psicologici. L’impatto del cambiamento climatico sui servizi di emergenza sanitaria è ancora troppo sottovalutato, ma rappresenta una sfida globale di proporzioni crescenti, richiedendo protocolli operativi che integrino il supporto psicologico nel primo soccorso e nelle fasi successive. Non si tratta unicamente di una lesione corporea; l’impatto si estende con intensità alla psiche, sia a livello collettivo che personale. Tale situazione richiede in modo pressante una riflessione approfondita accompagnata da un’azione che abbracci diverse discipline.

Affrontare le ferite invisibili: un approccio integrato di cura e riflessione

La risonanza emotiva che un disastro ambientale provoca è un intricato labirinto di reazioni fisiologiche e cognitive, un riflesso diretto di ciò che la psicologia cognitiva definisce come valutazione cognitiva: il modo in cui percepiamo e interpretiamo un evento determina la nostra risposta emotiva. Di fronte a un’alluvione o a una siccità prolungata, la mente elabora la minaccia non solo come una perdita materiale tangibile, ma come un attacco al proprio senso di sicurezza, stabilità e identità. I sintomi fisici dell’ansia, come l’aumento della frequenza cardiaca e respiratoria o la sensazione di pericolo imminente, sono il risultato di questa valutazione, innescando una reazione di “attacco o fuga” destinata a salvaguardarci dal pericolo percepito. Queste reazioni non si limitano all’immediato dopo-evento, ma possono evolvere in forme di trauma più complesse e croniche, come il Disturbo Post-Traumatico da Stress.

A un livello più avanzato, la teoria dell’attaccamento ai luoghi (place attachment), che si colloca tra i concetti della psicologia ambientale e sociale, ci offre una chiave di lettura profonda per comprendere la sofferenza legata ai disastri ambientali. Questa teoria evidenzia come gli esseri umani sviluppino un legame emotivo e cognitivo significativo con gli ambienti in cui vivono, li utilizzano o ne hanno esperienza. Un disastro non è quindi solo una distruzione fisica, ma una lacerazione di questo legame, un’aggressione alla memoria collettiva e individuale, alla cultura e al senso di sé che è intrinsecamente legato a quel luogo. La “solastalgia”, definita come la nostalgia per un ambiente che stiamo perdendo mentre vi abitiamo ancora, è un esempio lampante di come la distruzione di ciò che ci circonda possa erodere la nostra identità. Il dolore non è solo per ciò che è stato perso, ma per l’alterazione di un “sé” che era radicato in quel paesaggio.

Questa dimensione del trauma, spesso trascurata a favore delle perdite materiali, invita a una riflessione più ampia. La resilienza, tanto individuale quanto collettiva, non si costruisce solo attraverso la ricostruzione fisica, ma attraverso l’elaborazione di queste ferite invisibili. È necessario incoraggiare la narrazione delle esperienze, promuovere il dialogo all’interno delle comunità e, quando necessario, offrire supporto psicologico mirato. La “terapia ecologica”, che incoraggia l’azione in difesa dell’ambiente come processo curativo, offre una prospettiva promettente, trasformando l’impotenza in empowerment. La domanda che ci sorge spontanea è: in che modo possiamo, individualmente e come collettività, riconoscere queste ferite, dar loro voce e trasformare la paura e l’ansia in un impegno costruttivo verso un futuro più sostenibile e, di conseguenza, mentalmente più sano? La capacità di affrontare questa sfida definirà non solo la nostra sopravvivenza fisica, ma anche la nostra salute psicologica in un’epoca di profonde trasformazioni ambientali.

Definizione di Solastalgia: La solastalgia è un disagio psicologico causato da cambiamenti negativi nell’ambiente, legati ai fenomeni di cambiamento climatico. È un termine coniato dal filosofo australiano Glenn Albrecht, unendo “solace” (conforto) e “nostalgia” per descrivere il dolore che derivano dalla perdita di un ambiente familiare.
Glossario:
  • Eco-ansia: paura costante per il degrado dell’ambiente e il futuro del pianeta.
  • Solastalgia: nostalgia per un ambiente familiare che viene alterato, causando un profondo disagio psicologico.
  • Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS): disturbo psichico che si manifesta dopo l’esperienza di eventi traumatici.

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