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Allarme solitudine: la rivelazione shock di Ornella Vanoni sulla salute mentale degli anziani

- 22,4% degli over 65 assume psicofarmaci in Italia.
- Il 71,6% inizia ad assumere psicofarmaci in strutture residenziali.
- La solitudine aumenta il rischio di demenza del 50%.
La fragilità di Ornella e il dibattito sugli psicofarmaci
Le esplicite affermazioni rilasciate da Ornella Vanoni riguardo all’impiego degli psicofarmaci hanno riportato sotto i riflettori una questione cruciale che resta ancora soggetta a pregiudizi: quella della salute mentale negli anziani e dell’utilizzo della terapia medicamentosa. Durante il suo intervento al Salone del Libro tenutosi a Torino nel maggio 2025, questa artista dallo stile comunicativo senza filtri ha trattato tematiche intricate come il concetto stesso della morte insieme alla salute mentale. Ha rivelato senza indugi il proprio ricorso agli psicofarmaci avvertendo altresì sui pericoli dell’interruzione dei trattamenti farmacologici. Tale modalità espressiva così aperta può apparire contraddittoria – nel riconoscere le proprie vulnerabilità mentre si emette un ammonimento forte verso gli altri – ed apre a riflessioni profonde circa come gli psicofarmaci vengano percepiti dalla società odierna, soprattutto in relazione alla popolazione senior.
Considerata l’iconicità del suo personaggio unitamente ai suoi 89 anni al momento delle sue osservazioni incisive, le sue parole assumono una rilevanza notevole, dotate della capacità potenziale di modificare le convinzioni diffuse fra numerosi italiani; questo è particolarmente vero nei confronti dei suoi contemporanei. La dicotomia tra la sua velata rassegnazione, espressa nell’incertezza di “arrivare a Natale”, e il suo energico invito a perseguire le terapie, evidenzia la complessità dell’esperienza legata alla salute mentale e ai suoi trattamenti in età avanzata.
L’evento del Salone del Libro, in cui ha presentato il suo libro “Vincente o perdente“, edito da La Nave di Teseo, è diventato così un palcoscenico inatteso per una discussione più ampia che va oltre l’ambito artistico e lambisce questioni di salute pubblica e benessere sociale. La sua volontà di esporsi, pur riconoscendo la difficoltà di amarsi e di accettare la fragilità, diventa un punto di partenza per analizzare come il discorso pubblico possa contribuire a normalizzare o, al contrario, a perpetuare lo stigma legato ai disturbi psichici e al loro trattamento farmacologico.
Title: Vincente o perdente
Author: Ornella Vanoni e Pacifico
Publisher: La Nave di Teseo
Year: 2025
Le sue parole si inseriscono in un contesto in cui la salute mentale è sempre più al centro dell’attenzione, ma dove permangono resistenze e disinformazione riguardo all’uso dei farmaci psichiatrici, specialmente tra le fasce d’età più anziane. La sincerità di Vanoni, nel bene e nel male, offre un’opportunità unica per esplorare le sfaccettature di questo dibattito. Le sue affermazioni, come quella sulla sinistra addormentata” e l’Europa “tutta a destra”, aggiungono un ulteriore livello di disincanto politico che, sebbene non direttamente legato all’uso di farmaci, contribuisce a dipingere il quadro di una generazione che si confronta apertamente con le sfide della vita, inclusa quella della salute mentale.
- Ornella Vanoni ha il coraggio di parlare chiaro... ❤️...
- L'uso di psicofarmaci negli anziani è un problema... 😔...
- Invecchiare non è solo un declino, ma anche... 🤔...
Psicofarmaci e anziani: un quadro complesso
Le osservazioni formulate da Ornella Vanoni contrastano nettamente con i dati reali concernenti l’assunzione di psicofarmaci nel contesto italiano; questa problematica risulta particolarmente evidente tra gli individui più anziani ed implica conseguenze epidemiologiche rilevanti e meritevoli d’attenzione. Le informazioni aggiornate fornite da enti come Eurispes e AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) illustrano una situazione complessa: dal rapporto Eurispes datato maggio 2024 emerge infatti che circa uno su cinque italiani ha ricorso a psicofarmaci quali ansiolitici o antidepressivi negli ultimi dodici mesi; tale cifra appare costante se confrontata con periodi precedenti. Tra coloro che superano i sessantacinque anni si registra una concentrazione elevata nell’assunzione: ben 22,4% degli individui rientra nella suddetta categoria.
Un’analisi ancora più approfondita può essere trovata nei documenti prodotti dall’AIFA riguardo ai farmaci destinati alla popolazione senior; questi report mostrano chiaramente come chi appartiene alla fascia oltre i 65 anni possa prendere fino a tre diversi medicinali ogni giorno contribuendo per quasi il 70% all’intero consumo farmacologico nazionale. Di notevole rilievo è inoltre emerso dalla ricerca che la maggior parte delle persone anziane comincia ad assumere psicofarmaci una volta inserite nelle strutture residenziali (71,6%) oppure contestualmente all’ingresso stesso (22%); ciò porta a considerare sia lo stato di istituzionalizzazione sia le problematiche comportamentali correlate quali motivazioni fondamentali per avviare trattamenti terapeutici specifici.

Uno studio specifico sull’uso di psicofarmaci nelle strutture residenziali per anziani nel Nord Italia, condotto tra il settembre 2003 e il novembre 2004, ha rilevato che il 58% degli ospiti in una struttura e il 50% in un’altra assumevano psicofarmaci. I farmaci più prescritti erano il lorazepam (18,1%) e l’aloperidolo (11,2%), con dosaggi medi giornalieri contenuti. Gli antidepressivi, tra cui sertralina, trazodone e citalopram, erano prescritti complessivamente nel 23% dei soggetti. Un dato interessante è che il 52,8% della popolazione in studio assumeva farmaci di una sola categoria, mentre il 47,2% era in politerapia, spesso con associazioni “atipiche” di due o più psicofarmaci. Il giudizio di efficacia veniva segnalato come soddisfacente nel 73% dei casi, ma la segnalazione di effetti collaterali era bassa, sollevando interrogativi sull’effettiva sorveglianza in un contesto di fragilità e non autosufficienza.
Tipo di farmaco | Percentuale di assunzione |
---|---|
Lorazepam | 18,1% |
Aloperidolo | 11,2% |
Antidepressivi (generale) | 23% |
Assunzione di una sola categoria | 52,8% |
Politerapia (due o più farmaci) | 47,2% |
La decisione di modificare la terapia neurolettica, che riguardava circa la metà dei soggetti in terapia con questi farmaci, non sembrava significativamente influenzata dall’età o dal sesso, ma correlava con la segnalazione di uno o più eventi clinici sfavorevoli come ospedalizzazioni o episodi infettivi. Sorprendentemente, lo studio ha rilevato che la popolazione con una modifica della terapia presentava una mortalità più bassa rispetto a quella con terapia stabile, suggerendo che l’essere sottoposti a maggiore “sorveglianza” e valutazione clinica possa avere un effetto protettivo. Le informazioni fornite mettono in rilievo come il fenomeno si presenti in tutta la sua complessità, suggerendo un preoccupante livello d’uso degli psicofarmaci tra le persone anziane. Un aspetto significativo è costituito dalla frequenza con cui viene praticata la politerapia; ciò implica un bisogno incessante di effettuare valutazioni che siano sia continue che personalizzate circa l’efficacia e i rischi associati ai vari trattamenti.
Gli specialisti enfatizzano come sia indispensabile procedere a una dettagliata valutazione complessiva del soggetto coinvolto. È essenziale documentare minuziosamente i vari sintomi o i disturbi psichiatrici riscontrati; inoltre, è fondamentale adattare le scelte terapeutiche riguardanti il farmaco e il suo dosaggio alle esigenze individuali. Si raccomanda altresì integrazioni attraverso approcci non farmacologici affiancati dalla terapia medicamentosa. La richiesta pressante è quella di incrementare le ricerche dedicate esplicitamente alla popolazione anziana affinché si possano perfezionare le modalità prescrittive stesse, mirando a garantire un’effettiva valorizzazione della qualità della vita all’interno di questo gruppo demografico.
Solitudine, ageismo e disagio: l’altra faccia della salute mentale anziana
Le questioni inerenti la salute mentale della popolazione anziana trascendono l’impiego farmacologico e si intrecciano con problematiche sociali e culturali assai radicate. In Italia, il processo d’invecchiamento demografico rappresenta una tendenza implacabile; tuttavia, lo Stato appare ancora privo delle necessarie misure per mitigare le conseguenze sul benessere psichico degli individui. Un’indagine recente condotta su dati provenienti da 29 Nazioni e pubblicata nella rivista Aging and Mental Health, ha messo in luce come gli anziani italiani vivano una concentrazione particolarmente elevata della solitudine; tale fenomeno rispecchia situazioni similari riscontrabili anche nei paesi del sud Europa. Il punteggio medio relativo alla solitudine per gli adulti italiani si attesta a 1,3 su sei disponibili nel range europeo; questo posiziona l’Italia tra i paesi con maggiore incidenza nel contesto occidentale europeo. Le circostanze descritte – *il che include la formazione scolastica carente (dove quasi sette decimi dei soggetti oltre i cinquant’anni possiedono titoli inferiori al diploma) e la mancanza d’impiego (con oltre quattro quinti che risultano inattivi)* – intensificano ulteriormente la vulnerabilità all’isolamento sociale. La questione della solitudine va oltre la mera classificazione numerica ed esercita effetti devastanti sulla sfera psichica: circa il 35% delle persone intervistate nello Stivale mostrava segni riconducibili a stati depressivi.
Essere non occupati e non coniugati (vedovi, separati o single) sono i principali determinanti che spiegano le disuguaglianze di solitudine legate all’età in Italia, incidendo profondamente sul supporto sociale quotidiano. La solitudine è stata definita una vera e propria “epidemia sociale”, con conseguenze cliniche rilevanti. È associata a un aumento del rischio di demenza del 50% e della premortalità del 30%, con un impatto paragonabile al tabagismo cronico e all’obesità. Questo fenomeno si inserisce in un contesto più ampio di ageismo, la discriminazione basata sull’età, che l’OMS considera la forma di discriminazione più frequente, persistente, normalizzata e socialmente accettata.
L’ageismo, unito ad altri fattori come lo spopolamento dei centri storici e la chiusura dei negozi di prossimità, contribuisce a spingere gli anziani ai margini della società, innescando un circolo vizioso che porta al deterioramento della salute mentale. Le statistiche sui suicidi anziani sono allarmanti: rappresentano il 37% dei suicidi totali in Italia, sebbene gli anziani costituiscano il 24% della popolazione generale. Questo dato, che riguarda soprattutto uomini, residenti nelle città e persone con più di 80 anni, è un segnale drammatico di un disagio profondo.
È stato riscontrato che la frequenza degli incubi aumenta con l’età, essendo oltre tre volte superiore tra gli over 70 rispetto agli adulti tra i 50 e i 70 anni, e vi è una forte correlazione tra incubi e rischio di suicidio. La necessità di interventi mirati diventa urgente per affrontare la salute mentale nella terza età.
I primi segnali di una marginalità sociale possono manifestarsi attraverso disturbi del sonno e un aumento della frequenza di incubi, che a loro volta possono favorire lo stato depressivo. Di fronte a questo quadro, la necessità di interventi mirati diventa urgente. Programmi di supporto alla salute mentale specifici per gli over 65, iniziative per promuovere la partecipazione sociale e il volontariato tra i pensionati, e politiche di sostegno alla vedovanza e alla solitudine abitativa, come cohousing e spazi comunitari, sono solo alcune delle possibili soluzioni. Trattare la solitudine tra le persone anziane necessita di una strategia che integri diverse dimensioni, fondata su supporto personale e programmi sociali e culturali. È fondamentale comprendere che il benessere degli individui in età avanzata è un problema collettivo, implicando l’intera comunità.
Nuove prospettive e riflessioni sulla salute mentale che invecchia
Le considerazioni espresse da Ornella Vanoni, unite ai dati concernenti l’impiego degli psicofarmaci e al fenomeno crescente della solitudine fra le persone anziane, sollecitano un’indagine approfondita sul senso dell’invecchiamento in relazione alla salute mentale; si pone quindi l’interrogativo su quali strategie adottare affinché il tessuto sociale possa offrire un supporto adeguato agli individui nella fase avanzata della loro vita. A seguito dei principi fondamentali forniti dalla psicologia cognitiva, occorre notare che il processo d’invecchiamento non equivale automaticamente a un impoverimento delle capacità mentali; sebbene vi siano indubbiamente alcune aree cognitive soggette a deterioramento con il passare degli anni, vale comunque la pena sottolineare che l’accumulo esperienziale, insieme alla saggezza derivata dall’esistenza, costituiscono valori imprescindibili. È necessario anche prendere in considerazione le difficoltà emotive apportate da eventi critici quali lutti o una diminuzione significativa delle relazioni interpersonali, oltre ai mutamenti del ruolo esistenziale sia nell’ambito familiare sia sociale: tutte queste dinamiche rischiano seriamente di compromettere le difese psichiche.
A questo riguardo, è fondamentale tenere presente quanto elaborato dalla psicologia comportamentale; essa evidenzia la rilevanza cruciale dell’attivazione comportamentale quale strumento essenziale per far fronte all’apatia insorgente e alle manifestazioni depressive correlate al processo d’invecchiamento. Così facendo emerge con chiarezza che stimolare i nostri anziani verso attività comunitarie vitalmente contributive permette loro non solo uno sviluppo fisico, ma altresì mentale attivo; scoprire nuove motivazioni e interessi è determinante nella ricerca quotidiana del benessere individuale in questa delicata fase della vita. Una nozione di psicologia cognitiva avanzata applicabile a questo contesto è la “teoria della selettività socioemotiva” (SST). Questa teoria suggerisce che, con l’avanzare dell’età, le persone tendono a focalizzarsi su obiettivi emotivamente significativi, riducendo le interazioni sociali superficiali a favore di quelle più intime e gratificanti.
Per gli anziani, ciò può portare a una maggiore soddisfazione nelle relazioni strette, ma li rende anche più vulnerabili alla solitudine e alla depressione in caso di perdita di persone significative o di isolamento sociale. Comprendere la SST è fondamentale per sviluppare interventi che supportino gli anziani nel mantenere e rafforzare le loro reti sociali significative, piuttosto che semplicemente promuovere interazioni quantitative.
La riflessione che emerge è che la salute mentale in età avanzata non è solo una questione clinica da trattare con farmaci, ma un complesso intreccio di fattori biologici, psicologici e sociali. La decisione di ricorrere agli psicofarmaci, così come l’esperienza della solitudine, dovrebbe essere affrontata con comprensione e supportata da un sistema socio-sanitario che riconosca la dignità e le esigenze specifiche degli anziani. Dobbiamo superare l’ageismo e costruire una società che valorizzi l’esperienza e il contributo delle persone anziane, offrendo loro opportunità di partecipazione e di mantenimento del proprio benessere psicofisico.
Il problema della salute mentale in Italia coinvolge circa 16 milioni di persone, con un aumento della domanda di sostegno e trattamento. È essenziale investire in programmi di prevenzione e diagnosi precoce per migliorare il benessere psicologico degli anziani e della popolazione in generale.
Le parole di personalità pubbliche come Ornella Vanoni, pur nella loro complessità, possono fungere da catalizzatore per un dibattito necessario e per un cambiamento di prospettiva. Dopotutto, l’invecchiamento è un percorso che riguarda tutti, e prendersi cura della salute mentale nella terza età significa prendersi cura del futuro della nostra società.

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