Scandalo Harvard: Francesca Gino, la guru dell’onestà accusata di frode

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  • Harvard revoca la cattedra a Francesca Gino per manipolazione dati in 4 studi.
  • Gino intenta causa da 25 milioni di dollari, ma le accuse di diffamazione vengono respinte.
  • Il caso riapre il dibattito sul "pubblica o muori" e l'etica nella ricerca scientifica.

Il caso Francesca Gino e lo scandalo di Harvard

La decisione assunta dall’università riguardo alla cattedra permanente della
professoressa Francesca Gino, provedal Trentino e apprezzata figura alla Harvard Business School, ha generato
profonde onde d’urto all’interno della sfera accademica globale. Le accuse iniziali sono state avanzate nel corso del 2023
tramite un blog curato da specialisti delle scienze comportamentali ed evidenziano presunti episodi di
manipolazione dei dati verificatisi in studi diversi pubblicati dal 2012 al 2020. Di fronte a tale grave asserzione che implica frodi
nell’ambito scientifico, l’istituto si è visto costretto ad aprire un’inchiesta interna; come risultato immediato si è disposto per lo
scorso settembre il trasferimento della docente in congedo amministrativo non pagato. La conclusione dell’indagine ha portato
recentemente alla notizia concernente la revoca definitiva dell’incarico accademico.

Nel panorama attuale delle scienze gestionali, Francesca Gino emerge come una personalità altamente rispettata, inserita tra i
cinquanta pensatori più innovativi nei settori manageriali su scala mondiale; il suo libro intitolato Rebel Talent: Why It Pays to Break
the Rules at Work and in Life
ne consolida ulteriormente il valore intellettuale. L’oggetto delle sue indagini riguarda
principalmente temi legati all’onestà professionale e ai valori etici; tuttavia, queste nuove contestazioni circa presunte
irregolarità nell’uso dei dati assumono toni fortemente paradossali nello scenario

descritto dalle sue opere. L’indagine interna di Harvard ha concluso che la docente avrebbe alterato i dati in almeno quattro studi al
fine di sostenere le proprie tesi.

Titolo: Rebel Talent: Why It Pays to Break the Rules at Work and in Life
Autore: Francesca Gino
Casa Editrice: HarperBusiness
Anno: 2018

La reazione di Francesca Gino non si è fatta attendere. La professoressa ha negato con fermezza tutte le accuse e ha intentato
una causa milionaria: 25 milioni di dollari contro Harvard, il preside della Business School, Srikant Datar, e i blogger responsabili
del sito Data Colada. Le accuse mosse dalla Gino includono diffamazione, discriminazione di genere e violazione della privacy.
Tuttavia, lo scorso settembre, un giudice federale di Boston ha respinto le accuse di diffamazione nei confronti di Harvard e dei
blogger, sostenendo che, essendo la Gino un personaggio pubblico, l’attenzione mediatica e la critica rientravano nella protezione
del Primo Emendamento della Costituzione.

Questo caso, esploso in un periodo in cui le istituzioni accademiche e scientifiche negli Stati Uniti sono già sotto esame critico, ha
innescato un ampio dibattito. Le questioni sul tavolo riguardano l’integrità della ricerca scientifica, la responsabilità delle università
nel prevenire e sanzionare le frodi, e il delicato equilibrio tra la tutela della reputazione dei docenti e l’indispensabile necessità di
trasparenza
. Secondo alcune fonti, non risultano altri casi in cui Harvard abbia revocato la “tenure” (l’equivalente della cattedra
italiana a tempo indeterminato) a un professore, il che sottolinea la gravità della situazione.

La vicenda mette in luce gli aspetti oscuri della ricerca accademica, dove la pressione a pubblicare e la competizione per i
riferiscono finanziamenti possono innescare comportamenti non etici. Il sistema del “pubblica o muori”, una realtà ben nota
nell’ambiente accademico, viene nuovamente messo in discussione come potenziale fattore che contribuisce a scivolamenti etici.
Le conseguenze di tali frodi non ricadono solo sull’individuo accusato, ma minano la fiducia generale nella scienza e nella validità
dei risultati ottenuti.

Le implicazioni per la riproducibilità e l’etica della ricerca

Non possiamo considerare il caso relativo a Francesca Gino come una singola eccezione; esso si colloca all’interno delle sempre
più diffuse ansie connesse alla crisi della riproducibilità nel dominio della ricerca scientifica. La riproducibilità rappresenta infatti
uno degli assi portanti del metodo scientifico: essa implica che i risultati ottenuti in una determinata indagine possano essere
confermati attraverso l’applicazione degli stessi procedimenti metodologici. Tuttavia, nel momento in cui vi è una
manipolazione dei dati, questa necessità si trasforma in impossibilità concreta; ciò compromette non solo l’integrità e l’affidabilità
dell’intero sistema conoscitivo derivato da tali risultanze alterate, ma colpisce anche direttamente i ricercatori individualmente
e mina al tempo stesso la fiducia collettiva verso le pratiche scientifiche.

Le forme che assume tale manipolazione sono molteplici: possono andare dalla creazione falsa ex novo dei set informativi fino a
interventi mirati su alcuni esiti al fine di ottenere conclusioni attese o preferenziali. A prescindere dal metodo specificamente
adottato, il fine rimane invariato: proporre una visione distorta delle evidenze empiriche con lo scopo precipuo sia di sostenere
convinzioni personali già consolidate sia di conseguire riconoscimenti editoriali su riviste prestigiose. Questa pressione a
pubblicare (“publish or perish”) è stata identificata come uno dei fattori chiave che possono spingere i ricercatori a
comportamenti non etici. La competizione per i finanziamenti, la necessità di avanzare nella carriera accademica e il desiderio di
fama sono tutti elementi che possono contribuire a creare un ambiente tossico dove l’integrità scientifica

rischia di passare in secondo piano. Il caso Gino, in particolare, solleva interrogativi specifici nel campo della psicologia
comportamentale e della ricerca sull’onestà. Se studi volti a comprendere la natura dell’onestà e i fattori che la influenzano sono
basati su dati manipolati, l’intera comprensione del fenomeno rischia di essere distorta. Questo ha potenziali ricadute pratiche
significative, ad esempio nell’elaborazione di politiche basate sull’evidenza o nello sviluppo di interventi volti a promuovere
comportamenti etici.

Affrontare la crisi della riproducibilità e prevenire le frodi scientifiche richiede un approccio multilivello. Le istituzioni
accademiche
sono chiamate a potenziare le loro procedure per garantire il rispetto dell’etica, affinché migliorino le dinamiche del
processo di peer review. È imprescindibile sostenere una cultura improntata su trasparenza e apertura. Pubblicare i dati grezzi,
ogniqualvolta sia fattibile, rappresenta un contributo decisivo nel favorire la verifica autonoma dei risultati ottenuti dagli studi
condotti. Allo stesso modo, si rivela cruciale fornire ai giovani studiosi un’istruzione approfondita riguardante l’etica nella ricerca
scientifica nonché le fondamenta della metodologia.

Questi neolaureati si trovano frequentemente sotto pressione da parte del sistema; pertanto richiedono assistenza continua ed
efficaci programmi di mentoring per orientarsi con successo in contesti competitivi senza compromettere gli alti standard morali
necessari.

Un articolo recente ha segnalato che nel corso del 2023 sarà attivata dal National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti
l’introduzione di requisiti più severi relativi alla gestione e alla divulgazione delle informazioni statistiche raccolte nei progetti.
[Wired Italia]
Questa nuova policy obbligherà i ricercatori a fornire un piano per la custodia e la diffusione dei dati raccolti durante le
ricerche, un passo fondamentale verso una maggiore trasparenza e affidabilità della scienza. Il dibattito riguardante il caso Gino ha
indubbiamente messo in evidenza l’importanza del ruolo svolto dai critici accademici e da piattaforme come Data Colada, le quali
si dedicano a far emergere possibili discrepanze nelle ricerche. Anche se la Gino ha contestato con vigore le accuse formulatele, non
si può sottovalutare la funzione essenziale delle risorse autonome che effettuano un’analisi critica delle pubblicazioni scientifiche:
possono operare come efficaci strumenti di supervisione e responsabilizzazione nella sfera della ricerca. È fondamentale però che
queste osservazioni critiche poggino su basi fattuali ben solide e siano espresse con responsabilità, escludendo ogni forma di
attacco personale o diffamatorio.

Le motivazioni psicologiche dietro la frode scientifica

Comprendere le ragioni che portano un ricercatore a manipolare o falsificare dati è cruciale per affrontare il problema della frode
scientifica alla radice. Sebbene non esista una singola causa universale, diversi fattori psicologici e contestuali possono contribuire
a tali comportamenti. Uno dei principali motori è la pressione al successo e alla pubblicazione. In un ambiente accademico
altamente competitivo, dove la progressione di carriera e l’ottenimento di finanziamenti sono strettamente legati al numero e
all’impatto delle pubblicazioni, la tentazione di “migliorare” i risultati per renderli più significativi e pubblicabili può diventare
schiacciante. Questo non è solo un problema italiano, ma una realtà globale nel mondo della ricerca.

A livello psicologico, diversi elementi possono entrare in gioco. Il desiderio di fama e riconoscimento è un potente motivatore. La
pubblicazione su riviste prestigiose e la citazione diffusa del proprio lavoro possono portare a notorietà e rispetto all’interno della
comunità scientifica e non solo. Questa ricerca di convalida esterna può

talvolta superare l’impegno verso la verità scientifica. Inoltre, possono esserci bias cognitivi che influenzano il comportamento. Un
ricercatore potrebbe essere talmente convinto della propria ipotesi da interpretare o persino manipolare i dati in modo da
confermarla (confirmation bias). Oppure, potrebbe sottovalutare la gravità delle proprie azioni, razionalizzando la manipolazione
come una piccola alterazione necessaria per ottenere risultati “puliti” o per correggere presunti errori di misurazione.

La tolleranza al rischio percepito gioca anch’essa un ruolo. Se un ricercatore crede che la probabilità di essere scoperto sia bassa, la
tentazione di ricorrere alla frode aumenta. La mancanza di meccanismi di controllo efficaci o la percezione di impunità possono
alimentare tali comportamenti. D’altro canto, il timore del fallimento può essere un ulteriore fattore scatenante. Studi che non
producono risultati statisticamente significativi o che non supportano l’ipotesi di ricerca possono essere visti come un fallimento,
con conseguenze negative sulla carriera. In questo scenario, manipolare i dati può sembrare una scorciatoia per evitare l’esito
negativo.

È interessante notare che la psicologia della menzogna e dell’onestà, il campo in cui Francesca Gino stessa conduceva ricerche,
offre spunti per comprendere questi comportamenti. La menzogna, in generale, è un atto deliberato volto a ingannare un altro
individuo. Nel contesto scientifico, la frode è una forma specifica di menzogna che ha conseguenze particolarmente dannose. Le
ricerche dimostrano che mentire, anche in piccole dosi, può indebolire i freni inibitori e rendere più facile ricorrere a menzogne più
grandi in futuro. Questo “effetto scivoloso” potrebbe spiegare come un singolo atto di manipolazione dei dati possa evolvere in
una pratica sistematica.

Infine, l’ambiente di lavoro e la cultura istituzionale giocano un ruolo significativo. Se un dipartimento o un’università non prende
sul serio le accuse di frode, o se esiste una pressione eccessiva sulla produttività a discapito della qualità e dell’iter etico, i rischi di
comportamenti scorretti aumentano. È essenziale incoraggiare un ambiente caratterizzato da una trasparenza consolidata,
dall’aumento delle aperture comunicative e dalla creazione di solidi legami di sostegno reciproco fra i ricercatori, poiché tali
elementi sono cruciali nel fronteggiare quelle motivazioni che possono indurre alla frode.

L’impatto sugli studiosi e sulla psicologia

Il caso di Francesca Gino e, più in generale, il problema della frode scientifica hanno un impatto profondo e duraturo,
specialmente sui giovani ricercatori. Questi ultimi si trovano in una fase cruciale della loro carriera, in forte competizione per
posizioni permanenti, finanziamenti e riconoscimenti. Assistere a casi di alto profilo di presunta frode inibisce il loro entusiasmo,
mina la loro fiducia nel sistema accademico e può persino indurli a chiedersi se l’integrità sia davvero valorizzata quanto la
produttività.

La consapevolezza che le frodi possono passare inosservate, o che le sanzioni possano essere insufficienti, può demoralizzare chi si
impegna a condurre ricerche in modo etico e scrupoloso. Inoltre, i giovani ricercatori spesso lavorano sotto la guida di docenti
senior e possono sentirsi pressionati a conformarsi alle aspettative o a “produrre” risultati che soddisfino i loro mentori, anche a
costo di compromettere l’integrità. È quindi fondamentale che le istituzioni accademiche e i ricercatori esperti assumano un ruolo
attivo nel promuovere una cultura dell’etica e nel fornire mentorship e supporto ai giovani colleghi. L’esempio del caso Gino risulta
fortemente rappresentativo sotto l’ottica psico-sociale. La questione relativa alla frodi scientifica, infatti, si intreccia
profondamente con processi cognitivi ed emotivi dai contorni complessi. Si noti come vari elementi quali la pressione esercitata
dall’ambiente circostante, l’ambizione sfrenata e la propensione a rischiare siano fattori decisionali critici da considerare in questo
contesto mentale delicato. Parallelamente va sottolineato come l’indagine su menzogne e inganni rivesta una posizione centrale
nella disciplina della psicologia cognitiva così come in quella sociale; gli studi condotti in quest’area mirano ad analizzare
dettagliatamente gli aspetti neurali oltre ai modelli comportamentali implicati nelle falsità comunicative, nonché a delineare i tratti
distintivi delle persone dedite all’inganno insieme alle strategie per individuarlo efficacemente.

È proprio paradossale constatare che una ricercatrice specializzata in tali tematiche possa trovarsi coinvolta nell’occhio del ciclone

accusatoria relativa a frode scientifica: ciò conferisce ulteriore spessore ironico alla narrazione.
Le manipolazioni all’interno delle indagini sul comportamento umano possiedono conseguenze tangibili sull’interpretazione
pubblica riguardo a temi cruciali nella quotidianità degli individui: basti pensare all’onestà personale o collettiva così come ai
percorsi decisionali influenzati da bias cognitivi

concomitanti nelle interazioni sociali attive oggigiorno; errori nei risultati provenienti da ricerche ritenute affidabili possono generare
false informazioni circolate tra chi fruisce del sapere – tale coscienza serve spesso per illuminare pratiche professionistiche
trasversali (nel management piuttosto che nel marketing oppure nell’educazione) portando quindi alla diffusione involontaria ma
potenzialmente fuorviante dei contenuti elaborati. La questione in esame non si limita a minacciare la credibilità del campo
d’indagine; ha potenziali ripercussioni decisamente tangibili sul piano pratico. Per affrontare tale problema, appare imprescindibile
un approccio collaborativo all’interno dell’intera comunità accademica. È cruciale non solo rafforzare i controlli etici già esistenti,
ma anche favorire una maggiore trasparenza nelle pratiche investigative; pertanto risulta fondamentale incentivare lo sviluppo della
ricerca sulla meta-scienza, che concerne propriamente l’analisi del processo stesso di ricerca. L’indagine delle origini e degli effetti
delle irregolarità nel settore scientifico è essenziale, così come l’attuazione di tecniche efficaci per rilevarle. Non meno importante è
comprendere come i sistemi di incentivi influenzino il comportamento dei ricercatori: questi aspetti costituiscono elementi vitali al
fine di consolidare l’integrità nell’ambito scientifico. In questo contesto, il caso Gino—sebbene tragico tanto per gli individui
coinvolti quanto per il prestigio dell’ateneo Harvard—si propone come occasione preziosa di riflessione generale sull’urgenza del
potenziamento dei valori etici portanti nella conduzione delle indagini scientifiche.

Riflessioni sull’onestà e la ricerca: quando la psicologia incontra l’etica

Il dilemma sollevato dalla questione riguardante Francesca Gino obbliga a una riflessione accurata sull’essenza dell’onestà. Questa
deve essere considerata non soltanto in termini scientifici, ma soprattutto come un principio cardine per ogni ambito della nostra

esistenza, compresa l’attività accademica. Le discipline legate alla psicologia cognitiva e comportamentale offrono numerosi
insegnamenti sui processi decisionali: sono emersi effetti distorsivi causati dai bias cognitivi nei nostri giudizi ed è stata evidenziata
l’esistenza di pressioni contestuali capaci di indurre azioni disoneste.

Ricerche empiriche suggeriscono chiaramente che persino lievi cedimenti possano condurre verso un degrado etico; si riscontra
quindi il fenomeno della giustificazione personale delle azioni – ciò si potrebbe chiamare menzogna onesta, qualora volessimo
darle questa definizione – e ciò contribuisce all’agevolazione nell’adottare frodi sempre più gravi in avvenire.

Spostando lo sguardo su una dimensione superiore del tema affrontato, gli studi relativi ai tratti caratteriali insieme alla teoria sulla
decisione morale forniscono strumenti utili per analizzare le variegate inclinazioni individuali alla falsità. Questi approcci permettono
anche di indagare su come l’autopercezione andrebbe a intaccarsi nelle scelte morali da noi effettuate quotidianamente nel corso
della vita. Il conflitto tra il desiderio di raggiungere obiettivi (come la pubblicazione di un articolo su una rivista prestigiosa) e il
mantenimento dell’integrità personale è un dilemma che ogni ricercatore si trova ad affrontare. La capacità di resistere alla
tentazione e di agire in modo onesto richiede non solo una solida formazione etica, ma anche una consapevolezza dei propri
vulnerabilità psicologiche e delle pressioni del contesto.

Il caso Gino ci spinge a guardare oltre la semplice condanna dell’individuo e a considerare i fattori sistemici che possono contribuire
a tali esiti. Il sistema del “pubblica o muori”, la competizione per i finanziamenti, la valutazione basata principalmente sulla
quantità di pubblicazioni anziché sulla qualità e sull’integrità, sono tutti elementi che creano un ambiente favorevole a
comportamenti non etici. Se vogliamo seriamente affrontare il problema della frode scientifica, dobbiamo riformare il sistema degli
incentivi e promuovere una cultura della ricerca che valorizzi l’onestà, la trasparenza e la collaborazione tanto quanto la scoperta e
l’innovazione. Prendiamo in esame questa situazione: Francesca Gino ha dedicato gran parte delle sue ricerche al tema dell’onestà,
cercando di comprendere le motivazioni che spingono gli individui a comportarsi in modo onesto o disonesto. Tuttavia, la notizia
della sua presunta manipolazione dei dati suscita una profonda dissonanza cognitiva e inquietudine. Questo evento mette in
evidenza come il semplice possesso di conoscenze teoriche riguardo all’onestà non possa assicurare comportamenti morali
impeccabili. In ambito psicologico, si evidenzia che il comportamento etico è soggetto a variazioni, influenzato da un insieme
complesso di variabili sia interne sia esterne.

Ogni membro della comunità scientifica deve assumersi l’impegno morale di contribuire alla creazione di un contesto nella ricerca
improntato all’etica. Ciò implica vigilare sul proprio operato e avere la forza necessaria per denunciare eventuali irregolarità già
conosciute. È essenziale partecipare attivamente ai processi di peer review, mantenendo alti standard qualitativi ed etici, così come
sostenere i giovani ricercatori nel loro percorso professionale affinché riescano ad affrontare con integrità le sfide del mondo
accademico senza cedere ai compromessi sui propri valori morali. Solo attraverso uno sforzo collettivo riusciremo a tutelare
l’integrità scientifica e mantenere viva la fiducia del pubblico nella scienza, garantendo così che la ricerca continui a servire il
progresso della conoscenza e il benessere umano.


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