Obesità: l’ambiente subdolo che manipola le nostre scelte alimentari

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  • Oltre il 30% della popolazione mondiale è affetta da obesità o sovrappeso.
  • Nel 2023, il 19% dei minori italiani è in sovrappeso e il 9,8% obeso.
  • Il 38% delle adolescenti e il 44% degli adolescenti italiani sono in sovrappeso.
  • «Anche una mera esposizione durata cinque minuti a contenuti pubblicitari volti a promuovere cibi ricchi di imperfezioni nutrizionali può determinare un incremento significativo nel quantitativo calorico consumato dagli individui».
  • «Si stima che oltre la metà delle donne affette da questi disturbi abbia sperimentato forme d’abuso sessuale durante la propria infanzia».

L’ambiente obesogenico: un contesto che modella le scelte alimentari

L’obesità e il sovrappeso rappresentano una sfida sempre più pressante per la salute pubblica a livello globale. La loro diffusione, che vede oltre il 30% della popolazione mondiale affetta da queste condizioni e, nella regione europea, più della metà degli adulti e un bambino su tre convivere con sovrappeso o obesità, non può essere ricondotta esclusivamente a scelte individuali. Emergono con forza le evidenze di un “ambiente obesogenico”, un contesto complesso che, attraverso una combinazione di fattori, favorisce l’aumento di peso e l’obesità. Questo ambiente si manifesta in molteplici forme, influenzando sia l’accessibilità a cibo poco salutare che la propensione alla sedentarietà, e merita un’analisi approfondita per comprenderne le dinamiche. È un problema che va oltre la semplice mancanza di forza di volontà individuale e si radica in strutture sociali, economiche e urbanistiche che predispongono a comportamenti alimentari disfunzionali.

Grocery store aisle filled with various packaged foods and snacks.

Un aspetto centrale dell’ambiente obesogenico è la presenza onnipresente di alimenti ipercalorici e poco nutrienti. Questi prodotti sono spesso economici, facilmente accessibili e ampiamente promossi, rendendo quasi automatiche le scelte che conducono al consumo eccessivo di calorie. Parallelamente, il contesto obesogenico scoraggia attivamente l’attività fisica. La mancanza di infrastrutture dedicate alla mobilità attiva, come piste ciclabili e aree pedonali sicure, e la diminuzione degli spazi verdi e ricreativi nelle aree urbane, contribuiscono a un aumento della sedentarietà. Questo circolo vizioso in cui il cibo poco salutare è readily available e l’attività fisica limitata crea un terreno fertile per lo sviluppo dell’obesità. Non si tratta solo di carenze strutturali, ma anche di veri e propri fattori che alterano il metabolismo, come suggerito da recenti studi che collegano l’inquinamento ambientale a tali alterazioni. L’esposizione a sostanze obesogene, come ftalati e Bisfenolo A, presenti in plastiche e alimenti confezionati, è un altro elemento che contribuisce a questo fenomeno, con effetti debolmente estrogenici che incidono sul peso corporeo. Stando a recenti statistiche, nell’anno 2023, si osserva che in Italia circa un 19% dei minori presenta condizioni di sovrappeso, mentre la percentuale di quelli definiti obesi si attesta sul 9,8%. In particolare, questa problematica risulta essere più acuta nelle aree meridionali del Paese. [epiCentro]. Affrontare la questione dell’ambiente obesogenico costituisce un aspetto essenziale nel tentativo di risolvere la crisi del sovrappeso e dell’obesità. Non è realistico aspettarsi che le persone riescano a fronteggiare autonomamente le difficoltà originate da uno scenario predisposto a promuovere stili di vita deleteri. Un mutamento radicale di visione appare necessario, il quale deve riconoscere l’ampia influenza esercitata dall’ambiente stesso, creando così opportunità per iniziative strategiche e politiche efficaci. Inoltre, il dilemma viene esacerbato dall’interazione tra questo ambiente ed elementi cognitivi oltreché psicologici intrinsecamente radicati, complicando in maniera significativa i processi decisionali riguardanti l’alimentazione, spesso distanti da scelte improntate alla razionalità.

Il marketing alimentare e il design urbano: architetti di scelte disfunzionali

Nell’attuale scenario dell’ambiente obesogenico, risulta evidente che sia il marketing alimentare sia il design urbano svolgono un ruolo fondamentale nell’influenzare le decisioni degli individui in maniera spesso inconscia. In questo ambito specifico del marketing, si evidenzia come esso rappresenti uno dei principali fattori alla base della crescente incidenza dell’obesità nei minori e negli adulti. Anche una mera esposizione durata cinque minuti a contenuti pubblicitari volti a promuovere cibi ricchi di imperfezioni nutrizionali—grassi saturi, sodio elevato, zucchero raffinato—può determinare un incremento significativo nel quantitativo calorico consumato dagli individui. Di fronte a tali dinamiche imposte dalla Food Industry, caratterizzata da tattiche promozionali invasive e ubiquitarie, risulta difficile per i giovani sottrarsi all’onnipresenza del junk food nelle loro abituali esperienze quotidiane; vengono quindi implicati nella rete seducente che approfitta delle loro fragilità psicologiche. In questo contesto internazionale desolante emerge la situazione critica registrata nel paese nostrano—l’Italia—che rileva dati allarmanti riguardanti la prevalenza del peso corporeo eccessivo tra gli adolescenti: ben 38% tra le femmine rispetto al 44% negli appartenenti al sesso maschile. Tali risultanze sollecitano intervento urgente per tutelare la salute dei più giovani. Dal canto suo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha reiteratamente auspicato misure drastiche comportanti divieti intollerabili sulla divulgazione commerciale relativa ai prodotti nocivi sotto molti aspetti disconvenienti alle popolazioni minorili.

An aisle in a grocery store, focus on processed foods

Il design urbano, d’altra parte, influenza direttamente i livelli di attività fisica e, indirettamente, le abitudini alimentari. La ricerca ha dimostrato che le città “walkable”, con infrastrutture che favoriscono la mobilità pedonale e ciclabile, sono associate a un minor rischio di obesità. I bambini che vivono in quartieri più percorribili, ad esempio, mostrano un indice di massa corporea (BMI) inferiore e una migliore misurazione della circonferenza vita. Questo sottolinea come la pianificazione urbana non sia neutrale rispetto alla salute, ma possa essere uno strumento potente per promuovere uno stile di vita sano. Quartieri dotati di spazi verdi, piste ciclabili, aree pedonali e spazi di interazione sociale incentivano l’attività fisica, rendendola gratuita e accessibile. Al contrario, un design urbano che favorisce l’uso dell’automobile e limita gli spazi per il movimento contribuisce alla sedentarietà, amplificando gli effetti dell’ambiente obesogenico. Progetti come “Healthy City Design”, promossi dall’OMS già da diversi anni, mirano a creare contesti urbani che incentivino la salute.

Un approccio innovativo è il “Healthy City Design”, che considera come gli spazi urbani influiscano sulla salute pubblica e promuove misure per migliorare le condizioni abitative e incoraggiare l’attività fisica. Questo approccio richiede la partecipazione di architetti, pianificatori, medici e cittadini [Healthy City Report]. Entrambi questi fattori sfruttano e modellano i nostri processi decisionali cognitivi. Le decisioni relative al cibo e all’attività fisica non sono sempre il risultato di un’attenta valutazione razionale, ma sono spesso influenzate da “scorciatoie” mentali, chiamate euristiche, e da distorsioni cognitive, i “bias”. Ad esempio, il “Health Halo Effect Bias” porta a sovrastimare i benefici di un alimento solo perché possiede alcune caratteristiche percepite come salutari, indipendentemente dalla sua composizione reale. Il marketing è abile nell’attivare queste euristiche e bias, creando associazioni positive e desiderabilità attorno a prodotti che, nutrizionalmente, sono dannosi. Allo stesso modo, un ambiente urbano privo di stimoli per l’attività fisica rende la scelta di essere sedentari una default, richiedendo uno sforzo consapevole per superare questa inerzia. L’intelligenza artificiale ha persino contribuito a dimostrare l’impatto della pianificazione urbana sull’obesità, analizzando nel 2018 150.000 immagini satellitari per studiare la correlazione tra ambiente e peso corporeo [Urban Health].

Bias cognitivi, euristiche, stress e traumi: la psicologia dell’alimentazione disfunzionale

La comprensione dell’obesità va ben oltre la mera equazione calorie in entrata vs. calorie in uscita, addentrandosi nel complesso labirinto della psicologia umana. Le nostre scelte alimentari e i nostri comportamenti sono profondamente influenzati da bias cognitivi ed euristiche, ovvero scorciatoie mentali e distorsioni che, sebbene ci permettano di prendere decisioni rapide, possono spesso indurci in errore. In ambito nutrizionale, il rischio di incontrare questi bias è esponenzialmente aumentato, soprattutto quando si tratta di peso corporeo e salute. Un esempio lampante è l’incapacità di associare intuitivamente la carne agli animali vivi, un bias cognitivo potente che disconnette la nostra percezione dal processo produttivo del cibo. Similmente, il “bias di approccio” può far sì che la nostra attenzione sia selettivamente orientata verso stimoli alimentari specifici, spingendoci a consumare anche quando non dettato dalla fame, specialmente in presenza di cibi ad alto contenuto calorico. Le ricerche più recenti hanno messo in luce come i bias cognitivi possano giocare un ruolo significativo nell’atteggiamento verso i prodotti vegani, determinando una diminuzione della volontà di acquistarli. [Bias Cognitivi]. Le distorsioni attentive, note come bias attenzionali, si configurano quali deviazioni non intenzionali nei meccanismi mediante i quali trattiamo le informazioni; tali fenomeni possono sfociare in decisioni poco salutari e sono stati oggetto d’indagine nel contesto dei disturbi alimentari, inclusa l’anoressia nervosa. Questi meccanismi cognitivi operano frequentemente su un piano subconscio ed enfatizzano l’importanza dell’educazione nutrizionale così come della consapevolezza riguardo alle proprie prassi quotidiane.

In aggiunta ai bias ed euristiche mentali esistenti sul tema della nutrizione scorretta emerge il peso degli stressori psicologici e dei traumi vissuti. Un ampio numero di ricerche ha messo in luce legami significativi fra eventi traumatici – particolarmente quelli legati ad abusi sessuali infantili – ed il sorgere di problematiche quali anoressia, bulimia o Binge Eating Disorder (BED). Stando alle statistiche raccolte, si stima che oltre la metà delle donne affette da questi disturbi abbia sperimentato forme d’abuso sessuale durante la propria infanzia. Inoltre, lo stress – anche quando privo d’intensità traumatica evidente – sembra facilitare quella pratica nota come “emotional eating“, caratterizzata dalla propensione al consumo del cibo non per necessità fisiche bensì quale reazione emotiva risultante da stati d’animo avversativi. Il cibo, divenendo una sorta di rifugio psicologico o strumento di gestione per il disagio emotivo attraverso questo meccanismo di coping, può indurre dinamiche circolari caratterizzate da abbuffate compulsive ed esiti distorti nelle relazioni con l’alimentazione stessa. Risulta chiaro che il disturbo post-traumatico da stress (PTSD) presenta una forte correlazione con i disturbi alimentari; ciò costituisce una considerevole difficoltà sia sul piano della salute mentale che su quello fisico.

Pertanto, affrontare in modo efficace fenomeni quali l’obesità insieme ai disturbi alimentari necessita dell’adozione di un approccio multidimensionale: non si tratta esclusivamente della mera gestione dietetica, ma implica anche la valutazione delle intricate relazioni tra fattori ambientali influenti, processi cognitivi ed emozioni. È fondamentale avere coscienza della vulnerabilità dei nostri cervelli verso determinati stimoli esterni: esperienze passate traumatizzanti possono infatti plasmare profondamente le nostre reazioni nei confronti del cibo. Sviluppare strategie interventistiche efficaci richiede quindi che, oltre alla limitazione delle calorie, si considerino anche gli aspetti psicosociali e ambientali sottesi alle problematiche in questione; in assenza di tale analisi approfondita, qualsiasi tentativo risulta frequentemente poco adeguato.

Oltre la bilancia: una prospettiva olistica sulla salute e il benessere

Il dibattito sull’obesità, come evidenziato dall’articolo, trascende la semplice gestione del peso, svelando una trama complessa in cui si intersecano fattori ambientali, psicologici e sociali. È una tematica che ci interpella profondamente, spingendoci a riflettere non solo sulle nostre abitudini individuali, ma anche su come il mondo che ci circonda, spesso in modo invisibile, plasmi le nostre scelte più intime. In fondo, l’atto di nutrirsi non è mai puro, non è mai solo biologia; è intriso di significati, emozioni e condizionamenti esterni. Quando ci troviamo di fronte a un’abbuffata impulsiva o a una preferenza inspiegabile per cibi poco salutari, potremmo non essere pienamente consapevoli delle forze sottostanti che ci guidano. Questo è il cuore della psicologia cognitiva applicata all’alimentazione: riconoscere che la nostra mente, nel tentativo di semplificare la realtà, adotta delle “scorciatoie” (le euristiche) o cade in “trappole” (i bias cognitivi) che possono compromettere il nostro benessere. Per esempio, l’euristica basata sull’accessibilità può portarci a scegliere il cibo più vicino o più facile da ottenere, anche se meno sano, perché la nostra mente privilegia l’efficienza immediata.

Silhouette of a person with thought bubbles representing food choices, some healthy and some unhealthy.

Approfondendo ulteriormente, si entra nel campo della psicologia comportamentale e dei risvolti della salute mentale. Immaginate ora una nozione più avanzata: l’«embodied cognition» applicata all’alimentazione. Non è solo il nostro cervello a decidere cosa mangiare, ma anche il nostro corpo, con la sua storia di traumi, stress e risposte fisiologiche, contribuisce a modellare il desiderio e il comportamento alimentare. Il corpo, in tal senso, non è un mero esecutore delle direttive cerebrali, ma un co-creatore delle nostre scelte. Un trauma non risolto, ad esempio, può iscriversi nel corpo e manifestarsi attraverso schemi alimentari disfunzionali come meccanismo di regolazione emotiva. Il cibo può diventare un falso senso di controllo o un anestetico per il dolore. Questa interconnessione tra mente, corpo ed ambiente ci invita a una riflessione più profonda: quanto siamo realmente liberi nelle nostre scelte alimentari? E quanto, invece, siamo il prodotto di un ambiente che ci modella, di un passato che ci segna e di meccanismi cognitivi che ci guidano senza che ne siamo pienamente consci?

Riflessione: Questo ci stimola a guardare oltre la colpa individuale, verso una comprensione più compassionevole e olistica. Non si tratta di giudicare severamente chi lotta con il proprio peso, ma di riconoscere le complesse reti di influenza che agiscono su ciascuno di noi. La vera sfida è costruire un ambiente che supporti la salute, piuttosto che ostacolarla, e coltivare una consapevolezza individuale che ci permetta di riconoscere e sfidare quei bias e quelle risposte automatiche che non ci servono più. È un viaggio che inizia dalla comprensione, ma che deve portarci all’azione, sia a livello personale che collettivo, per una salute più autentica e sostenibile.

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