IpM Palermo: La speranza rinasce, storie di riabilitazione che ispirano

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  • Nel 2023, il 55,2% dei minori ha commesso reati contro il patrimonio.
  • Incremento del 37,4% nei reati legati agli stupefacenti rispetto all'anno precedente.
  • I minori stranieri rappresentano il 48,7% degli ingressi in carcere.

Un modello esemplare è rappresentato dall’Istituto Penale per i Minorenni (IPM) ubicato a Palermo; qui vengono consolidate pratiche lavorative fondamentalmente basate su tre assi principali: riabilitazione, promozione del benessere, e infine una forte attenzione alla progettualità educativa. La filosofia alla base di questi istituti, pensati come ultima ratioper i reati più gravi, è quella di offrire ai giovani un periodo di riflessione, spesso lontano da contesti familiari e sociali devianti. In questo spazio protetto, un’équipe multidisciplinare composta da educatori, psicologi, assistenti sociali, polizia penitenziaria, insegnanti e volontari lavora sinergicamente per far comprendere le regole della convivenza civile, il rispetto dell’altro e la valorizzazione delle proprie abilità.

Abstract representation in neoplastic style related to juvenile rehabilitation.

Un elemento fondamentale in questo percorso è indubbiamente il lavoro. L’idea del lavoro come strumento di rieducazione non si limita alla mera acquisizione di competenze professionali, ma veicola valori essenziali quali la puntualità, l’attenzione, il rispetto dell’impegno preso e, non ultimo, l’autonomia economica. Per molti ragazzi, avere una remunerazione giusta significa non dover più delinquere per sostentare sé stessi o la propria famiglia. Le esperienze dell’IPM di Palermo, con laboratori come il biscottificio “Cotti in fragranza”, dimostrano come un approccio basato sulla responsabilità produttiva, dalla scelta dei nomi dei prodotti al packaging, possa generare un senso di utilità e appartenenza. Queste iniziative, affiancate a corsi professionalizzanti in settori come l’edilizia o la falegnameria, mirano a ricostruire quel clima di “andare a bottega” che insegna non solo un mestiere, ma anche il rispetto per il maestro, per il cliente e per il valore intrinseco del lavoro.

Al di là delle esperienze in contesti detentivi, la prevenzione gioca un ruolo primario e insostituibile. Agire prima, nei quartieri e nelle scuole, investendo nella lotta alla povertà educativa e sociale, significa ridurre le disuguaglianze economiche e promuovere la piena inclusione. Il costo della prevenzione, spesso percepito come elevato, impallidisce di fronte al prezzo altissimo della commissione di un reato, valutato non solo in termini economici, ma soprattutto in termini di dolore per le vittime, per le famiglie e per lo stesso reo, con il suo senso di inadeguatezza e impotenza.

Statistiche Recenti sulla Giustizia Minorile
Nel 2023, il 55,2% dei minori in carico ai servizi di giustizia minorile ha commesso reati contro il patrimonio, con un incremento dei reati legati alla violazione della legge sugli stupefacenti del 37,4% rispetto all’anno precedente. Inoltre, i minori stranieri rappresentano il 48,7% degli ingressi in carcere. [Rapporto Antigone]

Neuroscienze e responsabilità: un dialogo necessario sulla maturità del minorenne

Il progresso delle neuroscienze ha aperto nuove prospettive nel dibattito sulla giustizia penale, in particolare per quanto concerne la valutazione del grado di imputabilita, soprattutto nei casi che coinvolgono i minori. Sebbene alcuni orientamenti, soprattutto negli Stati Uniti, abbiano enfatizzato in modo quasi “fanatico” l’idea che la capacità d’intendere e di volere sia determinata esclusivamente da reazioni chimiche cerebrali, l’orientamento prevalente nella dottrina italiana tende a una maggiore moderazione. Si riconosce che le neuroscienze possono fornire strumenti utili per comprendere il funzionamento cerebrale e i suoi eventuali condizionamenti biologici, ma si rifiuta l’idea che possano completamente stravolgere i principi giuridici consolidati.

Il concetto di imputabilità, definito dall’articolo 85 del Codice Penale come la “capacità d’intendere e di volere”, assume una connotazione specifica nel caso dei minori tra i 14 e i 18 anni. L’articolo 98, infatti, stabilisce che un minore in questa fascia d’età è imputabile solo se, al momento del fatto, possedeva tale capacità. Questo concetto, spesso identificato con la “maturità”, è intrinsecamente complesso e controversiale. La giurisprudenza ha tentato di definire la maturità, associandola a espressioni come “armonico sviluppo della personalità” e “capacità di valutare adeguatamente i motivi degli stimoli a delinquere”. Tuttavia, l’accertamento della maturità rimane un processo multidimensionale, che non si esaurisce in un semplice esame medico o psicologico.

Fattori Neurobiologici dell’Imputabilità
L’immaturità neurofunzionale, che si riscontra nei minori, comporta un’incapacità di autocontrollo e di pianificazione dei comportamenti, influenzando negativamente lo sviluppo della funzione riflessiva e le competenze socio-relazionali. [Psicologi in Tribunale]

La proposta di abbassare l’età dell’imputabilità, avanzata da alcuni orientamenti politici con la giustificazione di una presunta “crescita più veloce” dei ragazzi di oggi, si scontra apertamente con le evidenze scientifiche fornite proprio dalle neuroscienze. Studi sullo sviluppo del bambino e dell’adolescente indicano che la maturità e la capacità di ragionamento astratto sono ancora in evoluzione nei bambini dai 12 ai 13 anni. La corteccia frontale, responsabile del processo decisionale e del controllo degli impulsi, continua a svilupparsi fino ai 20-25 anni. Pertanto, abbassare l’età minima di responsabilità penale a 12 anni, come proposto da alcuni, sarebbe in netto contrasto con le attuali conoscenze sullo sviluppo cerebrale, limitando la capacità del minore di comprendere pienamente l’impatto delle proprie azioni e i procedimenti penali.

L’ONU, attraverso il Comitato sui diritti del fanciullo, ha lanciato un monito contro l’abbassamento dell’età minima di imputabilità, definendolo una “follia”. Il Comitato raccomanda agli Stati di aumentare l’età minima di punibilità ad almeno 14 anni, in linea con la pratica della maggior parte delle nazioni e con i progressi delle neuroscienze. In Italia, il minore di 14 anni non è penalmente imputabile, ma in caso di pericolosità sociale possono essere previste misure di sicurezza non detentive.

Una Prospettiva Multidisciplinare Necessaria
È fondamentale che l’analisi neuropsicologica si integri con quella psicologica e comportamentale, considerando l’importanza del contesto sociale e culturale del minore. [Fornari, Trattato di psichiatria forense]

A parere di chi scrive, medicalizzare interamente la volontà umana, riducendola a un mero epifenomeno di reazioni chimiche cerebrali, significherebbe annichilire il concetto stesso di libertà individuale e di responsabilità penale. La devianza criminale non è sempre e comunque sintomo di una patologia mentale, e un individuo, maggiorenne e capace di intendere e di volere, possiede la libertà di scelte reindirizzabili. L’intervento delle neuroscienze e della psicopatologia forense può essere utile per affiancare la valutazione giuridica, ma non può sostituirla. La giustizia penale minorile deve tendere alla riduzione del danno e alla responsabilizzazione, che ha senso solo se si presuppone una capacità di scelta, seppur condizionata.

Scene depicting a supportive environment for juvenile rehabilitation.
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Plasticità cerebrale e recupero: nuovi approcci nella rieducazione dei minori devianti

Le recenti scoperte nel campo delle neuroscienze, in particolare quelle relative alla plasticità cerebrale, offrono spunti innovativi per ripensare i percorsi di rieducazione dei minori autori di reato. La plasticità cerebrale, intesa come la capacità del cervello di modificarsi e riorganizzarsi in risposta all’esperienza e all’apprendimento, è particolarmente elevata durante l’adolescenza. Questo significa che il cervello dei giovani è intrinsecamente predisposto al cambiamento e alla formazione di nuove connessioni neurali.

Plasticità Cerebrale e Rieducazione
L’intervento riabilitativo si integra con le potenzialità della plasticità cerebrale per correggere comportamenti disfunzionali nei minori, creando spazi per nuove connessioni neurali e apprendimenti. [Centro Phoenix]

Tradizionalmente, l’approccio alla criminalità minorile si è basato prevalentemente sulla repressione e sulla sanzione. Tuttavia, un’ottica che consideri le potenzialità della plasticità cerebrale suggerisce che interventi focalizzati sul recupero e sulla stimolazione di aree cerebrali coinvolte nel controllo degli impulsi, nel processo decisionale e nell’empatia possano avere un impatto significativo sul futuro percorso di vita del minore. Programmi di rieducazione innovativi, basati su tecniche come il neurofeedback e la terapia cognitivo-comportamentale (TCC), mirano proprio a questo. Il neurofeedback, ad esempio, consente ai soggetti di apprendere ad autoregolare la propria attività cerebrale attraverso un sistema di ricompense basato su segnali in tempo reale.

Efficacia della Riabilitazione Neuropsicologica
Interventi efficaci si concentrano su funzioni cognitive critiche e sono mirati al recupero della massima autonomia possibile, utilizzando tecniche integrate e personalizzate. [Riabilitazione Neuropsicomotoria]

La TCC, d’altra parte, si concentra sull’identificazione e sulla modifica dei pensieri e dei comportamenti disfunzionali che contribuiscono alla condotta criminale. Attraverso un processo strutturato, i minori apprendono nuove strategie di coping, sviluppano la capacità di risolvere problemi e migliorano le proprie abilità relazionali. Integrando la TCC con le conoscenze derivanti dalle neuroscienze, è possibile personalizzare gli interventi e renderli più efficaci, tenendo conto delle specifiche vulnerabilità cognitive ed emotive di ciascun minore.

Un altro elemento centrale in un approccio basato sulla plasticità cerebrale è lo sviluppo dell’intelligenza emotiva. Daniel Goleman, noto psicologo, sottolinea l’importanza di abilità quali l’autocontrollo, la compassione, l’empatia e la capacità di gestire la propria rabbia. Queste competenze, lungi dall’essere innate e immodificabili, possono essere apprese e potenziate attraverso percorsi educativi mirati. Investire nella formazione emotiva dei giovani, sia in contesti formali come la scuola che in contesti informali, rappresenta una potente strategia di prevenzione della devianza.

Successi Internazionali nella Rieducazione
Programmi di successo che integrano neurofeedback, TCC e attività relazionali hanno mostrato risultati promettenti nel ridurre la recidiva e migliorare il reinserimento sociale dei minori a rischio. [Riabilitazione Neuropsicomotoria]

L’applicazione delle neuroscienze alla giustizia minorile, tuttavia, richiede cautela e una rigorosa valutazione etica. È fondamentale evitare approcci riduzionistici che intendano la condotta criminale come un mero risultato di disfunzioni cerebrali, ignorando il ruolo cruciale dei fattori ambientali, sociali ed economici. L’obiettivo non è “curare” il minore come un malato, ma offrirgli gli strumenti per sviluppare al meglio il proprio potenziale e per integrarsi positivamente nella società. La plasticità cerebrale offre una finestra di opportunità, ma l’efficacia del cambiamento dipende dalla qualità degli interventi e dalla creazione di un contesto che favorisca il benessere e la crescita.

Illustration focusing on emotional intelligence in juvenile rehabilitation.

Il valore della narrazione e la forza del legame sociale nella rieducazione

Al di là delle evidenze scientifiche e delle metodologie di intervento, un elemento fondamentale per la rieducazione efficace dei minori autori di reato risiede nella capacità di aiutarli a rielaborare la propria storia e a ricostruire un senso di legame sociale. Spesso, la devianza si radica in percorsi di vita caratterizzati da traumi, abbandono, esposizione a violenza e mancanza di modelli di riferimento positivi. In questi contesti, il minore sviluppa una narrativa di sé stesso e del mondo che li porta a percepire la società come nemica e sé stesso come destinato al fallimento.

Importanza della Narrazione nei Percorsi Rieducativi
La decostruzione di narrazioni disfunzionali è cruciale per creare nuove prospettive e favorire l’inclusione sociale dei minori, aiutando a migliorare la loro autopercezione e relazioni interpersonali. [Fornari, Trattato di psichiatria forense]

La rieducazione passa necessariamente attraverso la decostruzione di queste narrazioni disfunzionali e la costruzione di nuove prospettive. Questo processo, intrinsecamente legato alla psicologia cognitiva e comportamentale, si basa sul riconoscimento che i nostri pensieri e le nostre credenze influenzano profondamente le nostre emozioni e i nostri comportamenti. Aiutare i minori a identificare i pensieri automatici negativi, a sfidarli e a sostituirli con pensieri più flessibili e positivi è un passo cruciale verso il cambiamento.

Ma la rielaborazione della storia non può avvenire nel vuoto. Richiede un contesto di relazione significativa con adulti di riferimento che offrano ascolto empatico, validazione emotiva e un modello di comportamento prosociale. Come testimoniato dalle esperienze negli IPM, educatori, volontari e professionisti che dedicano tempo e attenzione ai ragazzi creano un “legame sociale” essenziale. Questo legame non è solo un supporto emotivo, ma un ponte verso la comunità esterna, un’opportunità per sperimentare fiducia, rispetto e appartenenza.

Un esempio toccante del potere della narrazione e del legame sociale è l’episodio raccontato dal Direttore dell’IPM di Palermo, in cui un ragazzo, autore di una rapina, dopo aver ascoltato la testimonianza del funzionario di banca derubato, ha provato un senso profondo di empatia e ha cercato un contatto fisico per esprimere il suo “grazie” per aver compreso il dolore causato. Questo momento di condivisione emotiva, seppur doloroso, ha innescato un processo di elaborazione del reato da una prospettiva diversa, quella della vittima, diventando una potenziale remora a ricommetterlo.

Teoria dell’Apprendimento Sociale e Modelli Positivi
Gli adulti che mostrano comportamenti prosociali diventano modelli cruciali per i minori, aiutandoli a sviluppare competenze relazionali e a superare situazioni problematiche. [Fornari, Trattato di psichiatria forense]

Questo ci porta a riflettere su una nozione base di psicologia: la teoria dell’apprendimento sociale. La teoria sostiene che l’apprendimento avviene non soltanto tramite esperienze dirette, ma anche mediante l’osservazione degli individui circostanti e delle risultanze delle loro azioni. Nel campo della rieducazione si evidenzia pertanto il ruolo fondamentale degli adulti di riferimento; questi ultimi incarnano modelli significativi per i giovani attraverso il proprio comportamento e il racconto delle proprie esperienze. Un adulto capace di manifestare empatia, una solida responsabilità, oltre a un’evidente capacità di affrontare avversità con resilienza, diventa un faro luminoso per insegnare ai giovani come superare in modo positivo le complessità della vita.

In aggiunta a ciò emerge una concezione più elaborata sotto il profilo psicologico: si tratta della deregulation affect theory (teoria della disregolazione affettiva). Molti ragazzi coinvolti in attività criminali portano con sé ferite profonde legate ad eventi traumatici vissuti; tali esperienze intaccano gravemente la loro abilità nel governare emozioni forti. Le ripercussioni possono evidenziarsi attraverso improvvisi accessi d’ira, comportamenti impulsivi oppure gravi problematiche nella gestione dell’insoddisfazione quotidiana. Approcci terapeutici mirati, abbinati all’applicazione pratica come la mindfulness o tecniche sistematiche di rilassamento, insieme alla ridefinizione narrativa del dolore vissuto, potrebbero facilitare nei minorenni uno sviluppo maggiore dell’autoconsapevolezza e una miglior padronanza delle risposte emozionali.

La Rieducazione: Un Processo Complesso
La rieducazione non è una formula magica o una punizione più “morbida”. È un processo che richiede investimento, pazienza e fiducia nelle potenzialità di cambiamento di ogni individuo. [Fornari, Trattato di psichiatria forense]

La rieducazione non è una formula magica o una punizione più “morbida”. Si tratta di un iter intricato e oneroso, che implica un significativo investimento, tanta pazienza, oltre a una dubbia fiducia nelle capacità individuali di mutamento – inclusi i giovani che hanno perso il proprio orientamento. Le discipline neuroscientifiche insieme alla psicologia ed esperienze dirette in questo ambito offrono strumenti fondamentali per sviluppare traiettorie sempre più funzionali; tuttavia, ciò che resta cruciale in ogni azione sono le potenti dinamiche della relazione interpersonale. L’abilità nell’intessere nuovi racconti congiuntivi e nel ricostituire i collegamenti sociali sono elementi essenziali da coltivare. Questa impresa rappresenta non soltanto un compito da svolgere da parte delle istituzioni, ma coinvolge l’intero contesto comunitario; infatti, ciascun soggetto recuperato rappresenta un valore aggiunto collettivo, mentre liberarsi dalla devianza equivale a compiere progressi verso una società improntata su valori quali giustizia e solidarietà.


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