Genitori ossessionati: come salvare i giovani atleti dalla pressione

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  • A Torino, un genitore ha aggredito un portiere: ennesimo caso di pressione adulta.
  • L'ansia da prestazione causa disagi fisici e blocchi emotivi nei giovani.
  • L'85% degli allenatori riconosce il burnout come problema crescente.
  • Il supporto genitoriale migliora il benessere psicologico e le prestazioni.
  • La specializzazione precoce prima dei 12-14 anni aumenta il rischio.

L’increscioso episodio occorso a Torino il 2 settembre 2025 alle ore 15:07 – quando un genitore ha <a class="crl" href="https://www.respira.re/psicologia-comportamentale/violenza-nel-calcio-giovanile-carmagnola-sotto-accusa-per-laggressione-al-portiere-del-volpiano-pianese/”>perso il controllo aggredendo un giovane portiere in campo durante una partita di calcio giovanile – getta nuovamente luce su una problematica inquietante: la forte pressione inflitta dagli adulti, con particolare riferimento ai genitori stessi nei confronti dei giovani atleti. Questa violenza serve da monito importante per indagare più a fondo gli aspetti oscuri della competizione sportiva per i più giovani, oltre alle gravose conseguenze psicologiche ad essa associate. Tali dinamiche non possono essere considerate marginali; sono intimamente legate al dibattito attuale sulla psicologia cognitiva così come a quella comportamentale, includendo anche le tematiche riguardanti traumi ed equilibri psico-fisici. In questo scenario complesso emerge chiaramente l’urgenza di analizzare l’ambiente sociale circostante questi promettenti sportivi; sorge quindi la domanda cruciale su come uno spazio concepito per stimolare crescita sana e divertimento possa trasformarsi in terreno fertile per esperienze traumatiche o disagio profondo.

Questa informazione riveste una notevole significatività non soltanto per l’evento specifico, ma soprattutto poiché riflette una dinamica più complessa, un schema comportamentale che esige uno studio approfondito. Tale indagine è fondamentale al fine di identificare strategie efficaci per scongiurare future problematiche analoghe e favorire la nascita di pratiche sportive giovanili improntate a valori etici e alla salute.

La pressione genitoriale e le sue conseguenze devastanti

Nello sport giovanile, il tema della pressione esercitata dai genitori emerge come un fenomeno articolato, con molteplici sfumature e origini profonde. Questa problematica trascende gli eventi spettacolari come quello accaduto a Torino; invece si presenta come una sequenza continua di atteggiamenti che vanno da aspirazioni irrealistiche a giudizi costantemente severi. Si assiste anche ai confronti esasperati con altri giovani atleti ed è presente un coinvolgimento affettivo talmente intenso da oltrepassare i confini della sana assistenza emotiva. Le conseguenze della suddetta pressione risultano spesso deleterie: esse intaccano non solo le performance degli sportivi in erba, ma feriscono gravemente la loro stabilità psichica e il processo evolutivo sotto il profilo psicologico. L’ansia emergente rappresenta uno dei problemi principali. In particolare, l’ansia legata alla prestazione si manifesta attraverso disagi fisici quali dolori addominali, disturbi del sonno, palpitazioni o tremori agli arti; tali sintomi possono limitare la facoltà di concentrarsi o reagire efficacemente durante le competizioni sportive. Un giovane atleta sottoposto incessantemente al giudizio altrui potrebbe temere profondamente l’insuccesso nel tentativo di soddisfare le attese paterne o materne; questo stato d’animo potrebbe condurlo a esperienze traumatiche, portandolo verso bloccaggi sia sul piano emozionale che motorio.

Questo può tradursi in una spirale discendente: la paura di fallire porta a prestazioni peggiori, che a loro volta generano maggiore disappunto genitoriale e, di conseguenza, un aumento dell’ansia.

Oltre all’ansia, la pressione genitoriale può scatenare episodi depressivi. I bambini e gli adolescenti, la cui identità è ancora in fase di costruzione, possono interiorizzare i fallimenti sportivi come fallimenti personali, soprattutto quando la loro autostima è strettamente legata all’approvazione dei genitori e ai successi sul campo. L’incapacità di raggiungere gli standard imposti dagli adulti può portare a sentimenti di inadeguatezza, tristezza persistente, perdita di interesse per attività precedentemente gradite e isolamento sociale. Questi sentimenti, se non riconosciuti e trattati, possono sfociare in una vera e propria depressione clinica, che richiede un intervento specialistico. Alcuni studi hanno evidenziato che la percezione di essere valutati in modo eccessivo e il sentirsi costantemente al centro delle aspettative altrui possono aumentare significativamente il rischio di sviluppare disturbi dell’umore nei giovani atleti. È fondamentale riconoscere che nel mondo dell’infanzia il genitore rappresenta senza dubbio l’autorità primaria; l’effetto delle sue opinioni sulla formazione psicologica del bambino risulta essere estremamente rilevante,sottolineando.

A parte questo aspetto critico emerge il burnout: uno stato complesso caratterizzato da profondo esaurimento sia fisico sia emotivo. Questa situazione è particolarmente frequente tra i giovani atleti costretti a subire regimi di allenamento severi accompagnati da pressioni insostenibili. La manifestazione del burnout include segni come diminuzione della motivazione, affaticamento costante e prestazioni scadenti; nei casi più estremi porta all’indifferenza completa verso lo sport praticato precedentemente con passione. Gli individui vittime di tale condizione sono inclini ad abbandonare attività sportive significative nella loro vita; questa scelta non implica soltanto la perdita delle opportunità intrinsecamente legate alla crescita personale, ma comporta anche l’interruzione di esperienze vitali nel fronteggiare lo stress o nell’ambito sociale. Non bisogna trascurare questo fenomeno poiché esso si configura come una sindrome ben definita in campo medico-psicologico capace di influenzare negativamente le competenze future dei giovani nel gestire sfide quotidiane o nell’impostarsi obiettivi personali.

Il fenomeno della perdita di motivazione, dunque, emerge come un avviso cruciale; segnale che lo sport ha perso il suo carattere originariamente gioioso e appagante, diventando invece uno scomodo peso da portare sulle spalle. Questo cambiamento di percezione fa sì che esso venga considerato più come una responsabilità imposta anziché frutto delle proprie scelte.

A completamento del discorso va sottolineato che anche la forte pressione esercitata dai genitori gioca un ruolo determinante nell’indurre a quella fatale perdita di motivazione intrinseca. Se il giovane atleta si ritrova ad affrontare lo sport grazie principalmente a elementi esterni – quali approvazioni paternalistiche o timore delle reprimende – finisce col perdere completamente l’autenticità del divertimento legato all’atto stesso della pratica. Il gioco smette quindi di essere un momento ludico educativo ed evolve in qualcosa dominato dall’urgenza dei risultati pratici. Questa transizione implica notevoli ripercussioni negative sull’apprezzamento dell’attività fisica: essa diventa poco soddisfacente sul piano personale, ma soprattutto blocca qualsiasi tipo reale di esplorazione della propria passione naturale oppure limita la scoperta innata delle vere abilità. Se dunque ci si cimenta nel calcio solamente per sfuggire al giudizio severo del padre, piuttosto che coltivare realmente emozioni positive mentre si gioca insieme agli amici con i quali ci si diverte piacevolmente onorando ogni tiro effettuato, è assai probabile vedere deteriorarsi ulteriormente quel legame affettivo tra individuo e attività fino quasi ad annullarne potenziali frutti futuri. Alcuni studi dimostrano che atleti promettenti hanno scelto prematuramente l’abbandono dello sport a causa della pesante pressione ricevuta. Questi giovani si sono trovati impotenti dinanzi al peso delle aspettative imposte dall’esterno, unitamente all’assenza della libertà nel prendere decisioni autonomamente.

Diverse testimonianze provenienti da psicologi specializzati nella pratica sportiva e allenatori si intersecano con quelle dei ragazzi stessi: ciò pone chiaramente in luce l’urgenza della questione. Gli esperti notano frequentemente come le fantasie irrealistiche dei genitori siano espressione dei loro sogni infranti dal passato; ciò grava enormemente sui figli, rendendo insostenibili le pressioni emotive a cui sono sottoposti. La disciplina della psicologia comportamentale, inoltre, mette in evidenza che atteggiamenti positivi accompagnati da un contesto favorevole risultino essenziali per nutrire comportamenti costruttivi; viceversa, critiche ingiustificate unite a una pressione oppressiva possono portare inevitabilmente a meccanismi difensivi come l’evitamento o situazioni depressive. Sebbene esistano molteplici strumenti forniti dalla medicina legata alla salute mentale per gestire tali problematiche emergenti, è fondamentale privilegiare gli approcci preventivi nel combattere questi fenomeni sociali.

Occorre un cambiamento culturale che riconosca il valore intrinseco dello sport giovanile come strumento di crescita personale, piuttosto che come trampolino di lancio per carriere professionistiche o mezzo per soddisfare le ambizioni genitoriali. L’età dei praticanti, generalmente dai 6 ai 18 anni, è una fase critica per lo sviluppo psicologico, rendendo l’impatto di queste esperienze ancora più significativo e potenzialmente traumatico.

Importanza del Supporto Genitoriale: Uno studio ha rivelato che una comunicazione positiva e il sostegno di genitori attivi nello sport possono contribuire al benessere psicologico dei giovani atleti, migliorando le loro prestazioni e la loro esperienza sportiva in generale.
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Strategie per un ambiente sportivo sano e la prevenzione del burnout

Promuovere un ambiente sportivo sano e positivo è fondamentale per contrastare gli effetti deleteri della pressione genitoriale e prevenire il burnout negli atleti giovanili. Questo implica un cambiamento radicale nell’approccio culturale allo sport, che deve passare da una mentalità orientata esclusivamente al risultato a una focalizzata sul benessere, sulla crescita personale e sul divertimento. Una delle strategie più efficaci è la formazione e l’educazione degli adulti coinvolti: genitori, allenatori e dirigenti sportivi. I genitori dovrebbero essere sensibilizzati sull’importanza di un supporto incondizionato, che valorizzi l’impegno e la partecipazione piuttosto che il solo successo. È cruciale che comprendano che il loro ruolo è quello di sostenere e incoraggiare, non di criticare o imporre aspettative irrealistiche.

Per gli allenatori, è essenziale adottare metodologie didattiche e relazionali che mettano al centro l’atleta come persona, non solo come performer. Un adeguato operato da parte dell’allenatore va oltre la mera funzione tecnica; riveste infatti il ruolo significativo di educatore nonché mentore. È fondamentale costruire un’atmosfera basata su fiducia reciproca ed essenziale rispetto: l’errore deve essere interpretato quale opportunità educativa piuttosto che una sconfitta personale. Nelle categorie giovanili risulta imperativo adottare metodologie ludiche; attraverso giochi stimolanti ed esercizi vivaci si contribuisce a formare nei bambini sensi durevoli verso lo sport. È altresì indispensabile che gli allenatori acquisiscano competenze nel riconoscere precocemente stati d’animo quali stress o ansia o fenomeni da sovraccarico mentale nei giovani sportivi; dovrebbero pertanto avere capacità relazionali con le famiglie tali da poterli eventualmente orientare verso esperti del settore della salute psichica. I dati disponibili indicano chiaramente come interventi tempestivi possano influire positivamente sulla prevenzione dell’evoluzione negativa dei disagi psicologici.

D’altro canto si manifesta quale elemento cardine la corretta gestione del carico degli allenamenti e degli impegni competitivi previsti. Numerosi ragazzi praticanti sport sono costretti ad affrontare periodi intensivi caratterizzati da troppi momenti dedicati agli allenamenti e alle gare, senza risparmiare tempo sufficiente per il recupero fisico, per il mantenimento dell’impegno scolastico ed infine per relazioni sociali necessarie.

Questo super-impegno, spesso dettato da una ricerca ossessiva della “massima performance” o dalla paura di non essere all’altezza, può essere una delle cause principali del burnout. I club e le federazioni dovrebbero implementare linee guida chiare sulla quantità e intensità degli allenamenti in base all’età, promuovendo periodi di riposo programmati e incoraggiando la partecipazione a diverse attività per favorire uno sviluppo armonico e prevenire la specializzazione precoce. Alcune ricerche suggeriscono che la specializzazione troppo precoce, prima dei 12-14 anni, possa aumentare il rischio di infortuni fisici e psicologici e limitare lo sviluppo di competenze motorie più ampie.

Statistiche sul Burnout: Secondo un’indagine condotta dalla National Youth Sports Strategy, l’85% degli allenatori riconosce che il burnout è un problema crescente tra gli atleti giovanili.

Infine, la promozione dell’autonomia e dell’autoefficacia è un elemento chiave. L’emancipazione dei giovani atleti all’interno del loro cammino sportivo appare essenziale; è cruciale che siano capaci non solo di manifestare le loro inclinazioni personali ma anche d’impegnarsi nella presa delle decisioni, così come nella regolazione delle emozioni stesse. È compito degli adulti sostenere questa strada verso l’autonomia: piuttosto che estorcere direttive incessanti, dovrebbero fornire opportunità decisionali accompagnate da una chiara assunzione della responsabilità individuale. La creazione di un contesto comunicativo aperto tra il trio composto da atleti, genitori e allenatori si configura come elemento imprescindibile; un simile approccio consente ai giovani talenti di essere ascoltati ed apprezzati nel loro valore intrinseco. Inoltre, l’educazione alla resilienza, rivolta al controllo dell’ansia connessa alle prestazioni competitive e all’adozione efficace delle strategie adattative rappresenta una risorsa preziosa: iniziative formative come workshop o sessioni condotte da psicologi dello sport possono conferire ai ragazzi abilità cruciali nell’affrontare sfide agonistiche in maniera positiva. Tra coloro che operano nel settore atletico, puntando su esperienze ludiche più inclusive mentre abbracciano modelli educativi innovativi, sorge l’esempio virtuoso dei paesi scandinavi. Alla luce della filosofia improntata alla partecipazione collettiva, evidente attenzione al divertimento puro e uno sviluppo orientato su orizzonti temporali estesi, i risultati conseguitisi sono avvalsi non solo del benessere fisico degli stessi praticanti ma anche delle performance complessive. Tali esempi chiariscono che l’ottenimento dell’eccellenza nello sport può avvenire senza mettere a repentaglio il benessere psicologico delle nuove generazioni. Non è necessario scegliere tra performance straordinarie e un benessere mentale sano; esistono strade percorribili che permettono di armonizzare questi due aspetti cruciali nella vita giovanile.

Storie di resilienza e strategie di recupero

Anche se i giovani atleti si trovano spesso ad affrontare una sostanziale pressione, sia dall’ambiente familiare sia da un contesto agonistico estremamente competitivo, emergono molteplici storie di resilienza. Costoro hanno saputo reperire abilità interne ed esterne necessarie a fronteggiare difficoltà significative nel percorso sia sportivo che personale, mantenendo così un approccio sano alla propria attività. Tali narrazioni ci offrono fondamentali spunti circa le strategie adottate per il recupero nonché riguardo all’importanza di attuare interventi specifici nei campi della psicologia e dello sport. Il primo passo verso una rinascita è frequentemente costituito dal supporto psicologico professionale. Diversi studi indicano che quegli atleti affetti da ansia elevata, sintomi depressivi o stanchezza emotiva traggono sostanziali vantaggi dall’incontro con specialisti come uno psicologo dello sport o un terapeuta mentale. Tali professionisti forniscono spazi sicuri dove poter discutere apertamente delle proprie emozioni vissute ed elaborarne i relativi traumi; al contempo aiutano a sviluppare strumenti praticabili per affrontarli meglio nelle varie situazioni sportive quotidiane. Particolarmente efficaci sono state anche le terapie cognitivo-comportamentali: esse assistono infatti gli individui nell’ottimizzare i propri pensieri distorti rispetto alle performance quotidiane, contribuendo all’acquisizione di una maggiore fiducia nelle proprie capacità.

Un aspetto essenziale nel processo dedicato al recupero risiede nella consapevolezza degli adulti, ovvero nei genitori che devono essere pronti ad attuare significative trasformazioni nel proprio modo d’agire. In numerosi casi seguiti all’assistenza offerta da psicologi o equipe specializzate, si è osservata una presa d’atto da parte dei progenitori riguardo agli effetti deleteri del loro comportamento; molti hanno così iniziato percorsi volti alla sensibilizzazione. Questa evoluzione nelle dinamiche familiari rappresenta una condizione indispensabile affinché venga generato un contesto domestico più tranquillo ed accogliente per i giovani atleti. Qualora ci sia una transizione nell’atteggiamento paterno-materno dall’essere sovra-critici verso posizioni improntate al sostegno senza riserve, si apre davanti al giovane sportivo una via libera dagli oneri emotivi, restituendogli quel senso genuino dell’entusiasmo associato allo sport praticato. È importante sottolineare che lo scopo non consiste nell’annientare gli obiettivi ambiziosi né le aspirazioni verso il successo; piuttosto si tratta di dirigerli su sentieri consoni alla salvaguardia della sanità mentale nonché dell’integrità psicofisica dello stesso ragazzo. Ciò richiede frequentemente comunicazioni autentiche sugli aspetti realistici delle ambizioni consolidate oltre alla rivalutazione delle conquiste, tenendo conto tanto dei traguardi raggiunti quanto dell’impegno investito e ancora dello svago collegato allo svolgimento dell’attività.

Un altro fattore determinante è l’intervento degli allenatori e delle società sportive. Un allenatore consapevole e attento può fare una grande differenza nel prevenire e gestire situazioni critiche. Molti allenatori, dopo aver notato segnali di disagio in un atleta, hanno adottato strategie come la riduzione del carico di allenamento, l’introduzione di sessioni più ludiche, la valorizzazione dell’impegno più che del risultato e, in alcuni casi, l’invio dell’atleta a specialisti. Le società sportive, dal canto loro, possono implementare politiche di tutela del benessere psicologico degli atleti, creando un ambiente inclusivo e supportivo. Questo può includere l’istituzione di figure di riferimento qualificate, come il “referente del benessere” o lo psicologo dello sport all’interno del club, e la promozione di un codice etico che scoraggi comportamenti aggressivi o eccessivamente competitivi da parte di genitori e tifosi. Alcuni club hanno introdotto anche sistemi di monitoraggio del benessere degli atleti, con questionari periodici o colloqui informali, per identificare precocemente eventuali segnali di disagio. In conclusione si sottolinea l’importanza della capacità innata dell’atleta nel potenziare la resilienza, così come l’opportunità di creare una solida rete sociale come elementi fondamentali per il suo sviluppo personale. Coloro che riescono ad affrontare le sfide maggiormente impegnative tendono ad essere quegli atleti capaci d’intraprendere passioni diverse rispetto al solo ambito sportivo; possiedono amicizie genuine pronte a sostenerli indipendentemente dai risultati ottenuti in gara ed acquisiscono altresì la capacità d’individuare nettamente chi siano al di fuori delle loro prestazioni atletiche. Questo percorso perennemente in evoluzione conduce alla creazione d’una personalità multifacetica attraverso esperienze positive esterne all’arena competitiva. I racconti ispiratori riguardano non soltanto coloro i quali hanno conquistato traguardi illustri nel panorama agonistico; includono anche quegli individui i quali – malgrado non abbiano raggiunto lo status di campione – sono riusciti a recuperare il gusto del praticare attività fisica ed accrescere contemporaneamente un solido senso del valore personale unitamente ad uno stato mentale equilibrato. Queste narrazioni esemplari evidenziano come lo sport giovanile possa trasformarsi in uno strumento formativo pregevole; se condotto con integrità ed attenzione offre opportunità ai giovani per diventare adulti consapevoli costantemente più resilienti e soddisfatti nella vita quotidiana (ben oltre il significato intrinseco della vittoria nell’ambito specifico dell’incontro).

Il futuro dello sport giovanile: un appello all’equilibrio e alla consapevolezza

Il dibattito sul costo emotivo della competizione nello sport giovanile e sull’impatto della pressione genitoriale ci impone una riflessione profonda sul futuro di questa pratica. Non è più accettabile liquidare episodi come quello di Torino come casi isolati o deviazioni individuali. Essi sono sintomi di un sistema che, in troppi contesti, ha smarrito la sua vera essenza, trasformando il gioco in un’ossessione per il risultato e la competizione in una fonte di stress anziché di crescita. Dobbiamo guardare avanti con coraggio e lungimiranza, proponendo un modello di sport giovanile che sia radicalmente incentrato sul benessere psicofisico dei ragazzi, sulla promozione di un’etica sportiva autentica e sulla valorizzazione della persona prima ancora dell’atleta. Questo significa ripensare non solo le regole e le strutture, ma soprattutto la cultura che permea l’intero ecosistema sportivo.

Supporto Genitoriale Fondamentale: Il supporto emotivo e pratico da parte dei genitori è cruciale per il successo sportivo e la crescita personale dei giovani atleti, aggravando il bisogno di una formazione adeguata per i genitori stessi. L’essenza della psicologia cognitiva e comportamentale mette in luce un concetto cruciale: il valore del rinforzo positivo insieme all’apprendimento sociale. L’approccio pedagogico dei più giovani è intrinsecamente collegato all’osservazione dei modelli comportamentali offerti dalle figure adulte significative presenti nella loro vita quotidiana. Se i genitori manifestano frustrazione tramite urla o critiche incessanti riguardo alle performance atletiche dei propri figli, né tanto meno rispondono con aggressività a eventuali insuccessi sportivi, questo invia un messaggio distorto secondo cui tali reazioni rappresentano modalità accettabili per affrontare fallimenti o tensioni emotive. In contrasto a tale realtà problematica vi è la possibilità di instaurare ambienti favorevoli dove si promuove attivamente il fair play assieme al rispetto reciproco; spazi ludici dove ci si adopera per celebrare non solo i risultati ma anche lo sforzo individuale attraverso attenzioni sincere verso tutti gli atleti coinvolti – questi ultimi finiranno così per sviluppare visioni più sane dello sport come forma d’intrattenimento legata al benessere personale ed emozionale. A tal proposito va sottolineato come la salute mentale dei giovani atleti sia largamente condizionata dal tipo d’interazione che essi vivono regolarmente con allenatori e amici, oltreché con i genitori stessi: tutto ciò alimenta una dinamica formativa continua nella quale ciascun aspetto comunicativo – sia esso affermativo oppure critico – svolge un ruolo significativo nel rafforzare quelle esperienze formative vitalmente necessarie.

Esploriamo ora una dimensione più complessa legata alla medicina riguardante il benessere psicologico; ci concentreremo sul fenomeno dei traumi e sulla loro elaborazione. È significativo considerare il concetto di trauma relazionale precoce, poiché si rivela altamente rilevante nel discorso attuale. In circostanze critiche durante lo sviluppo infantile dove il giovane si trova ad affrontare interazioni genitoriali intrise di giudizio severo o aspettative irrealistiche — soprattutto nel delicato campo dello sport — è possibile che venga a formarsi ciò che potremmo definire come trauma relazionale. Non ci riferiamo a eventi traumatici isolati; piuttosto stiamo parlando di uno sommatorio di micro-traumi emotivi, i quali compromettono la possibilità per l’individuo di innescare una percezione sana del sé autonomo ed equilibrato. I riflessi negativi potrebbero presentarsi all’interno dell’ambito sportivo — come ansia prestativa o esaurimento psico-emotivo — ma altresì attraversano vari aspetti della vita quotidiana (relazioni difficoltose, scarsa autovalutazione, perfezionismo distruttivo). Inoltre, la memoria implicita incamera tali vissuti emozionali avversi producendo reazioni automatiche allo stress anche molti anni dopo quegli eventi iniziali; questo elemento rende ardua la capacità dell’individuo nell’affrontare situazioni sfidanti con lucidità e tenacia.

Per superare questi effetti, non è sufficiente modificare i comportamenti superficiali; è necessario un lavoro profondo di elaborazione e ricostruzione dei “modelli operativi interni” che il bambino ha sviluppato a partire da quelle relazioni.

Glossario:
  • Burnout: Una sindrome caratterizzata da esaurimento fisico e psicologico, ridotto coinvolgimento e performance scadenti, spesso causata da stress prolungato.
  • Autonomia: Capacità di prendere decisioni e gestire le proprie emozioni senza eccessiva interferenza da parte degli adulti.

Questo ci porta a una riflessione personale cruciale: qual è veramente il nostro ruolo come adulti nel mondo dello sport giovanile? Siamo lì per i nostri figli, per il loro divertimento, la loro crescita, la loro felicità? O siamo lì per proiettare su di loro le nostre ambizioni irrealizzate, i nostri bisogni di riconoscimento, le nostre paure di non essere “all’altezza”? È giunto il momento opportuno per riflettere con attenzione sulle esperienze dei nostri giovani atleti; dobbiamo scrutare nei loro sguardi ed analizzare le loro espressioni per discernere se l’attività sportiva continui a rappresentare per loro una sorgente autentica di gioia, oppure si sia tramutata in qualcosa da sopportare pesantemente. Si tratta quindi dell’opportunità perfetta per reintrodurre l’armonia intrinseca al gioco: l’importanza dell’impegno sincero, e anche ciò che possiamo apprendere dalla sconfitta assieme alla felicità scaturita dalla vittoria – tutto questo deve rimanere dentro confini segnati dal rispetto reciproco ed dall’amore genuino. Solo attraverso questa riscoperta possiamo assicurare uno spazio realmente proficuo nello sport giovanile – una vera officina esistenziale dove i ragazzi crescano forti, sereni e dotati della resilienza necessaria ad affrontare le prove inevitabili della vita adulta. Nell’ottica dunque delle prospettive future, l’armonia fra ambizione personale e salute mentale rappresenta non solo una meta concreta, ma anche una dote collettiva essenziale, riuscendo a stabilirsi come compito condiviso cui ogni attore sociale deve dedicarsi attivamente. Si pone infatti come fulcro importante nel disegno strategico destinato ai giovani d’oggi: un avvenire robusto, supportato da fondamenta costruttive, bensì allontanate dall’alone soffocante del peso psicologico o traumatico.


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