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Piano salute mentale 2025: revisione necessaria per affrontare eco-ansia e precarietà?

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  • Il PANSAM 2025-2030 è sotto revisione per il rischio di compromettere l'approccio multidisciplinare.
  • Il 43% degli italiani soffre di eco-ansia legata al cambiamento climatico.
  • La precarietà lavorativa incrementa i casi di depressione dell'1% (18-34 anni).

Revisione del Piano Nazionale per la Salute Mentale: un dibattito acceso

Il recentissimo Piano d’azione Nazionale per la Salute Mentale (PANSAM) 2025-2030 ha suscitato un fervente dibattito tra i membri del panorama sanitario e politico in Italia dopo essere stato presentato dal Ministero della Salute alla Conferenza Unificata. Una schiera significativa di consiglieri regionali del Partito Democratico in Emilia-Romagna, guidati da Andrea Costa e sostenuti da Lodovico Albasi, manifesta una marcata apprensione riguardo alla traiettoria assunta dal documento stesso. Questa iniziativa viene considerata potenzialmente retrograda rispetto ai criteri contemporanei relativi alla cura e alla prevenzione dei disturbi mentali. La mozione presentata nell’Assemblea Legislativa regionale si propone dunque di richiedere una revisione sostanziale del PANSAM; si evidenzia il rischio che la formulazione attuale possa compromettere l’approccio multidisciplinare che ha costituito il pilastro dell’evoluzione delle pratiche psichiatriche e psicologiche nel corso degli anni. La problematica della mancata valorizzazione delle unità complesse dedicate alla psicologia clinica e alla comunità è emersa in modo significativo. Queste istituzioni hanno rappresentato storicamente i veri PILASTRI FONDAMENTALI per garantire un efficace coordinamento tra i vari servizi sul territorio; esse adottano una visione bio-psico-sociale, fondamentale poiché considera l’intreccio esistente tra elementi biologici, psicologici e sociali nella formazione e persistenza dei disagi psichici. La proposta contenuta nel Pansm, che prevede un accentramento delle attività all’interno del Dipartimento di Salute Mentale, suscita preoccupazioni relative al possibile rischio di sminuire questo approccio multidisciplinare, dando priorità a un modello che potrebbe non rispondere adeguatamente alle attuali necessità né ai progressi scientifici.

Un’altra critica rilevante concerne il declassamento del professionista psicologo a primo livello. Attualmente tali figure rivestono una funzione cruciale nell’ambito delle cure primarie presso distretti o case della comunità; risultano essenziali per garantire una sorveglianza tempestiva sul disagio psicologico, oltre allo sviluppo di strategie preventive efficaci. Parallelamente, si è notata una controversa attribuzione ai consultori familiari di attività giudiziarie, considerate estranee alla loro missione principale di prevenzione e assistenza sanitaria. Questa deviazione dal loro ruolo tradizionale solleva interrogativi sulla logica interna del Piano e sulla sua coerenza con gli obiettivi generali di promozione e tutela della salute mentale. L’appello lanciato dai firmatari della risoluzione è chiaro: è necessaria una revisione strutturale del Piano, affinché sia allineato ai bisogni reali della popolazione e sappia valorizzare appieno il contributo di tutte le figure professionali coinvolte nella cura e nel supporto della salute mentale, trasformando le criticità attuali in opportunità di miglioramento e innovazione nel settore. L’urgenza degli interventi, anche a livello locale, è sottolineata dall’emergenza che la salute mentale rappresenta in diverse aree del paese, inclusa Piacenza, rendendo indispensabile l’adozione di strumenti validi e basati su solide fondamenta scientifiche.


Le nuove sfide per la salute mentale: eco-ansia e precarietà lavorativa

La salute mentale nel terzo millennio si confronta con sfide complesse e in continua evoluzione, che vanno ben oltre le tradizionali categorizzazioni diagnostiche. Due fenomeni emergono con particolare rilevanza: l’eco-ansia e la precarietà lavorativa, entrambi in grado di generare un impatto significativo sul benessere psicologico degli individui e di interpellare la capacità del sistema sanitario di fornire risposte adeguate. L’eco-ansia, o ansia climatica, è stata definita nella letteratura scientifica come una preoccupazione cronica, paura o ansia profonda legata al destino ambientale del pianeta, innescata da gravi eventi climatici e dall’impatto percepito dell’umanità sull’ambiente naturale. Questa nuova forma di malessere, particolarmente diffusa tra i giovani, manifesta sintomi che vanno dalla tristezza alla preoccupazione persistente, e si inserisce in un contesto globale di crescente consapevolezza delle minacce ambientali.

Recenti studi dimostrano che il 43% della popolazione italiana avverte l’eco-ansia nel contesto del cambiamento climatico, con proporzioni che crescono tra i giovani[Fonte]. La Treccani descrive l’eco-ansia come una “profonda sensazione di disagio e di paura che si prova al pensiero ricorrente di possibili disastri legati al riscaldamento” globale, mentre l’American Psychological Association (APA) la inquadra come la “paura cronica del cataclisma ambientale che deriva dall’osservare l’impatto apparentemente irrevocabile del cambiamento” climatico. Questa condizione evidenzia come i fattori ambientali esterni stiano diventando determinanti sempre più potenti della salute mentale, richiedendo un approccio che vada oltre la clinica tradizionale e abbracci una visione più ampia e integrata. Sebbene un certo livello di ansia e coinvolgimento emotivo di fronte ai cambiamenti climatici sia naturale e persino funzionale per la mobilizzazione, un’eccessiva e pervasiva preoccupazione può portare a esaurimento emotivo e psicologico.

In parallelo, la precarietà lavorativa emerge come un fattore di rischio psicosociale di primaria importanza per la salute mentale. Numerosi studi, inclusi quelli che hanno informato le conclusioni del Consiglio dell’Unione Europea nell’ottobre 2023, sottolineano come l’insicurezza del posto di lavoro, i contratti temporanei e la mancanza di stabilità finanziaria siano correlati a un aumento del rischio di disturbi mentali come ansia e depressione[Fonte]. Nell’anno 2015 si era calcolato che circa l’8% delle malattie coronariche avesse legami diretti con i rischi psicosociali associati al contesto lavorativo; questo evidenzia come le condizioni professionali siano intimamente collegate sia alla salute fisica sia a quella psicologica.

Le statistiche relative ai contratti a tempo determinato sono preoccupanti: una crescita compresa fra l’8% e il 10%, riguardante gli occupati in tali forme contrattuali, sembra portare con sé un aumento dell’1% nei casi depressivi tra i giovani adulti nella fascia d’età dai 18 ai 34 anni, mentre tale cifra sale fino al 2.3% per coloro che appartengono alla categoria dei 35-49enni. Secondo quanto affermato dall’[Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)], disporre di ambienti lavorativi caratterizzati da stabilità e dignità è fondamentale non solo per prevenire problematiche associate alla salute mentale, ma altresì per facilitare il reinserimento sociale delle persone già affette da disturbi mentali—che costituiscono circa il[15%] della forza lavoro mondiale. Infine va osservato come fenomeni quali discriminazione e molestie rendano ancor più precaria questa situazione, compromettendo seriamente quel supporto atteso in termini qualitativi dalla vita professionale quotidiana. L’emergere di tali fattori comuni di stress esige una riinterpretazione e un aggiornamento delle politiche sanitarie nazionali, che siano in grado non solo di assimilare le metodologie consolidate, ma anche di sviluppare strategie innovative, appositamente concepite per affrontare le singolari problematiche derivanti da un contesto in continua evoluzione. È essenziale che un Piano Nazionale per la Salute Mentale si adegui a queste variazioni, prevedendo itinerari sia preventivi sia formativi sul piano psicologico, i quali integrino l’attenzione all’ambiente con il sostegno alla creazione di ambienti lavorativi equilibrati e duraturi.

L’imperativo di un approccio olistico e inclusivo

L’attuale dibattito sul Piano Nazionale per la Salute Mentale 2025-2030 mette in luce la necessità di un approccio olistico e inclusivo alla salute mentale, che trascenda le obsolete dicotomie e abbracci la complessità della persona nella sua interezza. Le critiche mosse al Pansm, in particolare riguardo la scarsa valorizzazione della multidisciplinarietà e il restringimento del ruolo dello psicologo, riflettono una preoccupazione più ampia per il rischio di un ritorno a modelli di assistenza che non tengano conto delle acquisizioni più recenti nel campo della psicologia e della psichiatria moderna. La salute mentale, lungi dall’essere una condizione isolata, è profondamente intrecciata con il tessuto sociale, economico e ambientale in cui l’individuo è immerso.

Legge Basaglia: Legge italiana del 1978 che ha introdotto la chiusura dei manicomi e promosso un approccio più umano e comunitario alla salute mentale.

L’eredità della Legge Basaglia, a quasi cinquant’anni dalla sua approvazione, continua a rappresentare un “bene comune” e un riferimento imprescindibile per una salute mentale che sia truly comunitaria e non solo ospedaliera. Questo implica il riconoscimento che la malattia mentale non si manifesta in un vuoto, ma è influenzata da una miriade di fattori esterni. L’esempio delle “criticità difformità regionali” nella gestione della salute mentale, un problema che persiste da anni, evidenzia la frammentazione e la disuguaglianza nell’accesso ai servizi. Un Piano nazionale dovrebbe mirare a superare tali disparità, garantendo un livello uniforme di assistenza e prevenzione su tutto il territorio, basato sulle migliori pratiche e sulle più recenti evidenze scientifiche.

L’integrazione di professionalità diverse, come medici, psicologi, assistenti sociali, educatori e infermieri, non è un’opzione ma una necessità per affrontare la “patologia delle relazioni”, come evidenziato dagli esperti. La capacità di relazionarsi, a livello familiare e sociale, è un aspetto fondante della salute mentale, e le sue alterazioni richiedono un interlocutore poliedrico, capace di offrire risposte diversificate e personalizzate. Riconoscere il ruolo strategico dello psicologo di primo livello nelle cure primarie, nei distretti e nelle case della comunità significa investire nella prevenzione e nell’intercettazione precoce del disagio, agendo prima che le problematiche si cronicizzino o degenerino in disturbi più gravi. Questo approccio, oltre ad essere più umano, è anche più efficiente e sostenibile a lungo termine per il sistema sanitario.

La salute mentale è un’emergenza riconosciuta, e i dati sulla sua incidenza e sul suo impatto sociale sono inequivocabili. Di fronte a questa realtà, le risposte devono essere “serie, scientificamente fondate e costruite con il contributo di tutte le professioni coinvolte”. Questo appello, rivolto in particolare al Ministro della Salute Orazio Schillaci e alla Conferenza delle Regioni, sottolinea l’importanza di un processo di consultazione ampio e inclusivo, che coinvolga tutte le categorie professionali e gli stakeholder del settore. La formulazione di un Pansm in grado di affrontare con adeguatezza le sfide attuali può avvenire solamente grazie a un’efficace interazione dialogica e a una visione collettiva. È imperativo perseguire l’ambiziosa meta di assicurare il benessere mentale, considerato come diritto imprescindibile, per tutti i cittadini, superando divisioni settoriali. Allo stesso tempo, si dovrebbe incentivare la diffusione di una cultura della salute capace di esaltare ogni sfumatura dell’esperienza umana, contribuendo così a sostanziali miglioramenti nella qualità della vita per milioni di individui.

La complessità del benessere psicologico in un mondo che cambia

La salute mentale dovrebbe essere intesa come un concetto complesso piuttosto che una semplice mancanza di disturbi; essa rappresenta uno stato olistico di benessere, capace non solo di abilitare l’individuo nell’esplorazione delle proprie potenzialità ma anche nella gestione dello stress quotidiano, impegnandosi attivamente nella propria professione così come nella comunità circostante. Questo benessere viene costantemente plasmato attraverso un’interazione dialettica fra fattori interni ed esterni all’individuo stesso. Un chiaro esempio lo troviamo nei principi della psicologia comportamentale e cognitiva: qui si evidenzia chiaramente come siano le nostre percezioni degli eventi, piuttosto che i fatti oggettivi accaduti, a determinare significativi effetti sulle nostre reazioni emotive e comportamentali. La questione dell’eco-ansia ne è prova tangibile; essa sottolinea come sia la visione filtrata dalla società sul cambiamento climatico – amplificata dai media – a scatenare sentimenti ansiogeni anziché i mutamenti climatici veri e propri volti a incidere sull’ambiente stesso ed evidentemente sulla nostra vita quotidiana. Comprendere i meccanismi con cui gli individui elaborano queste informazioni risulta essenziale se intendiamo progettare interventi pertinenti: da suggerimenti mirati per sviluppare strategie più adeguate per affrontarle fino a iniziative destinate ad accrescere un’autentica partecipazione collettiva tesa ad alleviare sensazioni d’impotenza diffuse tra gli individui. Un concetto sofisticato all’interno della disciplina psicologica pertinente a questa tematica è rappresentato dalla resilienza, intesa sia su un piano personale sia collettivo e strutturale. Tradizionalmente associata al potere dell’individuo nel superare momenti difficili, tale nozione può essere estesa per includere anche le capacità sistemiche; cioè quelle degli organismi sociali o dei sistemi sanitari nell’assimilare stressori esterni mentre conservano una funzionalità chiave. In presenza di eventualità quali la crescente precarietà occupazionale o l’eco-ansia dilagante, adottare una prospettiva fondata sulla resilienza sistemica richiede non soltanto intervento sul benessere soggettivo attraverso sostegno psicologico personale, ma altresì uno sforzo proattivo volto a instaurare condizioni più sicure nei contesti sociali ed economici. Ciò implica lo sviluppo di normative destinate ad attenuare fonti di incertezza, continuando così a implementare reti solidali; infondendo consapevolezza del fatto che il benessere psichico prospera in situazioni caratterizzate da stabilità relazionale ed emotiva. Un progetto nazionale ambizioso teso al miglioramento della salute mentale dovrebbe delinearsi quindi nella direzione della creazione non soltanto di individui robustamente resilienti, bensì anche di associazioni socialmente coese ed enti istituzionali prontamente attrezzati per garantire il sostentamento del benessere psico-emotivo durante periodi contrassegnati da elevate complessità evolutive e trasformazioni rapide. Questo ci invita a riflettere: quanto siamo disposti, come società, a investire non solo nella cura del disagio, ma nella creazione delle condizioni che permettono al benessere di prosperare? La salute mentale è una questione collettiva, e le risposte devono esserlo altrettanto.

Glossario:

  • Eco-ansia: forma di ansia legata alla preoccupazione per il cambiamento climatico.
  • Resilienza: capacità di un individuo o di un sistema di adattarsi e riprendersi da difficoltà.
  • Precarietà lavorativa: condizioni di lavoro caratterizzate da instabilità e mancanza di sicurezza.

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