- Il 23 settembre 2025, 4 operai intossicati da esalazioni di monossido.
- Il 24 settembre, un operaio cade da 3 metri di altezza.
- CGIL proclama 4 ore di sciopero, 8 per saldatura.
La sequela di eventi avversi nel cantiere di Monfalcone: una cronaca dettagliata
Lo stabilimento Fincantieri situato a Monfalcone, un fulcro vitale della navigazione marittima italiana, è divenuto il palcoscenico per una sequenza inquietante di incidenti sul lavoro, generando gravi interrogativi riguardanti la sicurezza operativa e le conseguenze psicologiche sui dipendenti. Il lunedì 23 settembre 2025 ha aperto un capitolo doloroso nella storia recente dell’impianto; infatti, si sono verificati due distinti episodi che hanno coinvolto un totale di cinque operatori: quattro alle dirette dipendenze della società e uno proveniente da un’impresa appaltatrice esterna. Un simile evento non soltanto ha perturbato le normali attività produttive, ma ha altresì stimolato un’analisi seria riguardo alla cultura della sicurezza insita in questa importante realtà industriale.
Il primo incidente si è consumato nella serata del lunedì stesso e ha visto coinvolti quattro operai all’interno del comparto dedicato alla saldatura B. Questi lavoratori sono stati colpiti improvvisamente da esalazioni di monossido di carbonio, sostanza estremamente tossica e potenzialmente fatale. Un episodio drammatico si è verificato sul luogo di lavoro quando tre operai si sono subito mobilitati per soccorrere un compagno colpito da malore mentre eseguiva saldature. Nel tentativo altruistico di prestare assistenza al collega afflitto dalla crisi sanitaria improvvisa, questi lavoratori hanno subito anch’essi gli effetti del gas impercettibile presente nell’ambiente circostante. Fondamentale si è rivelata quindi la solerzia dei soccorsi e il successivo trasferimento alla struttura ospedaliera situata a Monfalcone che hanno garantito una pronta stabilizzazione dei coinvolti. Questo tragico evento pone accentuato rilievo sui rischi intrinseci legati alle specifiche attività professionali, oltre a suggerire con urgenza lo sviluppo ulteriore delle normative sulla sicurezza lavorativa e uno sforzo continuo nella formazione riguardante le minacce invisibili. A pochi giorni dall’incidente iniziale ecco palesarsi martedì 24 settembre un’altra critica situazione presso il medesimo cantiere: infatti è avvenuto il coinvolgimento di un quinto operaio dipendente da una ditta esterna, vittima delle conseguenze di una caduta da un’altezza di circa tre metri. Il lavoratore ferito ha ricevuto immediate cure sanitarie anche grazie all’intervento dell’elisoccorso; sebbene abbia riportato vari traumi fisici gravi, nessuna compromissione della sua vita pare attualmente sussistere. L’incidente successivo si è verificato a brevissima distanza dai malori dovuti a intossicazione ed ha ulteriormente alimentato il dibattito riguardo alla dignità delle misure preventive, nonché alla sostenibilità della gestione dei rischi. Questa ricorrenza sconcertante solleva interrogativi tanto sulle pratiche operative quanto sull’efficacia della vigilanza costante nella percezione del rischio lavorativo.
Fincantieri non si è fatta attendere nel rispondere; mediante una dichiarazione ufficiale esprime il suo sincero dispiacere riguardo agli eventi occorsi ed annuncia senza indugi che sono state intraprese immediate azioni investigative tramite indagini interne finalizzate ad identificare le cause specifiche degli incidenti. Parallelamente alle iniziative aziendali, anche le autorità interessate – inclusa l’ANMIL (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro) – hanno aperto propri procedimenti investigativi distintivi correlati ai sinistri avvenuti. L’autorità politica ha reagito tempestivamente; infatti, il competente assessore regionale si è espresso con forte preoccupazione riguardo all’ondata recente di incidenti sul lavoro richiedendo così senza indugi la convocazione di un incontro decisivo fra aziende coinvolte e parti sociali interessate. La CGIL ed altri sindacati hanno indetto uno sciopero immediato della durata di quattro ore, fissandolo per mercoledì 25 settembre 2025. Per il turno interessato del reparto salderia, tale sciopero verrà prolungato fino a otto ore. Questa azione mira a denunciare con fermezza le carenze riguardanti la priorità della sicurezza. Non si tratta semplicemente di rivendicare diritti professionali: è piuttosto un forte allarme che sottolinea come non sia possibile considerare la sicurezza una formalità burocratica; essa deve invece essere percepita come un valore fondamentale.
L’incidente che ha coinvolto nuovamente un dipendente proveniente da una ditta esterna solleva interrogativi cruciali sulle responsabilità condivise e sulla necessaria coordinazione delle misure protettive. Tale circostanza richiama attenzione verso le sfide legate alla complessità dei cantieri navali: qui diverse aziende operano fianco a fianco. Risulta pertanto imprescindibile instaurare sistemi efficienti nella gestione integrata e dettagliata della sicurezza, capaci così di mantenere standard eccellenti riservati ai lavoratori—prescindendo dalla tipologia del loro rapporto contrattuale. Questi recenti eventi a Monfalcone non sono solo incidenti isolati, ma segnali di un sistema che necessita di riforma e rafforzamento, affinché la produzione navale possa continuare a essere un’eccellenza italiana, ma sempre e soprattutto nel pieno rispetto della vita e della salute di chi la rende possibile.

L’impatto psicologico e la cultura della sicurezza: un’analisi profonda
Gli episodi ricorrenti simili a quelli registrati a Monfalcone trascendono il limite della semplice cronaca tempestiva e delle inchieste tecniche correlate. Con sempre maggiore evidenza si manifesta l’urgenza di procedere con una dettagliata indagine sull’effetto psicologico sugli individui coinvolti, così come sull’ampio contesto della safety culture, particolarmente in una realtà intricata quale quella rappresentata da Fincantieri. I dipendenti sottoposti a rischi significativi—quali l’intossicazione da monossido di carbonio o le cadute vertiginose—non sperimentano soltanto lesioni corporee, ma si trovano anche ad affrontare un danno emozionale, capace di incidere profondamente sul benessere psichico. Sentimenti quali paura e ansia, assieme allo stress post-traumatico e al burnout, costituiscono vere ripercussioni psicologiche collegate agli incidenti: questi elementi possono manifestarsi subito o affiorare nel lungo periodo, invadendo ogni aspetto del lavoro quotidiano e compromettendo il tenore vitale generale.
In contesti professionali contraddistinti da elevati livelli d’insidia—dove le richieste produttive risultano talora estenuanti—la disciplina della psicologia comportamentale suggerisce che gli addetti possano adottare strategie difensive per sopportare lo stress lavorativo; meccanismi che frequentemente rivelano inefficienze intrinseche nella loro applicabilità pratica. Compaiono così fenomeni come la normalizzazione della devianza, un concetto cruciale che descrive l’accettazione graduale di pratiche operative non conformi agli standard di sicurezza, percepite come “normali” a causa della loro frequente occorrenza o dell’apparente assenza di conseguenze immediate. Questo processo, insidioso e spesso inconscio, erode progressivamente la percezione del rischio e può condurre a una sottovalutazione dei pericoli, aumentando la probabilità di incidenti. Per comprendere e contrastare tale fenomeno, è fondamentale analizzare non solo i comportamenti individuali, ma anche le dinamiche di gruppo e le norme informali che si sviluppano all’interno dei team di lavoro. Una cultura che tollera piccole infrazioni può lentamente spostare i confini di ciò che è considerato “accettabile”, fino a creare un ambiente intrinsecamente insicuro.
Inoltre, la memoria traumatica organizzativa gioca un ruolo fondamentale. Gli incidenti passati, anche se avvenuti anni prima, lasciano un’impronta nella memoria collettiva dell’azienda e dei suoi dipendenti. Questa “memoria”, tuttavia, può degenerare. Se non gestita proattivamente, può trasformarsi in una memoria passiva, dove gli incidenti diventano statistiche fredde senza tradursi in un reale cambiamento comportamentale o procedurale. Oppure, al contrario, può generare un ipervigilanza controproducente che paralizza l’efficienza. Una gestione efficace di questa memoria richiede una rieducazione continua, un dialogo aperto sulle lezioni apprese e una revisione costante delle pratiche, al fine di evitare che gli errori del passato si ripetano. La tendenza a sottovalutare i rischi o a ignorare i segnali di allarme, anche in presenza di un passato di incidenti, evidenzia una falla nella capacità dell’organizzazione di apprendere e adattarsi. È qui che la psicologia cognitiva interviene, suggerendo modelli di formazione e sensibilizzazione che non si limitino a un elenco di regole, ma che stimolino la comprensione profonda dei pericoli e delle loro conseguenze. La dirigenza riveste un’importanza fondamentale all’interno dello scenario delineato. È essenziale una leadership ingaggiante, ben visibile nel suo impegno per garantire la sicurezza dei lavoratori; ciò permette la creazione d’un ambiente in cui ogni individuo sia stimolato a riferire situazioni rischiose ed avanzare suggerimenti migliorativi senza il timore delle conseguenze negative. Tale approccio implica una transizione dalla consueta cultura dell’accusa verso una cultura della fiducia e della responsabilità condivisa. Attraverso l’utilizzo delle interviste strutturate, coinvolgendo figure quali lavoratori stessi, rappresentanti sindacali o esperti in psicologia occupazionale si potrebbe realizzare una mappatura precisa delle valutazioni relative ai rischi professionali; ciò aiuterebbe anche a individuare le concrete aree critiche legate allo stress e a analizzare l’impatto che esercita la pressione associata alla produttività sulle decisioni operative giornaliere degli addetti al lavoro. Si deve tener conto che il burnout ha ripercussioni significative sulla vigilanza individuale oltre che sulla reattività stessa; aumentano così i fattori predisponenti a incidenti sul luogo del lavoro. Nel campo sanitario relativo alla salute mentale emerge pertanto l’esigenza d’introdurre efficaci programmi rivolti al sostegno psico-emotivo dei dipendenti ed eseguire monitoraggi dello stress derivante dall’attività professionale: questa prassi non dovrebbe essere riservata esclusivamente alle circostanze post-traumatiche ma deve entrare nella sfera complessiva d’una pianificazione strategica proattiva. Il significato intrinseco di tali eventi nel contesto contemporaneo riguardante la salute mentale è senza dubbio evidente. In un periodo caratterizzato da una crescente sensibilità verso il benessere sia fisico che psichico, gli incidenti sul luogo di lavoro si configurano come una lesione non soltanto sociale ma anche psichica. Questi avvenimenti erodono la fiducia riposta nelle strutture sociali esistenti, provocando uno stato d’ansia collettiva che può propagarsi all’interno della comunità lavorativa e nelle relazioni familiari. L’atto preventivo va oltre l’adempimento delle normative vigenti; esso implica un investimento strategico nella salute mentale, mirato alla costruzione di ambienti dove ogni persona possa sentirsi rispettata e al sicuro. È imperativo riconoscere il peso umano degli incidenti per operare una mitigazione consapevole attraverso metodologie integrate che abbraccino dimensioni tecniche, organizzative e psicologiche.
Le richieste sindacali e la risposta istituzionale: un fronte comune per la sicurezza
A Monfalcone si è assistito a una preoccupante escalation degli incidenti lavorativi che ha provocato una reazione decisa ed unita tra le rappresentanze sindacali. Questa situazione ha messo in evidenza l’importanza cruciale del loro ruolo nella protezione, nonché nella promozione della sicurezza nei contesti professionali. L’annuncio dello sciopero da parte della CGIL – articolato con quattro ore per tutte le categorie lavorative ed esteso a otto ore nel caso specifico del turno interessato nel reparto salderia – va oltre il semplice atto formale; costituisce piuttosto un sollievo palpabile d’allerta. Tale scelta strategica è giunta dopo due eventi distinti avvenuti entro ventiquattro ore: essa diventa così una manifestazione indispensabile tesa a dare visibilità alla critica condizione che sta vivendo lo stabilimento Fincantieri. Nel presente scenario lo sciopero si distacca dalla consueta lotta per condizioni economiche migliori: esso richiede invece con forza significativi ADEGUAMENTI STRUTTURALI insieme a un profondo cambiamento culturale orientato verso il riconoscimento prioritario dell’integrità fisica e del benessere dei dipendenti. L’intervento da parte del sindacato si è rivelato tempestivo e risoluto, evidenziando una profonda consapevolezza non solo in merito ai pericoli tangibili ma anche riguardo alla possibile svalutazione della fiducia e al deterioramento del benessere mentale collettivo causati da tali incidenti.
In parallelo, la reazione delle istituzioni ha seguito un andamento celere, rivelando un’armonia d’intenti fra l’azienda stessa, le autorità politiche e gli enti responsabili per la sicurezza. L’assessore regionale competente ha espresso una saggia preoccupazione, sollecitando con urgenza la convocazione di un tavolo di confronto urgente. Questo incontro, che vedrà il coinvolgimento diretto delle alte cariche aziendali assieme alle rappresentanze sindacali, mira a esplorare in profondità le origini e i meccanismi degli infortuni occorsi; più importante ancora sarà elaborare ed attuare strategie concrete ed efficaci, finalizzate al rafforzamento delle normative di sicurezza e prevenzione. La presenza delle istituzioni all’interno di questo tavolo si rivela determinante: essa simboleggia l’impegno concreto della regione nel garantire che la sicurezza sia considerata non soltanto come una problematica interna all’azienda ma bensì come un dovuto interesse pubblico primario. L’intervento politico può svolgere un ruolo cruciale nel creare le condizioni necessarie affinché i processi decisionali siano accelerati ed eventualmente permettano un’adeguata distribuzione delle risorse destinate al rafforzamento della sicurezza. Sarà quindi essenziale tradurre quanto discusso in risultati praticabili, impedendo che il dialogo si trasformi in nulla più che un confronto superficiale.
Per quanto concerne Fincantieri, quest’ultima ha espresso nuovamente il proprio profondo rammarico, annunciando contestualmente il lancio immediato di apposite sindagini interne, mirate a individuare responsabilità specifiche e comprendere meglio la situazione venutasi a creare. Sebbene questa risposta sia necessaria e attesa, è imprescindibile affiancarla con una gestione caratterizzata da assoluta trasparenza totale. Inoltre, occorre mettere in campo anche una vera volontà collaborativa nei confronti delle autorità d’inchiesta attraverso iniziative concrete. L’apertura simultanea dei fascicoli investigativi agli organismi appropriati come l’ANMIL evidenzia non solo la gravità del caso ma anche la determinazione nell’assicurarsi che tutti gli elementi vengano considerati senza alcuna omissione.
Il coinvolgimento attivo di molteplici entità implicate nelle indagini è imprescindibile affinché si possa garantire sempre una completa visione dell’accaduto evitando restrizioni geografiche o tematiche ai procedimenti stessi. La questione della sovrapposizione delle competenze rappresenta qui non tanto un ostacolo quanto piuttosto una certezza di rigorosità e imparzialità.
Emergendo dal secondo incidente occorso a un dipendente proveniente da una ditta terza in subappalto, si trova alla luce del sole il tema cruciale della gestione della sicurezza nell’ambito degli appalti. All’interno dei cantieri navali—un esempio emblematico è il cantiere di Monfalcone—si agita ogni giorno un numero considerevole di imprese diverse: decine o addirittura centinaia. In simili contesti si rende necessaria una definizione precisa delle responsabilità, oltre a richiedere una coordinazione rigorosa dell’azienda principale con quelle subappaltatrici. La concezione della sicurezza non può risultare frazionata o relegata a soggetti senza alcuna sorveglianza concreta; deve piuttosto realizzarsi come un sistema coeso, capace di garantire elevati standard protettivi per tutti i lavoratori coinvolti, al netto del loro datore legale diretto. Da queste premesse discende la necessità che le indagini chiariscano se le misure preventive adottate per gli operatori delle ditte esterne avessero effettivamente validità ed efficacia nella pratica quotidiana oppure se il monitoraggio esercitato dall’azienda committente fosse veramente stringente. Questo è un punto focale per prevenire il ripetersi di incidenti in contesti di subappalto, dove talvolta la catena di responsabilità può apparire meno lineare.
Oltre l’emergenza: la resilienza organizzativa e il benessere psicologico dei lavoratori
L’analisi degli incidenti sul lavoro a Monfalcone ci conduce inevitabilmente oltre la mera cronaca e le indagini immediate, verso una riflessione più profonda sulla resilienza organizzativa e sul benessere psicologico dei lavoratori. Gli psicologi che studiano i traumi organizzativi sottolineano come eventi luttuosi o pericolosi possano plasmare la “memoria” di un’azienda, influenzando le percezioni del rischio e, di conseguenza, le pratiche future. In questo contesto, la psicologia cognitiva ci insegna che l’esposizione allo stress e al pericolo può alterare i processi decisionali, portando a una riduzione dell’attenzione e a una sottovalutazione dei rischi, specialmente in un ambiente in cui le scadenze e la pressione produttiva sono costanti. La mente umana, confrontata con l’incertezza e con la minaccia, può attivare meccanismi di difesa che, se da un lato proteggono l’individuo nel breve termine, dall’altro possono ostacolare un’efficace gestione del rischio a lungo termine.
Dal punto di vista della psicologia comportamentale, è cruciale comprendere come le norme sociali e le aspettative non scritte influenzino il comportamento sul luogo di lavoro. Se l’ambiente lavorativo in qualche modo “premia” (anche indirettamente) l’assunzione di rischi per rispettare i tempi di consegna, o se si percepisce una mancanza di sostegno per chi segnala problemi di sicurezza, si crea un terreno fertile per la normalizzazione della devianza. Questa non è una questione di cattiva volontà individuale, ma un fenomeno sistemico in cui i comportamenti non sicuri diventano gradualmente parte della routine, perdendo la loro carica di pericolosità percepita. L’organizzazione, dunque, non è solo un insieme di macchine e procedure, ma una rete di relazioni umane che si influenzano a vicenda, e in cui la cultura della sicurezza è un prodotto collettivo.
Per affrontare questi aspetti, la medicina correlata alla salute mentale propone un approccio integrato. Non è sufficiente intervenire solo dopo un incidente con cure mediche e terapie per i traumi post-traumatici; è indispensabile implementare programmi di prevenzione che includano valutazioni psicologiche periodiche dello stress lavoro-correlato, supporto psicologico proattivo e formazione specifica sulla gestione delle emozioni in contesti ad alto rischio. Questi interventi non solo migliorano la salute mentale dei lavoratori, ma contribuiscono anche a ridurre i fattori di rischio che possono portare a nuovi incidenti. Un lavoratore che si sente supportato, ascoltato e che ha strumenti per gestire lo stress sarà più incline a rispettare le norme di sicurezza e a segnalare tempestivamente pericoli.
Una nozione base di psicologia cognitiva applicabile a questo scenario è il concetto di bias di ottimismo. Le persone tendono a sottovalutare la probabilità che eventi negativi accadano loro, specialmente se li percepiscono come “fuori dal loro controllo” o “rari”. Nell’ambito professionale, le dinamiche indicate potrebbero condurre a una diminuzione dell’aderenza alle misure protettive, specialmente quando gli operai percepiscono un senso infondato di sicurezza dovuto alla loro assenza da eventi dannosi significativi. Tale condotta non deriva necessariamente da incuria intenzionale; piuttosto afferisce a una distorsione cognitiva, capace di alterare il modo in cui si considera il rischio.
Esaminando questo tema sotto angolazioni psicologiche avanzate, emergono concetti come la teoria del nudging, nota come spinta gentile. Essa propone modalità attraverso le quali è possibile orientare le azioni umane senza ricorrere alla coercizione; ciò avviene mediante leggere modifiche contestuali oppure nella struttura delle scelte disponibili. Per quanto concerne la sfera della sicurezza sul lavoro, questa dottrina suggerisce che potrebbe essere opportuno strutturare lo spazio operativo affinché le opzioni ritenute più sicure risultino simultaneamente quelle più accessibili e intuitive per gli operatori stessi. Un esempio pratico sarebbe garantire che i dispositivi di protezione individuale siano immediatamente raggiungibili oppure implementare allarmi con caratteristiche tali da renderli impossibili da trascurare. In tal modo, il nudging contribuisce ad attenuare il fenomeno del bias ottimista, inducendo automaticamente comportamenti maggiormente cauti e riducendo la necessità di un pesante impegno decisionale.
La riflessione personale che emerge da questi eventi è profonda: siamo come individui, e come società, disposti a riconoscere che la sicurezza sul lavoro non è solo un requisito normativo, ma un investimento nel capitale umano e nel benessere collettivo? La vera resilienza di un’organizzazione si misura nella sua capacità non solo di riprendersi dagli incidenti, ma di imparare da essi, di trasformare il trauma in un catalizzatore per un cambiamento autentico e duraturo. Questo richiede un impegno costante a coltivare una cultura della sicurezza che vada oltre le procedure formali, che abbracci la cura per l’essere umano in ogni sua dimensione, fisica e psicologica. Perché, in fin dei conti, dietro ogni incidente, c’è sempre una vita, un’esperienza, un potenziale che non possiamo permetterci di perdere.


- Bias di ottimismo: tendenza delle persone a ritenere che gli eventi negativi siano meno probabili rispetto ad altri.
- Nudging: strategia di comportamento che modifica il contesto decisionale per influenzare i risultati in modo prevedibile.