- Nel 2024, le denunce di infortunio sono diminuite dell'1% rispetto all'anno precedente.
- Nei primi quattro mesi del 2025, si sono registrati 291 decessi sul lavoro.
- Nel 2024 si sono registrati 1.090 morti sul lavoro, con un aumento del 4,7%.
- Nel 2022, l'Italia ha registrato un tasso di 96,8 infortuni ogni 10.000 occupati.
- L'Università di Padova ha riscontrato una maggiore vulnerabilità a disturbi d'ansia.
Perdura in Italia la triste e complessa questione degli infortuni sul lavoro, una problematica che, nonostante alcune lievi flessioni, resta una costante criticità nel panorama occupazionale. I dati più recenti dell’INAIL per il 2024 hanno mostrato una contrazione dell’1% nelle denunce complessive, passando da 519 mila a 515 mila casi. Questo dato, sebbene modesto, si inserisce in una tendenza di riduzione già osservata nel confronto con il periodo pre-pandemico, con un calo di quasi l’8,5% (circa 50 mila casi in meno) rispetto al 2019. Anche la componente più tragica del fenomeno, quella mortale, ha evidenziato una leggera flessione, scendendo da 1.237 decessi nel 2019 a 1.189 nel 2024, con una diminuzione del 3,9%. Tuttavia, è fondamentale notare che nei primi quattro mesi del 2025 si è registrato un inquietante aumento delle morti sul lavoro, raggiungendo quota 291 decessi, un dato che riaccende l’allarme sulla sicurezza.
Il quadro europeo, peraltro, offre una prospettiva interessante. Le statistiche Eurostat, aggiornate al 2022, indicano che nell’Unione Europea si sono verificati circa 3 milioni di infortuni non mortali e 3.286 infortuni mortali. Questi numeri, riferiti esclusivamente agli infortuni avvenuti durante l’attività lavorativa (escludendo quelli in itinere per disomogeneità di rilevazione tra gli Stati membri), mostrano un aumento del 3% nei casi non mortali rispetto all’anno precedente, sebbene i decessi abbiano registrato una modesta diminuzione dell’1,8%.
- In Italia si rilevano 1.090 morti sul lavoro nel 2024
- Aumento del 4,7% rispetto all’anno precedente
- Settore delle costruzioni il più colpito (156 decessi)
- Le regioni con più mortalità: Basilicata, Valle d’Aosta, Umbria, Trentino-Alto Adige, Campania, Sardegna e Sicilia
Per un confronto più accurato tra i Paesi membri, Eurostat impiega il tasso standardizzato di incidenza infortunistica, che rapporta il numero di infortuni indennizzati ogni 100. 000 occupati, correggendo per le differenze nelle strutture produttive nazionali. Questo indicatore include infortuni che hanno causato un’assenza dal lavoro di almeno quattro giorni di calendario, ma esclude gli infortuni autoprocurati, per cause mediche (come infarto o ictus) e quelli in itinere. Nel 2022, l’Italia ha presentato un tasso di 96,8 casi ogni 10.000 occupati, significativamente inferiore alla media UE di 134,2 e ben al di sotto dei valori registrati in Francia (245,4), Spagna (237,1) e Germania (153,5). Questo dato suggerisce una possibile minore incidenza reale, ma potrebbe anche riflettere una diversa propensione alla denuncia o una peculiare struttura produttiva.
Eurostat ha riportato nel 2022 che l’incidenza degli infortuni mortali in Italia era pari a 0,87 ogni 100.000 occupati, inferiore alla media UE di 1,26, ma superiore a quella della Germania (0,61) e significativamente più bassa rispetto a Francia (3,35) e Spagna (1,53).
È importante evidenziare che il problema degli infortuni è tutt’altro che risolto e le statistiche devono essere lette con attenzione. A Roma e Milano, per esempio, si è registrato un boom di incidenti in itinere, come rivelato da una ricerca della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro. Questo indica che, pur in presenza di un generale calo nel numero degli infortuni “tradizionali”, permangono criticità specifiche e localizzate che richiedono un’attenzione mirata e interventi preventivi sempre più efficaci. Le donne, in particolare, stanno registrando un aumento nei decessi, e alcune regioni risultano più colpite di altre, sottolineando la necessità di analisi più approfondite e politiche di sicurezza calibrate sulle specificità territoriali e di genere.
L’impatto psicologico profondo degli infortuni: oltre il danno fisico
Oltre alle statistiche numeriche e alle ferite visibili, gli infortuni sul lavoro lasciano un’eredità spesso trascurata ma profondamente devastante: il trauma psicologico. Recenti ricerche, tra cui quelle condotte dall’Università di Padova, hanno gettato luce su questa dimensione sommersa, rivelando una marcata esposizione ad ansia e depressione tra le vittime di incidenti lavorativi. Non si tratta solo di postumi fisici, ma di un complesso di difficoltà che include problematiche nell’organizzazione delle attività, nella concentrazione e nella memoria, tutti fattori che ostacolano il pieno reinserimento nel contesto professionale e sociale.
Quattro distinti studi hanno evidenziato una sintomatologia post-traumatica elevata nelle vittime. In particolare, uno studio più ampio ha sottolineato la vulnerabilità maggiore a disturbi d’ansia e disturbi depressivi nelle persone colpite da incidenti sul lavoro. È emerso che questa sintomatologia influenza negativamente non solo la capacità di gestire lo stress, ma anche la concentrazione. Ulteriori indagini cognitive hanno rivelato nei lavoratori colpiti disturbi nelle abilità di organizzazione, nel controllo di strategie d’azione flessibili, nella concentrazione e nella memoria. Sono tutte competenze che si rivelano fondamentali per una prestazione lavorativa adeguata e per un rapido ed efficiente reinserimento sia in ambito sociale che lavorativo.
Un secondo studio, basato su un campione più esteso, ha indicato che gli individui coinvolti in incidenti lavorativi mostrano una maggiore tendenza a sviluppare disturbi d’ansia e depressione. Oltre a ciò, la sintomatologia post-traumatica pare compromettere la capacità di gestire lo stress e la facoltà di concentrazione.
“Le vittime con una maggiore sintomatologia post-traumatica hanno mostrato prestazioni inferiori in compiti che misurano attenzione e capacità di concentrazione.” (Università di Padova)
Un’analisi correlazionale ha inoltre dimostrato un legame tra la sintomatologia post-traumatica, le disfunzioni cognitive e l’attivazione fisiologica ed emozionale durante la rievocazione dell’incidente. Le vittime con una maggiore sintomatologia post-traumatica hanno mostrato prestazioni inferiori in compiti che misurano attenzione e capacità di concentrazione. Dal punto di vista neuroscientifico, la depressione è associata a un’eccessiva attivazione del sistema limbico, a una ridotta connettività tra la corteccia prefrontale e il sistema limbico, e al coinvolgimento di neurotrasmettitori quali noradrenalina, serotonina e dopamina. Le difficoltà cognitive riscontrate si manifestano attraverso problematiche legate all’attenzione, alla memoria e alla capacità di strutturare le azioni in sequenze logiche. L’attenzione stessa—specialmente quando associata a stati d’ansia—tende infatti a concentrarsi sui fattori emotivi presenti nel contesto o su quegli stimoli ambientali che richiamano esperienze traumatiche passate. Ciò comporta un ridotto accesso alle risorse necessarie per affrontare i compiti quotidiani demandanti concentrazione e pianificazione. Inoltre, la propensione al rimuginio mentale, correlata con altre disfunzionalità cognitive, conduce gli individui affetti da sintomi post-traumatici significativi a ottenere risultati inferiori nei test di attenzione e concentrazione; queste persone spesso optano per strategie operative più lente e ponderate, sacrificando così la rapidità in favore dell’accuratezza.
È pertanto essenziale che la valutazione clinica successiva all’incidente non consideri esclusivamente l’invalidità fisica—solitamente misurata secondo i criteri stabiliti dall’INAIL—ma prenda altresì in esame tutte le implicazioni sulla salute psicofisica complessiva del lavoratore; ciò include anche gli effetti psicologici ed emozionali conseguenti all’esperienza traumatica Questi, infatti, sono ampiamente trascurati durante la valutazione clinica immediata. L’infortunio professionale è un “portatore di una sorta di ‘tossina’ secondaria che si inserisce nell’organismo e nella vita del soggetto”, condizionandone emozioni, relazioni sociali e il “valore” lavorativo e professionale. Riconoscere e affrontare questa “tossina” con interventi di sostegno mirati è fondamentale per facilitare il recupero fisico e psicosociale della vittima e un suo rapido reinserimento lavorativo.
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Strategie di intervento e prevenzione: il ruolo della mindfulness e della collaborazione interdisciplinare
Strategie di intervento e prevenzione: il significato della mindfulness e dell’approccio collaborativo tra diverse discipline
Di fronte alla complessità degli impatti psicologici degli infortuni sul lavoro, si rende essenziale l’adozione di approcci terapeutici mirati e di strategie preventive efficaci. L’evidenza scientifica di numerosi studi supporta l’efficacia degli interventi basati sulla mindfulness per mitigare gli effetti negativi sulla salute mentale dei lavoratori colpiti. La mindfulness, intesa come la consapevolezza intenzionale del momento presente priva di giudizio, si è dimostrata una risorsa preziosa nel trattamento di disturbi d’ansia, depressione e stress post-traumatico. La pratica regolare della mindfulness può contribuire significativamente a migliorare la gestione dello stress, potenziando la concentrazione, riducendo l’ansia e promuovendo un benessere psicologico generale.
Le pratiche di mindfulness si focalizzano sull’attenzione al momento presente, al respiro, all’osservazione consapevole delle sensazioni fisiche e al riconoscimento e accettazione delle emozioni. Questi interventi si sono rivelati particolarmente efficaci nel migliorare la consapevolezza emotiva e cognitiva, favorendo una prospettiva più equilibrata e resiliente nei confronti degli stressor. L’integrazione di tali pratiche nei protocolli di assistenza offre un approccio che può aiutare concretamente le vittime di infortuni sul lavoro a gestire la sintomatologia post-traumatica, migliorare la qualità del sonno e favorire una ripresa psicologica più rapida. La consapevolezza e la presenza mentale promosse dalla mindfulness possono contribuire a ridurre l’impatto emotivo degli incidenti, facilitando il processo di guarigione.
- Mindfulness come metodo terapeutico
- Collaborazione interdisciplinare tra datore di lavoro, RSPP, medico e psicologo
- Sistemi di supporto psicologico dopo un infortunio
Un’altra chiave di volta risiede in un lavoro interdisciplinare sinergico. La sinergia tra Datore di Lavoro, RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione), medico competente e psicologo riveste un ruolo essenziale nella gestione delle problematiche legate alla salute psicosociale dei lavoratori. È in questo scenario che si fa particolarmente rilevante il legame instaurato fra medico e individuo impiegato; l’empatia accompagnata dall’indipendenza da influenze esterne costituiscono i pilastri imprescindibili per realizzare interventi proficui. Un report elaborato dal Dipartimento di Medicina Preventiva della Fondazione IRCCS Policlinico Mangiagalli Regina Elena elenca differenti categorie afferenti ai disturbi psicosociali: vi figurano disagi associati allo stress sul posto di lavoro, condizioni quali burnout, nonché malattie derivanti dal mobbing insieme ad altri stati d’ansia o depressione che possono insorgere nel contesto professionale stesso. Questa ricerca sottolinea l’urgenza della personalizzazione degli interventi attuati dal professionista sanitario responsabile della tutela della salute nel mondo lavorativo. Il metodo clinico implica una dedizione considerevole che si traduce nella necessità di riservare sufficiente tempo ai colloqui con i dipendenti; ciò consente non solo una comprensione approfondita ma anche un’opportuna gestione delle circostanze peculiari vissute dai singoli individui. Inoltre, prestare attenzione alla salute mentale negli ambienti professionali delineano una questione d’importanza massima tanto sul piano nazionale quanto su quello europeo. Il fenomeno dello stress, dell’ansia nonché della depressione, si classifica come il secondo ostacolo per quanto riguarda le problematiche sanitarie correlate al mondo del lavoro tra gli operai europei. Ciò sottolinea con chiarezza l’ampiezza sistematica della questione insieme alla rilevanza degli interventi necessari ad affrontarla; tali azioni devono superare la mera attenzione agli incidenti sul posto di lavoro adottando una visione preventiva più esaustiva. È fondamentale istituire politiche aziendali orientate alla creazione di un clima lavorativo salutare attraverso una cura anticipativa nella gestione dello stress associato ed uno sguardo attento al benessere psicologico. Questo approccio può effettivamente abbattere considerevolmente sia le probabilità di infortuni sia le relative conseguenze negative.
In conclusione, non si può sottovalutare come gli effetti sul piano psicologico degli eventi traumatici legati all’attività professionale trascendano nettamente quelli corporei. La depressione, l’ansia e ciascun disturbo post-traumatico da stress sono capaci di intaccare severamente lo standard qualitativo dell’esistenza personale delle persone coinvolte così come influenzarne negativamente ogni tentativo successivo d’integrazione tanto nella comunità quanto nel mercato del lavoro stesso. Essenziale è pertanto familiarizzarsi con i meccanismi neurobiologici preposti ed avvalersi di interventi mirati al sostegno emotivo quali ad esempio quelli fondati sulla mindfulness. L’inserimento armonioso delle predette pratiche all’interno di un approccio multidisciplinare consente anche specifiche metodologie analitiche nel calcolo che prendono integralmente in considerazione gli esiti dal punto di vista psichico: questo comporta un passo rilevante verso una condizione ottimale della salute mentale dei dipendenti ed una facilitazione importante nella reintegrazione sostenibile nei vari ambiti professionali così come socialmente.
Riflessioni sulla resilienza e il benessere psicologico nel contesto lavorativo
Approfondendo il tema con maggiore chiarezza, gli incidenti sul luogo di lavoro non si limitano a creare lesioni fisiche immediate; aprono invece una porta su una questione più intricata riguardante le loro conseguenze sulla salute mentale. In questo contesto emerge come la psicologia cognitiva ci informi sulle modalità attraverso cui interpretiamo eventi difficili o traumatici. Un incidente lavorativo trascende quindi il piano fisico ed evolve in un vero e proprio trauma capace d’intrufolarsi nella narrazione personale dell’individuo, erodendo sia la sua sicurezza interiore sia l’identità professionale costruita nel tempo. Questo sconvolgimento lascia spazio all’ansia della perdita del controllo del proprio avvenire. Per molti soggetti coinvolti, la mente reagisce tentando disperatamente di rielaborare una situazione così destabilizzante, ma finisce per cadere in cicli ripetitivi caratterizzati da pensieri ossessivi o stati depressivi; tale condizione influisce negativamente anche su attività cognitive cruciali quali concentrazione e memoria.
Un esame più approfondito mostra anche come teorie provenienti dalla psicologia comportamentale delineino chiaramente come alla scia traumatica possano seguire schemi di evitamento. Riflettendo su ciò, ci si domanda quante volte nella nostra esperienza professionale abbiamo trascurato l’impatto dello stress oppure le piccole insicurezze accumulate nel tempo. Gli schemi comportamentali considerati difensivi – ad esempio evitare situazioni o ambienti legati all’incidente – finiscono per aggravare la situazione anziché risolverla; così facendo si frappongono tra noi e la necessaria elaborazione del trauma stesso, bloccando anche il progresso verso la guarigione completa. Un caso paradigmatico è rappresentato dal disturbo da stress post-traumatico (PTSD): in questo contesto, gli sforzi per estirpare i ricordi intrusivi insieme alla continua vigilanza generano un vortice distruttivo in grado di limitare drasticamente l’esistenza della persona colpita. Qui entra in gioco la rilevanza degli interventi basati sulla mindfulness: questi non si pongono come obiettivo quello di cancellare né il dolore né i ricordi dolorosi; al contrario intendono promuovere una consapevolezza accettante del momento presente. Ciò consente alle persone interessate di osservare emozioni e pensieri con serenità, evitando sovraccarichi emotivi o giudizi inflessibili nei loro confronti. Questo metodo potrebbe rivelarsi uno strumento formidabile per spezzare i cerchi viziosi dell’evitamento, agevolando così un’elaborazione più sana delle esperienze traumatiche vissute. La sicurezza sul lavoro non è solo una questione di protocolli e macchinari a norma; è anche, e forse soprattutto, una questione di benessere mentale e di supporto psicologico. Ogni infortunio, sia esso grande o piccolo, ci ricorda che siamo esseri umani, vulnerabili e complessi. La riflessione che dobbiamo fare è profonda: stiamo davvero costruendo ambienti di lavoro che non solo prevengono i danni fisici, ma anche promuovono la resilienza e la salute mentale? Siamo consapevoli che un lavoratore che si sente supportato, ascoltato e psicologicamente integrato è un lavoratore più sicuro, più produttivo e, in definitiva, più felice? La risposta a queste domande dovrebbe guidare non solo le politiche aziendali, ma anche il nostro approccio individuale al lavoro e alla cura reciproca.
- INAIL: Istituto Nazionale Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro
- PTSD: Disturbo da Stress Post-Traumatico, condizione psicologica che si verifica in seguito a un’esperienza traumatica
- Mindfulness: Pratica di consapevolezza che mira a mantenere un’attenzione focalizzata sul momento presente