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Basaglia: come la legge 180 ha cambiato la salute mentale in Italia

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  • Nel 1978 la legge Basaglia chiuse 98 ospedali psichiatrici in Italia.
  • Nel 1941 i manicomi ospitavano 96.000 persone, un aumento da 60.000 nel 1926.
  • 854.000 persone sono assistite ogni anno dai servizi specialistici.

L’Ombra dei Manicomi: Una Storia Italiana di Emarginazione e Rivoluzione

La storia della salute mentale in Italia è indissolubilmente legata a quella dei manicomi, istituzioni che per secoli hanno rappresentato il principale, e spesso unico, luogo di contenimento e “cura” per le persone affette da disturbi psichici. Un viaggio doloroso e complesso, che affonda le sue radici ben prima del 1400, epoca in cui iniziarono a comparire i primi ospedali psichiatrici gestiti prevalentemente da ordini monastici ed ecclesiastici, da medici illustri o da cittadini facoltosi. Queste strutture, tuttavia, erano spesso luoghi di mera contenzione, dove la “cura” si traduceva in terapie brutali[1] e l’applicazione di vere e proprie torture.
Un punto di svolta, seppur embrionale, si ebbe nel 1904 con l’approvazione di una legge proposta da Giovanni Giolitti. Questa normativa introduceva l’obbligo di ricovero in manicomio solo per i “dementi pericolosi o scandalosi” e prevedeva l’ammissione solo dopo una procedura giuridica, salvo casi di urgenza. La legge, però, non prendeva in considerazione i bisogni e i diritti del malato, concedendo alle autorità locali il potere di ordinare il ricovero di qualsiasi persona, inclusi i bambini, bastasse una certificazione medica e l’urgenza. Questo portò all’internamento di soggetti considerati “non conformi” alle rigide norme sociali: omosessuali, prostitute, donne ritenute incapaci di svolgere i ruoli di mogli e madri, o anche semplicemente affette da depressione. Le condizioni igienico-sanitarie all’interno di queste strutture erano spesso deplorevoli, e i pazienti venivano sottoposti a pratiche disumane come l’elettroshock, il coma insulinico e la sperimentazione di farmaci nascenti, come la cloropromazina.

L’era fascista, con l’introduzione del codice penale Rocco nel 1931, fino al 1968, aggravò ulteriormente la situazione. Chi veniva internato in manicomio era iscritto nel casellario giudiziario, e molti dissidenti politici finirono rinchiusi. Il numero degli internati crebbe vertiginosamente, passando da 60.000 nel 1926 a 96.000 nel 1941[2]. Questo testimonia come i manicomi non fossero solo luoghi di reclusione per i malati, ma anche strumenti di controllo sociale e politico. È proprio in questo contesto di profonda disumanizzazione che emerse la figura di Franco Basaglia, uno psichiatra visionario che avrebbe cambiato radicalmente il volto della salute mentale in Italia.

Lo scandalo e la consapevolezza delle terribili condizioni interne ai manicomi, istituzioni che di fatto restavano regolate dalla legge Giolitti del 1904, alimentarono un movimento di riforma. Nel 1978, quando la legge Basaglia sancì la loro chiusura, si contavano in Italia 98 ospedali psichiatrici, con oltre 89.000 persone ivi rinchiuse[3]. Questa eredità storica, fatta di sofferenza e dignità negate, continua a permeare la percezione collettiva della malattia mentale.

Dati recenti sulla salute mentale in Italia:
  • Nel 2024, oltre 16 milioni di italiani lamentano disturbi psicologici di media e grave entità.
  • Il 48% degli italiani si sente solo, il dato peggiore in Europa.
  • Le richieste di supporto psicologico nel 2023 hanno visto un incremento del 20% rispetto al 2019.

La rivoluzione basagliana e l’impatto sulla salute mentale

La Legge 180 del 13 maggio 1978, universalmente conosciuta come Legge Basaglia, ha rappresentato una svolta epocale nella storia della psichiatria italiana e globale. Promossa dallo psichiatra e deputato della Democrazia Cristiana Bruno Orsini, e fortemente ispirata dalle idee di Franco Basaglia, questa normativa fu la prima al mondo ad abolire gli ospedali psichiatrici[4]. Basaglia, già dal 1961 a Gorizia, aveva iniziato a organizzare un movimento che mirava alla chiusura dei manicomi, convinto che queste istituzioni non curassero la malattia mentale, ma piuttosto distruggessero i pazienti.

Il principio cardine della Legge Basaglia era il superamento dell’esclusione sociale delle persone affette da disturbi psichici. L’obiettivo era curare l’individuo nella sua interezza, considerando tutti gli aspetti familiari e culturali, e reinserirlo nel tessuto sociale dopo anni di segregazione. Immediatamente dopo la sua promulgazione, la riforma del settore psichiatrico prevista dalla Legge 180 fu inglobata nella Legge 833 del 1978, che istituì il Servizio Sanitario Nazionale, nel quale confluirono tutte le strutture sanitarie preesistenti. Tuttavia, la sostituzione dei manicomi con l’attuale rete dei servizi per la salute mentale non fu un processo immediato, richiese almeno vent’anni per consolidarsi appieno. Anche i sei ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), luoghi in cui persistevano condizioni simili a quelle manicomiali, furono chiusi definitivamente solo nel 2017, sebbene le leggi che ne disponevano la chiusura risalgano al 2012 e al 2014[5]. Sono state create le REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) al posto degli istituti tradizionali, con una capienza massima fissata a 20 posti letto.

La Legge Basaglia ha provocato una trasformazione radicale nel modo in cui si considera la salute mentale. Prima dell’introduzione di questa legge, i soggetti affetti da disturbi psichici erano frequentemente visti come criminali o prigionieri, costretti a vivere senza alcuna dignità all’interno di manicomi sovraffollati. Basaglia ha saputo ribaltare tale concezione, argomentando che affrontare la malattia mentale fosse fondamentale all’interno del tessuto sociale piuttosto che nell’isolamento asettico delle istituzioni chiuse. Le sue pratiche innovative hanno dimostrato non solo l’opportunità, ma anche la necessità di un approccio etico e solidale verso questi individui, sostenendo il valore intrinseco dei diritti umani e riconoscendo l’importanza del contesto comunitario nel percorso terapeutico.

Sfide attuali e prospettive future della salute mentale

A distanza di 45 anni dall’approvazione della Legge Basaglia, permangono significative sfide nell’ambito della salute mentale in Italia. Nonostante il progresso legislativo e il riconoscimento dei diritti delle persone con fragilità psichiche, lo stigma sociale legato alla malattia mentale è ancora presente e rappresenta un ostacolo significativo. Il dibattito attuale si concentra ancora sulle modalità di attuazione delle normative e sull’urgente necessità di migliorare la rete di assistenza sul territorio.

Attualmente, nel nostro Paese, una persona su quattro ogni anno sperimenta un problema di salute mentale. I servizi specialistici del Servizio Sanitario Nazionale assistono più di 854.000 persone all’anno[6]. Il primo passo per chi ha una problematica è rivolgersi al medico di medicina generale, che può indirizzare a cure specialistiche adeguate. Il fulcro dell’organizzazione territoriale per questi disturbi è il Dipartimento di Salute Mentale (DSM), che include strutture e servizi per la cura, l’assistenza e la tutela della salute mentale nell’ambito dell’Azienda Sanitaria Locale. Tuttavia, i DSM italiani contano su 29.785 operatori (dato 2021), un numero inferiore allo standard di 1 operatore ogni 1.500 abitanti. Ciò significa che sarebbero necessari almeno 11.000 operatori in più per rispondere adeguatamente ai bisogni della popolazione[7]. In via esemplificativa, la regione Toscana conta tre Dipartimenti della Salute Mentale (DSM) ubicati nelle città principali: Firenze, Arezzo e Pisa.

La configurazione dei DSM comprende una pluralità di servizi ben distintivi: gli interventi per il supporto durante il giorno sono rappresentati dai Centri di Salute Mentale (CSM) così come dai Centri Diurni (CD) che operano su base semiresidenziale; inoltre vi sono le soluzioni residenziali aventi ad oggetto le strutture tanto terapeutico-riabilitative quanto socio-riabilitative. Oltre a ciò si trovano anche le opzioni ospedaliere quali Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC), in cui si svolgono trattamenti psichiatrici sia volontari sia obbligatori sotto forma di ricoveri ospedalieri; infine ci sono anche altri centri innovativi notoriamente definiti Day Hospital (DH) utilizzabili per prestazioni diagnostiche così come interventistiche sia nel breve-medio termine volta alla riabilitazione psicologica. La gamma d’opportunità riservate al trattamento assume completa dimensione grazie al contributo delle cliniche universitarie unite alle case specializzate private.

Recentemente un numero considerevole ha iniziato ad auspicare un ripensamento del sistema assistenziale, particolarmente alla luce degli eventi tragici riportati dalla stampa sulla difficoltà dei soggetti affetti da patologie mentali nell’ottenere sostegno adeguato. All’interno degli argomenti correlati si riconosce la fondamentale urgenza della carenza dell’organico assuntivo atto prioritario poiché preclude l’adeguata gestione dei processi d’inclusione nella rete dell’assistenza. La questione della salute mentale è intrinsecamente legata a una diffusa paura, manifestatasi non solo come stigma nei confronti dei pazienti, ma anche come preoccupazione autentica tra questi ultimi; essi temono l’incapacità di integrarsi nella comunità sociale, portandoli a rifugiarsi nel loro ambito familiare. Pur avendo la Legge Basaglia tracciato le linee guida necessarie per gestire tali problematiche, risulta evidente l’assenza di una rete sistematica capace di creare un’interconnessione efficace.

Uno degli aspetti più preoccupanti riguarda l’incremento dei disturbi psicologici in età evolutiva e geriatrica. Tale tendenza evidenzia quanto sia urgente adeguare i servizi alle mutate esigenze sociali emergenti. In questo scenario si sta discutendo con attenzione dell’implementazione del ruolo dello psicologo di base: figura destinata a essere il primo punto d’approccio e sostegno al paziente; ciò potrebbe risultare vantaggioso poiché ridurrebbe significativamente il sovraccarico sui servizi specializzati, mentre creerebbe un importante canale comunicativo tra la medicina tradizionale e il campo della psicologia. Se questa proposta dovesse ottenere approvazione legislativa, segnerebbe senza dubbio un avanzamento cruciale verso rendere la medicina sul territorio più funzionale e accessibile alla popolazione generale.

La salute mentale, oggi, deve essere riconosciuta come un diritto costituzionale fondamentale che riguarda la totalità della popolazione. Non si tratta solo di affrontare patologie gravi, ma anche disturbi comuni come fobie o depressione, che colpiscono circa il 30% degli italiani secondo recenti rapporti[8]. Un’evoluzione culturale radicale è fondamentale, includendo investimenti mirati alla sottolineatura della consapevolezza riguardo ai disturbi e ai relativi fattori di rischio, affinché si promuova il loro riconoscimento, la loro accettazione e una corretta gestione. La cultura associata all’informazione è in grado di trasformarsi in un efficace strumento preventivo, avviando così una trasformazione culturale sul tema della salute mentale.

La salute mentale tra memoria e futuro: riflessioni per una comunità consapevole

La storia dei manicomi in Italia ci rammenta con forza come la percezione sociale della malattia mentale e l’organizzazione dell’assistenza abbiano influenzato profondamente la vita di migliaia di persone. Dalle prigioni di contenzione del passato agli attuali servizi di salute mentale, il percorso è stato lungo e tortuoso, segnato da lotte per i diritti e per la dignità umana. La Legge Basaglia ha rappresentato una pietra miliare, disvelandoci la possibilità concreta di superare una logica meramente repressiva e di abbracciare un approccio più umano ed empatico.

Dal punto di vista della psicologia cognitiva, la stigmatizzazione della malattia mentale agisce come un potente bias cognitivo, distorcendo la percezione che l’individuo ha di sé stesso e della reazione degli altri. L’essere etichettato come “matto” può portare all’internalizzazione dello stigma, generando vergogna, isolamento e una profonda riluttanza a cercare aiuto. Questo processo influisce direttamente sull’adesione alle terapie. Quando un individuo teme che gli altri possano emettere un giudizio negativo riguardo alla richiesta d’aiuto o all’assunzione dei farmaci necessari per la propria salute mentale, è probabile che eviti tali azioni cruciali per il suo benessere, mettendo così in serio rischio l’intero processo terapeutico.
Esaminando ulteriormente concetti provenienti dalla psicologia comportamentale emerge il fenomeno del condizionamento sociale, risultato storico delle idee errate legate ai manicomi che si sono accumulate nel corso degli anni; queste convinzioni hanno influenzato le reazioni sia individuali sia sociali nei confronti della sofferenza psichica. Di conseguenza, molti tendono ad eludere non soltanto interazioni con individui affetti da disturbi mentali ma anche qualsiasi forma d’identificazione personale con questi ultimi. Si instaurano quindi comportamenti avversativi ed elementi persecutori, ancor più intensificati quando ci si trova nella stessa situazione critica. Questa fuga dall’intervento provoca difficoltà nell’accesso ai servizi essenziali, necessitando oltre alla tutela della propria reputazione, anche allontanandosi dal dolore emotivo apparente: così facendo viene alimentata una spirale continua d’invisibilità sofferente. Per superare tali dinamicità deleterie è necessario adottare misure lungimiranti qualificate da specifiche “strategie operative”, attraverso iniziative educative come campagne diffuse sul valore dei percorsi rigenerativi associati al miglioramento dell’accettazione sociale delle malattie mentali.

La riflessione personale che scaturisce da questa storia è profonda: quanto siamo ancora prigionieri di schemi mentali e pregiudizi ereditati dal passato? Quanto l’eco delle vecchie prigioni del non-senso influisce ancora sulla nostra capacità di accogliere, comprendere e sostenere chi vive un disagio psichico? Dobbiamo chiederci, come società, se siamo davvero riusciti a liberarci dalle catene invisibili dello stigma. La promozione di una cultura della salute mentale positiva richiede non solo investimenti in servizi e risorse umane, ma soprattutto un cambiamento radicale nel cuore e nella mente di ognuno di noi. Solo riconoscendo la dignità in ogni forma di sofferenza e promuovendo l’empatia, potremo onorare la lezione di Basaglia e costruire una comunità davvero inclusiva, dove nessuno sia mai più “perduto” a causa di un giudizio o di una paura infondata.

Glossario:

  • Legge Basaglia: Legge italiana del 1978 che abolì i manicomi e promosse il trattamento psichiatrico nella comunità.
  • REMS: Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza, strutture per il trattamento di pazienti psichiatrici nel sistema penale.
  • Opg: Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ex istituzioni per il ricovero di malati ritenuti pericolosi, chiusi nel 2017.

Fonti:

  1. Simone Cristicchi, Centro di Igiene Mentale. Un cantastorie tra i matti.
  2. Ministero della Salute, Rapporto Salute Mentale 2023.
  3. IPSOS, Mind Health Report 2023.

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