- A maggio 2025, 9 su 17 ipm sono sovraffollati.
- Quasi 1800 giovani in strutture residenziali, rispetto ai 1300 del 2023.
- Oltre il 60% dei detenuti ha meno di 18 anni.
un’analisi approfondita
<a class="crl" target="_blank" rel="nofollow" href="https://www.giustizia.it/giustizia/page/it/ordinamento_penitenziario_minorile”>L’attuale condizione del sistema penitenziario destinato ai minori in Italia rappresenta una situazione critica mai vista prima d’ora. In passato riconosciuto come punto di riferimento positivo nell’ambito europeo, l’emergenza attuale è caratterizzata da fenomeni quali il sovraffollamento estremo, situazioni indecorose dove le pratiche riabilitative rischiano di essere compromesse irreparabilmente. Recentemente, l’associazione Antigone ha sollevato gravi preoccupazioni annunciando che per la prima volta nella storia nazionale questo fenomeno interessa anche gli istituti penali destinati ai più giovani. Nel mese di maggio del 2025 risulta che ben nove dei diciassette istituti sono soggetti a tale emergenza abitativa.
I picchi più allarmanti sono registrati nelle strutture presenti a Treviso, Milano e Cagliari; secondo quanto fornito dal Dipartimento della giustizia minorile, sono attualmente circa 450 ragazzi presenti nei 9 istituti affetti dal sovraffollamento.
Le manifestazioni e le agitazioni all’interno degli istituti sono state innescate da problematiche quali il sovraffollamento delle strutture penitenziarie e l’impiego sempre più diffuso di psicofarmaci insieme alla mancanza di opportune strategie rieducative. A tale proposito, Don Claudio Burgio, cappellano presso il carcere minorile Cesare Beccaria situato a Milano, mette in evidenza come la concezione del carcere quale strumento punitivo escluda qualsiasi possibilità di vero recupero sociale dei detenuti. Intanto, il sottosegretario alla giustizia Andrea Ostellari ha affermato che sono in corso azioni mirate a sviluppare itinerari rieducativi adeguati nonché la costruzione di nuove strutture detentive per alleviare queste pressioni.
Un profilo dei giovani detenuti e le conseguenze del decreto Caivano
Nel complesso, quasi 1800 giovani si trovano attualmente in strutture residenziali, tra cui carceri, comunità e centri di accoglienza, un incremento significativo rispetto ai 1300 del luglio 2023. Al 15 maggio, i ragazzi seguiti dai servizi della giustizia minorile superano le 16 mila unità, con un trend in costante ascesa. Per quanto riguarda i 600 detenuti negli IPM, la maggior parte sono ragazzi, con un numero esiguo di sole 30 ragazze, e quasi la metà è costituita da minori stranieri non accompagnati. Prima dell’entrata in vigore del decreto Caivano, a luglio 2023, i detenuti erano 420, e 381 a fine 2022. Attualmente, oltre il 60% dei presenti ha meno di 18 anni, una percentuale in crescita rispetto al 56% del 2023, grazie alla possibilità, introdotta dal decreto, di trasferire i maggiorenni nelle strutture per adulti.
Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone, denuncia che al compimento dei 18 anni, i ragazzi vengono spesso trasferiti “in via punitiva” al carcere per adulti, diventando “vite a perdere”. Il sottosegretario Ostellari replica che i trasferimenti non avvengono indiscriminatamente, ma in base al comportamento del singolo. In effetti, le vibranti proteste generate dall’aumento dei trasferimenti – come osservabile nei casi di Bologna e Genova – mettono in luce le problematiche insite in questa prassi. All’interno dell’istituto penitenziario di Marassi, un giovane detenuto diciottenne ha tristemente riportato abusi fisici perpetrati dai suoi stessi compagni; una situazione che esemplifica chiaramente gli inquietanti pericoli connessi al trasferimento all’interno delle strutture detentive destinate agli adulti.
I crimini prevalenti fra i minorenni e i giovani adulti nelle Istituzioni Penali Minorili (IPM) includono quelli associabili agli stupefacenti così come alle lesioni sia personali che volontarie; si registrano altresì episodi riconducibili alla violenza nonché attacchi contro l’autorità pubblica attraverso la resistenza o l’oltraggio. Si rileva inoltre un incremento preoccupante dei tentativi omicidiari insieme ad aggressioni sessuali. Le infrazioni maggiormente diffuse tra gli adolescenti assistiti dagli organi della giustizia minorile comprendono lesioni personali, furti, rapine, delitti legati alla droga, contestazioni all’autorità pubblica e uso illecito d’armi.
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Nuove iniziative e la carenza di percorsi rieducativi
In risposta al sovraffollamento, il Ministero della Giustizia ha reso noto che si procederà all’istituzione di nuovi istituti penitenziari nelle località di Rovigo, Lecce e L’Aquila; sarà avviata anche una campagna per la ristrutturazione delle carceri già esistenti. Si contempla inoltre un’iniziativa in sinergia con le regioni volta ad istituire comunità ad alta intensità sanitaria, destinate ai giovani afflitti da disturbi psichici, similmente alla struttura operante attualmente a Casteggio. Tuttavia resta pressante il problema della scarsità dei percorsi rieducativi adeguati; come sottolineato da Susanna Marietti: “la detenzione minorile assomiglia progressivamente a quella degli adulti”, caratterizzata da un vero e proprio stato d’abbandono e dall’immobilismo temporale nelle celle, dove spesso ci si ritrova privi d’attività significative. Dal canto suo, Don Claudio Burgio rimarca l’inadeguatezza delle occasioni formative e lavorative disponibili, specie durante i mesi estivi; questione che diviene ancora più complessa se si considera l’‘assenza’ della necessaria rete assistenziale, soprattutto riguardante i minori stranieri non accompagnati. Le realtà comunitarie manifestano tensione ed è avvertita una crisi nella disponibilità degli educatori. I numeri al mese di maggio del 2025 indicano che soltanto tre delle strutture ministeriali accolgono diciotto adolescenti, contro oltre mille presenze nei centri privati.
Secondo Don Claudio Burgio, la problematica del carcere va ben oltre le sue dinamiche interne; essa è aggravata dalla assenza di strutture comunitarie esterne, una realtà che alimenta il fenomeno del sovraffollamento. Nel contesto giovanile emerge quindi la necessità di formulare un nuovo paradigma, in grado di andare oltre l’approccio punitivo e restrittivo attuale e orientato verso il recupero dei rapporti sociali. Egli sottolinea come i giovani non possano esperire mutamenti significativi semplicemente attraverso le norme o mediante il codice penale: l’aumento delle sanzioni si dimostra inefficace come deterrente. Dunque, occorre riprogettare interamente questo approccio, promuovendo lo sviluppo di piccole comunità focalizzate sul sostegno ai giovani nel processo di rinascita relazionale.
Oltre le sbarre: la necessità di un nuovo paradigma rieducativo
La situazione attuale delle carceri minorili italiane richiede un cambio di paradigma radicale. Non è sufficiente costruire nuove strutture o trasferire detenuti; è indispensabile ricostruire un proficuo confronto con la società civile, investire risorse nella formazione, nell’inserimento lavorativo e nella tutela della salute mentale. Come sottolinea Papa Francesco, “ciò che viene costruito sulla forza finisce male”. L’Italia ha già dimostrato di poter gestire la giustizia minorile in modo efficace, con tassi di recidiva tra i più bassi d’Europa negli anni ’80 e ’90. È fondamentale recuperare una prospettiva di lungo periodo, superando la logica dei provvedimenti estemporanei a favore di un piano organico che rimetta al centro le peculiarità del sistema minorile.
Per sottrarre i ragazzi all’attrattiva della criminalità, è necessario offrire loro alternative concrete e invitanti: laboratori professionali, percorsi scolastici stabili, collaborazioni con imprese per l’inserimento nel mondo del lavoro. Oggi, la metà dei minori reclusi potrebbe scontare la pena in contesti diversi dalla detenzione tradizionale, come case-famiglia, comunità terapeutiche e affidamento ai servizi sociali. È cruciale valorizzare le reti di supporto già presenti sul territorio, dal mondo del volontariato alle cooperative sociali, al fine di accogliere adeguatamente questi ragazzi. È impellente riorganizzare un dipartimento autonomo che restituisca centralità all’approccio educativo e psicosociale, garantendo una formazione congiunta per operatori e agenti penitenziari, affinché possano comprendere le radici del disagio minorile e sviluppare efficaci strategie di comunicazione. Occorre avere il coraggio di ripartire da questi principi, riconoscendo nel ventisettesimo articolo della Costituzione non una semplice formula retorica, ma un concreto impegno da tradurre in azioni. Perché, come affermano le realtà del volontariato, “il carcere è società”: ciò che avviene oltre le mura penitenziarie riguarda l’intera collettività. Reinserire nella società un giovane consapevole dei propri errori, ma anche delle proprie potenzialità, non è un semplice atto di benevolenza: rappresenta il solo vero antidoto all’illegalità.
Un Futuro Possibile: Investire nella Resilienza e nel Reinserimento Sociale
L’attuale situazione del sistema carcerario minorile in Italia va oltre il mero fenomeno del sovraffollamento o delle cattive condizioni igieniche; essa rappresenta una seria problematica riguardante la salute mentale dei minori coinvolti ed evidenzia numerose occasioni perdute. È fondamentale riconoscere come gli adolescenti entrati nel circuito penale siano frequentemente soggetti a gravi traumi, privazioni varie ed esperienze derivanti da ambienti socialmente problematici. Secondo quanto sostenuto dalla psicologia cognitiva, lo spazio sociale nel quale viviamo gioca un ruolo cruciale nel modellare le nostre modalità mentali e comportamentali. In un contesto carcerario caratterizzato da severità e scarso sostegno positivo, si corre il rischio non solo di rafforzare atteggiamenti antisociali ma anche di danneggiare ulteriormente lo sviluppo sia cognitivo sia affettivo dei ragazzi detenuti.
A fronte della necessità di interventi più produttivi, emerge con forza il concetto della resilienza: questa si riferisce alla nostra abilità nell’affrontare le difficoltà della vita trasformando esperienze sfortunate in occasioni propizie per crescere. Grazie ai principi forniti dalla psicologia comportamentale, abbiamo a disposizione strumenti efficaci mirati ad assistere i ragazzi nella revisione delle proprie condotte mediante tecniche come il rinforzo positivo, l’acquisizione di nuove competenze sociali e il corretto controllo delle emozioni.
L’adozione di percorsi riabilitativi su misura, calibrati sulle singole necessità ed esperienze traumatiche degli individui interessati, è essenziale per garantire un approccio efficace alla loro rieducazione. Tali percorsi dovrebbero prevedere non solo supporto psicologico ma anche opportunità formative professionali unite a una significativa partecipazione della comunità locale.
Da esplorare con attenzione vi è anche la nozione di neuroplasticità: questa rappresenta l’abilità intrinseca del cervello umano nel modificarsi in virtù delle diverse esperienze vissute nel corso della vita. La notizia confortante è che persino nell’età adulta si possono instaurare nuovi circuiti neurali o rinforzare quelli già presenti; pertanto esiste la concreta possibilità d’intervenire attivamente sulla formazione di atteggiamenti positivi utili a contrastare le probabilità d’incorrere nuovamente nelle trasgressioni precedentemente commesse. Ciò richiede però uno sforzo continuativo e integrato da parte di vari professionisti quali psicologi, educatori specializzati o assistenti sociali insieme agli agenti penitenziari stessi; solo così sarà possibile presentare ai giovani in detenzione una vera chance verso una trasformazione autentica e il reinserimento nella società.
Cosa possiamo riflettere riguardo ciò? Siamo chiamati noi stessi come cittadini a pensare attivamente al nostro ruolo nel disegnare prospettive più favorevoli per questi adolescenti problematici?
Come si può giungere a una metamorfosi del sistema carcerario, convertendolo da un ambiente caratterizzato dalla repressione a uno dedicato alla speranza e alla rieducazione?