Neuroni specchio: possono davvero svelare i segreti dell’empatia e dell’autismo?

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  • Scoperta dei neuroni specchio negli anni '90 da Giacomo Rizzolatti.
  • I neuroni specchio decifrano l'intenzione dell'azione, non solo il movimento.
  • L'alterazione del sistema dei neuroni specchio può contribuire all'autismo.
  • La diminuzione farmacologica del gene GTF2I attenua segni autismo.
  • Stanford: i neuroni specchio hanno un ruolo nell'aggressività.

La scoperta dei neuroni specchio, avvenuta negli anni ’90 grazie al lavoro di un’équipe di ricercatori italiani guidata dal neuroscienziato Giacomo Rizzolatti, ha rappresentato un punto focale per l’evoluzione delle neuroscienze. Questi neuroni motori, localizzati in specifiche aree del cervello, si attivano non solo quando un individuo compie un’azione, ma anche quando osserva un altro individuo compiere la medesima azione. Questo significa che il cervello umano (e quello di altre specie) possiede un meccanismo intrinseco che gli consente di “rispecchiare” le azioni altrui, trasformando un’osservazione sensoriale in una rappresentazione motoria interna.
Inizialmente individuati nelle scimmie mentre svolgevano azioni semplici come afferrare oggetti, i neuroni specchio hanno rivelato un’impressionante versatilità. Essi rispondono selettivamente allo scopo dell’azione, non solo al movimento in sé. Questo implica che il cervello non si limita a registrare un gesto, ma ne decifra l’intenzione sottostante. Ad esempio, un neurone specchio che si attiva quando si afferra un oggetto con la mano può attivarsi anche se l’oggetto viene afferrato con la bocca, purché lo scopo sia lo stesso: “afferrare”. Questo processo, estremamente rapido e pre-cognitivo, è ciò che ci permette di decodificare in tempo reale le intenzioni e gli obiettivi delle azioni altrui senza un dispendioso ragionamento esplicito.

L’implicazione di questi meccanismi si estende molto oltre la mera imitazione motoria. I neuroni specchio sono stati associati al riconoscimento delle emozioni e alla capacità di empatia. Come descritto nel libro “Specchi nel cervello” di Rizzolatti e Sinigaglia, essi sono coinvolti nel capire cosa l’altro prova e come. L’empatia, in questo contesto, viene intesa non solo come la capacità di comprendere il comportamento altrui, ma come un “esperire assieme”, dove si entra in uno stato simile a quello dell’altra persona. Se un individuo prova disgusto, l’insula dell’osservatore reagisce; se è divertito, il giro cingolato, coinvolto nella generazione del riso, si attiva. Se un altro soffre, si attiva una porzione del cingolo che, pur non provocando sofferenza diretta, prepara l’osservatore ad agire o a reagire. Questo meccanismo pre-cognitivo ci consente di sintonizzarci con le “forme vitali” degli altri, ovvero il modo in cui vivono le esperienze, in modo gentile, brusco o deluso.

Glossario:
  • Neuroni specchio: neuroni che si attivano sia quando si compie un’azione sia quando si osserva qualcun altro compiere la stessa azione.
  • Empatia: capacità di comprendere e condividere i sentimenti di un’altra persona.

La presenza dei neuroni specchio è stata verificata in un’ampia varietà di specie, dai ratti ai pipistrelli, dagli uccelli all’uomo, suggerendo l’efficienza e l’importanza evolutiva di questo meccanismo. Nel contesto umano, il loro funzionamento è stato esaminato anche in ambiti complessi come lo sport: un atleta che si prepara a saltare con l’asta, per esempio, non si limita a concentrarsi ma ripercorre mentalmente i movimenti necessari, attivando i neuroni specchio sia nell’immaginazione dell’azione che nell’osservazione altrui. Similmente, in sport di squadra, queste aree cerebrali permettono di “risuonare” con gli altri membri del team, migliorando la coordinazione e l’efficacia delle azioni collettive. Il coinvolgimento dei neuroni specchio per l’imitazione è stato anche ipotizzato come fondamentale per lo sviluppo della cultura, consentendo di riprodurre e perfezionare scoperte e tecniche, come la fabbricazione di un utensile efficiente, e di tramandarle nel tempo.

Autismo e il sistema dei neuroni specchio: prospettive e applicazioni terapeutiche

La scoperta dei neuroni specchio ha aperto nuove strade per la comprensione delle basi neurobiologiche dell’autismo e delle difficoltà relazionali, fenomeni che implicano una complessa interazione tra predisposizioni genetiche e sviluppo neurologico. Le ricerche condotte in quest’ambito hanno suggerito che un’alterazione nel sistema dei neuroni specchio (SNS) potrebbe contribuire a spiegare alcune delle caratteristiche principali del Disturbo dello Spettro dell’Autismo (DSA), in particolare le difficoltà nella comunicazione sociale e nella comprensione delle intenzioni e delle emozioni altrui.
Numerosi studi hanno esplorato l’ipotesi di un “deficit dei neuroni specchio” nell’autismo. Il sistema specchio, infatti, è cruciale per la ricostruzione di una copia mentale delle azioni osservate, fungendo da ponte per l’imitazione e l’empatia. Sebbene la ricerca in questo campo sia ancora in evoluzione, l’idea che un’inefficienza o una disfunzione di questo sistema possa compromettere la capacità di un individuo con autismo di “leggere” gli altri ha generato notevole interesse. Le persone affette da autismo tendono frequentemente a presentare forme di ipersensibilità o iposensibilità, riguardanti le percezioni tattili, vestibolari, visive e uditive. Tali reazioni possono influenzare in modo considerevole il loro approccio alle dinamiche sociali e la competenza nel creare legami interpersonali.
Una ricerca realizzata all’Università Statale di Milano ha rivelato che la diminuzione farmacologica dell’attività del gene GTF2I, coinvolto nei processi di sviluppo neuronale, potrebbe attenuare i segni caratteristici dell’autismo in modelli preclinici. Questa scoperta rappresenta un possibile progresso verso soluzioni terapeutiche specifiche e innovative per affrontare le difficoltà inerenti a tale condizione. [Ricerca Università Statale di Milano]. Il campo delle terapie destinate all’autismo ha recentemente portato a riflessioni approfondite circa la possibilità di stimolare ed aumentare le funzionalità associate ai famosi neuroni specchio. I trattamenti incentrati sull’imitazione, in particolare, hanno dato segni tangibili di efficacia. Questo meccanismo non rappresenta solamente una funzione secondaria; al contrario, risulta essere cruciale per il processo dell’apprendimento sociale stesso. Un rafforzamento della stessa potrebbe favorire una netta evoluzione nelle abilità comunicative, oltre che nei rapporti interpersonali sviluppati da chi presenta questo disturbo. Dal punto di vista tecnico-scientifico, l’imitazione dà evidenze chiare riguardo ai neuroni specchio come precursori fondamentali nell’ambito dello scambio sociale.
All’interno delle metodologie terapeutiche attive nel settore ci sono molteplici approcci integrati volti ad attivare il suddetto sistema nervoso visivo-emotivo-speculare (cfr., Neuroni Specchio). Prendiamo in considerazione la strategia della terapia occupazionale: questa disciplina professionale utilizza modalità operative specifiche adattate individualmente, combinando esercizi pratici per orientarsi verso una crescente autonomia quotidiana ed elevata qualità della vita del soggetto autistico. Non bisogna trascurare nemmeno gli aspetti motorio-coordinativi o sensoriale-modulativi; tali fattori possono rivelarsi determinanti nell’attività dei già citati neuroni specchio nel contesto riabilitativo. Inoltre, vengono sperimentate terapie che mirano direttamente a “allenare” i neuroni specchio, con l’obiettivo di migliorare la comprensione delle azioni, delle intenzioni e delle emozioni altrui. Tali interventi si inseriscono in un filone di ricerca che cerca terapie più eziologiche, piuttosto che solo sintomatiche.
Un’altra via promettente è l’utilizzo di stimoli affettivi precoci. La ricerca ha evidenziato come l’intervento precoce sia fondamentale per massimizzare i benefici. Studi condotti da ricercatori come Sally Rogers, dell’Università della California a Davis, hanno esplorato l’effetto di tali stimoli, dimostrando l’importanza di iniziare le terapie il più presto possibile. L’obiettivo è quello di rieducare precocemente funzioni psicofisiologiche deficitarie, come l’attenzione visiva e uditiva, che sono prerequisiti per un’efficace attivazione dei neuroni specchio e, di conseguenza, per una migliore comprensione sociale.

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  • 🧠💡 La scoperta dei neuroni specchio apre nuove prospettive......
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  • ⚠️ Attenzione a non cadere nell'eccessivo entusiasmo sui neuroni specchio......

L’evoluzione del dibattito scientifico e la riscoperta dei neuroni specchio

Nonostante l’enorme impatto iniziale, il ruolo dei neuroni specchio è stato oggetto di un intenso dibattito scientifico negli ultimi decenni. Inizialmente celebrati come la chiave per comprendere complessi fenomeni psicologici e patologie, il loro ruolo è stato successivamente ridimensionato, con alcuni studiosi che hanno parlato della “fine del mito dei neuroni specchio”. Tuttavia, più recentemente, si sta assistendo a una loro “riscoperta”, con una visione più matura e sfumata del loro effettivo contributo.
Il dibattito si è polarizzato tra una teoria motoria del riconoscimento delle azioni, che pone i neuroni specchio come base per la comprensione delle azioni altrui attraverso la simulazione interna, e teorie più cognitive, che sottolineano la necessità di processi di ragionamento superiori. Giacomo Rizzolatti, il principale scopritore, mantiene una prospettiva che evidenzia la comprensione basilare dell’azione, distinguendola dalla comprensione intellettuale che richiede l’attivazione di altri processi cognitivi. Un’interessante osservazione riguarda come vedere qualcuno prendere un bicchiere conduca a una rapida percezione dell’intento di bere; tuttavia, questa azione superficiale non permette di ricavare motivazioni intricate né tratti distintivi del singolo individuo. Tale metodologia semplificata nelle letture dei dati ha svolto un ruolo fondamentale nel ridimensionare polemiche precedenti e rafforzare l’affidabilità degli studi condotti.
Dopo la loro introduzione nei primi anni ’90, i neuroni specchio hanno attirato l’attenzione per vari motivi: dal processo d’imitazione all’emozione condivisa fino alle conseguenze in ambito decisionale ed emozionale in contesti come la terapia psicologica o lo sport. In particolare, rimane intrigante il fatto che questi neuroni mostrano attività non soltanto quando assistiamo all’atto compiuto oppure lo eseguiamo noi stessi: essi rispondono anche al semplice pensiero di tale azione. Marc Jeannerod ha messo in evidenza questo fenomeno legato all’immaginario motorio, suggerendo così che gesti interpretati—sia positivi sia negativi—originano stimoli simili nello stesso segmento cerebrale. Un’indagine effettuata da studiosi della Stanford University ha rivelato un elemento sorprendente: i neuroni specchio sembrerebbero avere un ruolo nell’aggressività. Questi particolari neuroni non si attivano esclusivamente in risposta a comportamenti socialmente positivi, ma mostrano attività anche nel contesto di azioni negative. Questa scoperta sottolinea l’esigenza di approfondimenti su questa duplice funzione, aprendo nuove strade per la ricerca futura.[Repubblica].
Un’altra area di approfondimento riguarda il concetto di “forme vitali”, introdotto da Daniel Stern nel 1985. Queste “forme vitali” rappresentano i modi del sentire (ad esempio, una stretta di mano energica o fiacca, un’ira fredda o esplosiva) che vengono intuiti grazie ai neuroni specchio, i quali ci permettono di sentire l’altro “agire dentro di noi”. Sebbene Daniel Stern ne abbia parlato decenni fa, solo recentemente i neuroscienziati hanno iniziato ad esplorare in modo più approfondito questo concetto, riconoscendone l’importanza nei processi di sintonizzazione relazionale di tipo pre-cognitivo, fondamentali, ad esempio, nello scambio psicoterapeutico.
Il futuro della ricerca sui neuroni specchio è orientato a capire cosa inibisce il sistema e blocca le aree cerebrali predisposte a “portare l’altro dentro di noi”. Questo è un interrogativo particolarmente rilevante per comprendere meglio le difficoltà relazionali e le sfide empatiche in diverse condizioni neurotipiche e neurodivergenti. Il concetto di neurodiversità si presenta come un paradigma bio-politico impegnato nella difesa dei diritti delle persone con differenze neurologiche. Tali premesse trovano conferma nelle recenti scoperte scientifiche; infatti, acquisire una comprensione più profonda dei meccanismi neurali implicati nelle relazioni sociali potrebbe agevolare il progresso verso una società caratterizzata da maggior rispetto e inclusione. In quest’ottica, risulta imprescindibile la sinergia tra enti di ricerca quali il CNR e l’Università di Parma, la quale accoglie una nuova Unità dedicata alle neuroscienze. Questo tipo di collaborazione è cruciale per lo sviluppo dell’ambito specifico in questione: finanziare ricerche avvalendosi non solo di ingenti fondi pubblici ma anche attraverso generose donazioni individuali come quelle offerte dal professor Rizzolatti.

La risonanza dell’esperienza: comprendersi attraverso l’altro

In un mondo sempre più interconnesso ma paradossalmente sempre più solo, la comprensione delle dinamiche che regolano la nostra capacità di entrare in risonanza con gli altri assume una rilevanza fondamentale. La scoperta dei neuroni specchio, da questo punto di vista, ci offre una lente preziosa per osservare uno dei meccanismi più intimi e spontanei della socialità umana. Pensiamo, ad esempio, a quanto sia istintivo e quasi automatico provare un barlume di gioia quando vediamo un amico sorridere genuinamente, o avvertire una stretta allo stomaco di fronte alla sofferenza altrui. Questa non è solo una reazione emotiva post-cognitiva; è, a un livello più profondo, un fenomeno intrinseco che ci permette di “sentire” l’altro dentro di noi, ancor prima di elaborare razionalmente la situazione. Questa empatia pre-cognitiva, come suggerito dagli studi, ci permette di cogliere le “forme vitali” del paziente, non solo ciò che dice ma come lo dice: la gentilezza celata in un racconto difficile, la bruschezza di una barriera difensiva. Questa sintonia è il cuore di ogni relazione terapeutica efficace e, più in generale, di ogni vera connessione umana. È come se il nostro cervello avesse una sorta di “antenna” che capta e rielabora l’esperienza altrui, quasi fosse la nostra.
Tuttavia, è proprio qui che si inserisce una riflessione più avanzata: sebbene i neuroni specchio ci offrano una base biologica per l’empatia, essi non garantiscono una comprensione perfettamente accurata. Potrebbe verificarsi una “sovra-attribuzione di similarità”, dove, sentendoci in risonanza con l’altro, concludiamo erroneamente che siamo simili in ogni aspetto. Questo meccanismo, pur essendo un ponte verso la comprensione, può anche diventare una trappola se non accompagnato da una consapevolezza critica. La comprensione intellettuale e il ragionamento, sebbene più lenti, sono indispensabili per integrare l’esperienza pre-cognitiva e contestualizzarla. È importante, quindi, distinguere tra il puro “sentire” l’esperienza altrui e il processo più complesso di decifrare il suo significato profondo, le sue motivazioni e le sue narrazioni personali. Questo concetto di dualità sollecita un’indagine approfondita non soltanto su come sia innato in noi il meccanismo dell’empatia, ma anche sul modo in cui possiamo alimentare una comprensione più complessa e priva di giudizio nei confronti del prossimo. È essenziale apprendere a riconoscere e ad apprezzare quelle differenze che arricchiscono significativamente il mosaico delle nostre relazioni. In ultima analisi, l’esistenza dei neuroni specchio suggerisce che tutti noi siamo interconnessi su un piano oltre le parole; tuttavia, è nella saggezza di equilibrare tale risonanza profonda con un’apertura alla curiosità e una riflessione attenta dove si cela la vera conoscenza.


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