- Ad Arzano, 2 persone denunciate per aver trascinato un cavallo.
- Nel 2023, abbandonati 85.000 cani, aumento dell'8,6%.
- Il 16,7% dei ragazzi (9-18 anni) ha compiuto violenza su animali.
La tragica vicenda dell’equino dragato nella località di Arzano: un’analisi sull’inafferrabile crudeltà e sugli effetti a lungo termine sulla psiche umana
Il recente episodio di crudeltà animale avvenuto ad Arzano, in provincia di Napoli, ha scosso l’opinione pubblica, sollevando interrogativi profondi non solo sulla barbarie del gesto, ma anche sulle sue potenziali ripercussioni psicologiche collettive. La vicenda, che ha visto due uomini denunciati per maltrattamento e abbandono di animali, si è consumata con modalità raccapriccianti, documentate e diffuse ampiamente, trasformando gli spettatori in testimoni involontari di un atto di violenza.
I fatti, risalenti all’inizio di ottobre 2025, vedono un’automobile trainare due cavalli legati con una corda al collo lungo le strade di Arzano. Durante il tragitto, uno dei due equini, di nome Rocky, è caduto rovinosamente a terra. Anziché fermare tempestivamente il veicolo, il conducente ha continuato la sua corsa per diversi metri, trascinando il cavallo sull’asfalto, provocandogli traumi e ferite visibili. Le immagini della scena, circolate rapidamente, mostrano l’animale sofferente, legato a un palo della pubblica illuminazione e successivamente abbandonato dai due aguzzini, i quali si sono dileguati con l’altro cavallo. La prontezza della polizia locale, diretta dal colonnello Biagio Chiariello, ha permesso il salvataggio di Rocky, affidato alle cure del personale sanitario dell’ASL e posto sotto sequestro. È stato poi identificato uno dei responsabili, un ex consigliere comunale di Arzano con precedenti penali, che, insieme al suo complice, non ha saputo fornire una giustificazione plausibile per un tale gesto. I due individui sono stati deferiti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nord, rischiando fino a due anni di reclusione e una multa di 30.000 euro per maltrattamento e abbandono di animali. L’intento manifestato dal colonnello Chiariello di favorire l’adozione di Rocky da parte di una famiglia amorevole, una volta terminate le cure necessarie, rappresenta un barlume di speranza in un contesto così fosco.
[Fonte: Legambiente, 2023]
L’impatto di simili eventi non si limita alla sofferenza fisica dell’animale coinvolto, ma si estende alla sfera psicologica degli individui che ne vengono a conoscenza. L’esposizione, anche mediata, a immagini di violenza gratuita su esseri indifesi può generare negli spettatori una serie di risposte emotive complesse e potenzialmente traumatiche. La connessione emotiva che molti esseri umani sviluppano con gli animali, in particolare con cavalli, cani e altri animali domestici, rende tali episodi particolarmente disturbanti. L’empatia, definita come la capacità di comprendere e condividere gli stati d’animo altrui, gioca un ruolo cruciale in questa reazione.
La violenza sugli animali è un comportamento complesso con radici psicologiche in insicurezza, desensibilizzazione e disturbi mentali. La violenza può presentarsi anche come un modo per esercitare potere su un essere più debole.
La vista di un animale sofferente, come Rocky, può innescare un processo di immedesimazione nel suo dolore, suscitando sentimenti di rabbia, impotenza, tristezza e frustrazione. Si osserva, infatti, che le persone reagiscono con particolare pietà e orrore di fronte alla violenza perpetrata contro gli animali, talvolta anche più intensamente rispetto a quella contro gli esseri umani. Questa reazione non è meramente una questione di sensibilità personale, ma affonda le radici in meccanismi psicologici profondi, che toccano la nostra innata propensione alla cura e alla protezione dei più deboli. È in questo contesto che il “caso del cavallo trascinato” assume una rilevanza che va oltre la cronaca locale, diventando un monito sulle fragilità e le contraddizioni dell’animo umano.
L’empatia negata: profili psicologici dei maltrattatori e il link con la violenza interpersonale
La qualità intrinseca dell’empatia, necessaria per costruire relazioni sane, appare inaccessibile a chi infligge sofferenze agli altri. La valutazione delle scomposizioni psichiche nei profili di questi aggressori rivela un evidente deficit nella connessione emotiva, accompagnato da una totale indifferenza verso le sofferenze altrui. L’analisi proposta esamina come le peculiarità comportamentali siano legate ai meccanismi sottesi alla violenza tra individui, ponendo in rilievo quanto sia cruciale promuovere una cultura dell’ascolto empatico quale strumento efficace contro tali forme di abuso.
Approfondendo la genesi di tali atti di violenza, emerge un profilo psicologico dei maltrattatori caratterizzato da una grave carenza di empatia e dalla potenziale correlazione con condotte antisociali. La ricerca in psicologia e criminologia ha ampiamente documentato il cosiddetto “link”, ovvero la stretta correlazione tra maltrattamento/uccisione di animali e violenza interpersonale, inclusi fenomeni come omicidio, stalking, violenza domestica, spaccio e altri crimini. Questo legame, studiato a partire dagli anni ’60, interpreta la violenza sugli animali non solo come un mero atto criminale, ma come un campanello d’allarme di una potenziale patologia o di un comportamento criminale in fase di sviluppo.
[Fonte: ricerca criminologica]
La biografia di serial killer noti, come Jeffrey Dahmer o Albert De Salvo, tristemente celebri per la loro efferatezza, rivela spesso una storia infantile di crudeltà verso gli animali. Dahmer, oltre ai suoi efferati omicidi, stupri e atti di cannibalismo, collezionava anche cadaveri di piccoli roditori decapitati. De Salvo, lo strangolatore di Boston, manifestava piacere nel torturare animali fin dalla tenera età. Questi esempi storici, sebbene estremi, sottolineano come la violenza sugli animali possa essere una primissima espressione di un percorso deviante progressivo. In Italia, dati del CNR indicano che il 16,7% dei ragazzi tra i 9 e i 18 anni ha compiuto atti di violenza sugli animali almeno una volta nella vita. Spesso, questi minori sono a loro volta vittime di violenze inflitte da figure di riferimento primarie, e scaricano la loro aggressività controreattiva sugli animali.
[Fonte: Istituto Beck]
La mancanza di empatia è un tratto distintivo dei maltrattatori, i quali spesso presentano un forte senso di impotenza e inferiorità, che mascherano manifestando un pericoloso senso di dominio sui più deboli. Non riuscire a riconoscere il dolore o le emozioni di un altro essere vivente denota una grave disconnessione dal mondo emotivo, una disconnessione che non si limita agli animali, ma si estende alle relazioni umane.
La violenza sugli animali funge anche da fenomeno predittivo. L’aggressività verso gli animali è considerata un criterio diagnostico per disturbi come il Disturbo reattivo dell’attaccamento e il Disturbo della Condotta nell’infanzia e nell’adolescenza. Questi disturbi, interferendo con la crescita emotiva, psicologica e relazionale, possono evolvere in età adulta in un disturbo antisociale, caratterizzato dall’incapacità di conformarsi alle norme sociali e dalla violazione dei diritti altrui. Di fronte a questa alta probabilità di associazione, è emersa l’urgenza di delineare un profilo zooantropologico criminale del maltrattatore di animali. L’FBI, ad esempio, ha elevato il maltrattamento degli animali a “Top Crime”, includendolo in una specifica categoria di classificazione nel database nazionale dei crimini dal 2016. In territorio italiano, le problematiche legate ai reati contro gli animali trovano risposta nel lavoro del N. I. R. D. A., ovvero il Nucleo Investigativo per i Reati in Danno agli Animali, parte integrante del Corpo Forestale dello Stato dedicato alla loro repressione e prevenzione. La questione del maltrattamento animale si configura così come un indice significativo delle fragilità, delle insicurezze e dei disturbi psichici che affliggono l’essere umano; essa mette in luce una disumanizzazione profonda che altera la modalità con cui si percepiscono gli animali stessi, trasformandoli da esseri senzienti a meri oggetti sui quali sfogare disagi personali o esercitare una dominanza malsana.
L’analisi dello stress post-traumatico secondario, un fenomeno che richiede attenzione nel contesto animale così come in quello umano.
L’esposizione alla violenza, sia essa diretta o mediata, può innescare negli esseri umani e negli animali un Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD). Il caso del cavallo Rocky, vittima di un palese maltrattamento, evidenzia la necessità di considerare non solo le immediate conseguenze fisiche e psicologiche sull’animale, ma anche le potenziali analogie con il trauma umano e le risposte empatiche negli spettatori.
“Il PTSD negli animali è simile a quello negli esseri umani, evidenziando la necessità di un intervento tempestivo e di sostegno.”
Il PTSD, ampiamente studiato dall’epoca della Prima Guerra Mondiale, è una sindrome complessa caratterizzata dalla difficoltà di elaborazione mnestica di un evento traumatico. Questo significa che il ricordo del trauma persiste nella mente dell’individuo in modo monolitico e attivo, generando ogni volta una disregolazione emotiva, una fobia degli stati mentali collegati a quel ricordo e in alcuni casi sintomi dissociativi. È fondamentale riconoscere che anche gli animali, proprio come gli umani, possono soffrire di PTSD.
[Fonte: ricerca neuroscientifica]
Studi sui topi, ad esempio, cercano parallelismi neurobiologici e genetici nella risposta allo stress post-traumatico. Sebbene non sia possibile indagare nei topi sintomi come i pensieri intrusivi o i flashback, l’evitamento di trigger traumatici è facilmente osservabile, e le “cognizioni negative” possono essere inferite attraverso test di motivazione o preferenza sociale. È stato anche riscontrato che per diagnosticare il PTSD negli animali, deve trascorrere un certo periodo di tempo (non necessariamente un mese, come nell’uomo), per escludere una condizione di trauma acuto e contestuale. Un aspetto cruciale nella comprensione del PTSD, sia negli animali che nell’uomo, riguarda la risposta condizionata alla paura, che viene interpretata come una forma estrema e prolungata di condizionamento.
Tuttavia, esistono differenze significative nella gestione del trauma tra animali e umani. Alcuni autori suggeriscono che gli animali siano in grado di “dissipare” il vissuto post-traumatico per via corporea più rapidamente degli uomini. Il concetto di “abreazione”, tipicamente psicoanalitico, descrive il processo di “lasciare andare” o evacuare un malessere di origine psicologica attraverso una reazione corporea totale. Sebbene il termine specifico “abreazione” sia di difficile applicazione agli animali per l’impossibilità di accedere alla loro sfera mentale, il concetto di “dissipazione” attraverso meccanismi corporei è stato osservato in diverse specie. Gli esseri umani, al contrario, tendono a mantenere il PTSD per tempi lunghissimi, influenzando durevolmente il comportamento e la vita in generale dell’individuo.
[Fonte: Istituto Beck]
Questo suggerisce che le strutture cognitive “ingombranti” dell’uomo, come la memoria complessa e i pensieri intrusivi, possano ostacolare la risoluzione del trauma, portando a un “condizionamento esasperato e disfunzionale”. Il presente studio indaga sulle modalità di realizzazione di modelli animali adeguati al fine di comprendere il PTSD, esaminando i fattori predisponenti precedenti (quali inclinazioni ansiose o esperienze traumatiche lontane/recente) e scrutinando in modo preciso le reazioni comportamentali che seguono un evento traumatizzante, al fine di accertare l’effettiva manifestazione della patologia. È essenziale decifrare tali dinamiche comparative poiché ciò contribuisce non solamente al miglioramento del benessere degli animali coinvolti, ma consente anche una maggiore illuminazione sui meccanismi dell’esperienza traumatica negli esseri umani, promuovendo nuove opportunità per sviluppare strategie terapeutiche più funzionali.
Oltre la cronaca: una riflessione sull’interconnessione delle sofferenze
Il caso del cavallo Rocky ha riacceso i riflettori su una questione di profonda rilevanza: la sofferenza degli animali e le sue ricadute sulla psiche umana. È un evento che, nella sua cruda evidenza, ci spinge a una riflessione più ampia sulla nostra capacità di empatia e sulle dinamiche del trauma.
Nel panorama della psicologia cognitiva e comportamentale, il trauma, soprattutto quello derivante da un’esposizione a violenza, è inteso come un evento che crea una frattura nell’esperienza, un “prima” e un “dopo” che altera profondamente la percezione di sé e del mondo. Nel caso di Rocky, e di chiunque sia esposto a tali immagini, si può generare un fenomeno noto come stress post-traumatico secondario o vicario. Questo significa che pur non avendo vissuto direttamente la violenza, l’individuo può sviluppare sintomi simili a quelli del PTSD a causa della forte immedesimazione con la vittima. La nostra mente, infatti, elabora le informazioni non solo in base all’esperienza diretta, ma anche attraverso l’osservazione e l’immaginazione. In situazioni in cui osserviamo ingiustizie palesi anche da remoto, il nostro sistema limbico — sede delle emozioni e della memoria — si attiva con intensità notevole; ciò determina reazioni fisiologiche cariche d’allerta e preoccupazione.
Addentrandoci ulteriormente nell’analisi psicologica del fenomeno comportamentale agito dalla violenza, emerge con chiarezza che tale atto raramente è frutto del caso isolato; piuttosto rivela lo specchio distorto di turbe psichiche gravi. Abbiamo constatato che nei maltrattatori vi è una preponderante mancanza di empatia, manifestazione non solo della mancanza emotiva, ma segnale inequivocabile di disfunzioni sia cognitive sia affettive che annullano l’abilità nell’apprezzare l’altro essere vivente—umano o animale—come meritevole del dovuto rispetto. Si tratta dunque dell’incapacità di riconoscere stati mentali ed emotivi nelle altre creature: questa disfunzione assume il nome complesso nella letteratura scientifica contemporanea quale teoria della mente alterata. Di conseguenza diviene lampante comprendere come questi atteggiamenti crudeli superino i confini etici per costituire piuttosto indicativi sinistri circa il benessere psichico dell’aggressore stesso oltreché sulla salvaguardia generale all’interno delle comunità stesse coinvolte.
[Silvia Allegri]
Questo episodio ci interpella direttamente: siamo in grado di accogliere la sofferenza altrui, di elaborare il dolore di un essere indifeso come Rocky, o preferiamo allontanare ciò che ci disturba? La facilità con cui le immagini della violenza si diffondono ci offre l’opportunità, e forse il dovere, di trasformare l’indignazione in consapevolezza. Dobbiamo riflettere su come la nostra reazione a tale brutalità possa essere un indicatore della nostra stessa salute mentale e del livello di empatia che permea la nostra società. Promuovere l’educazione all’empatia e al rispetto per la vita in tutte le sue forme non è solo un nobile ideale, ma una strategia concreta per prevenire la violenza, sia essa rivolta agli animali o agli esseri umani, e per costruire un futuro dove il trauma non trovi terreno fertile.
- PTSD: Disturbo da Stress Post-Traumatico, una condizione psicologica che può insorgere in seguito all’esposizione a eventi traumatici.
- Empatia: La capacità di comprendere e condividere gli stati d’animo altrui.
- Zoosadismo: Termine utilizzato per descrivere il piacere che alcuni individui provano nel causare sofferenza ad animali.