Gaza e Israele: come il trauma collettivo plasma la memoria e il futuro

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  • Il trauma collettivo manifesta sintomi di PTSD nei discendenti dei sopravvissuti.
  • Un ragazzo di 15 anni a Gaza ha già vissuto cinque guerre.
  • Si stima che il 30-40% dei bambini esposti a combattimenti sviluppi PTSD.

Il trauma collettivo derivante da un conflitto armato perdura ben oltre la sua cessazione, radicandosi profondamente nelle comunità e, in particolare, nelle figure materne che hanno subito la perdita dei propri figli. Questo dolore, non solo individuale ma condiviso, si manifesta come una ferita aperta che richiede riconoscimento e percorsi di guarigione complessi. La guerra, con la sua inestimabile scia di distruzione e lutto, genera un impatto psicologico che travalica le generazioni, trasformando le esperienze individuali in traumi intergenerazionali capaci di influenzare la psiche dei discendenti. La brutalità degli eventi, come quelli accaduti il 7 ottobre 2023, evidenzia la necessità di comprendere le dinamiche del trauma collettivo e le sue ramificazioni sociali e politiche. In Israele, per esempio, il trauma degli attacchi è stato gestito con diverse modalità di ‘cultura della memoria’, dalle mostre immersive come la “Nova exhibition” ai documentari, con l’intento di trasferire l’orrore al pubblico e rafforzare un senso di identità collettiva e giustificazione per le azioni militari conseguenti. Tuttavia, questa narrazione spesso ignora le sofferenze altrui, specialmente quelle dei palestinesi a Gaza, dove la guerra ha generato traumi psichici profondi nei bambini, tanto che si prevede che ogni bambino avrà bisogno di assistenza psicologica.

L’American Psychiatric Association (APA) ha documentato che il trauma collettivo può manifestarsi con sintomi di PTSD anche nei discendenti dei sopravvissuti.

Il dibattito sull’etica della rievocazione delle atrocità si scontra con la realtà di una strumentalizzazione del dolore per fini politici, amplificando un ‘lutto suprematista’ che glorifica le vittime di un gruppo a discapito di un altro, trasformando il dolore in un’arma di guerra.

L’eredità del dolore e il ruolo della memoria

La sofferenza causata dalla guerra non si esaurisce con la fine dei combattimenti, ma si prolunga in un ‘trauma intergenerazionale’ che impatta profondamente sulle famiglie. Le esperienze dolorose e non elaborate possono essere trasmesse da una generazione all’altra, condizionando la salute mentale e il benessere psicologico degli ‘eredi’ di chi ha vissuto in prima persona gli orrori della guerra. Particolarmente colpite da questo fenomeno sono le madri, le cui perdite diventano cicatrici indelebili nell’anima della comunità. In contesti come quello di Gaza, un ragazzo di 15 anni ha già affrontato cinque guerre, ciascuna delle quali ha lasciato dietro di sé un’eredità di perdite e paure.

Impatto del trauma sui minori Effetti
Rischio di mortalità infantile Aumento del tasso di mortalità legato a conflitti armati
Disturbi d’ansia e dell’umore Più alta incidenza di disturbi psichici nei bambini esposti a conflitti
Trasmissione del trauma Possibile trasmissione transgenerazionale di sintomi di PTSD

Queste esperienze si accumulano, creando un danno irreparabile alla salute mentale dei bambini e generando un ciclo di trauma che richiede interventi specializzati e di lungo termine. La Fondazione Soleterre, ad esempio, sta realizzando un centro per la cura del trauma psicologico infantile presso l’ospedale di Beit Jala a Betlemme, un’iniziativa fondamentale per affrontare le conseguenze psicologiche di anni di conflitto e violenza. Non è solo il trauma diretto a devastare, ma anche quello ‘collettivo’ che si consuma nella Striscia di Gaza, un’esperienza condivisa di sofferenza e perdita che modella profondamente il tessuto sociale e psichico di un’intera popolazione.

Studiosi importanti:
Volkan (1997): Introduce il concetto di trauma scelto, legato a come le generazioni successive rielaborano le ferite storiche.
Erikson (1976): Sottolinea come il trauma collettivo frantumi i legami sociali e la coesione comunitaria.

La memoria è cruciale, ma il modo in cui essa viene gestita può definirne l’impatto. In alcuni casi, la memoria si trasforma in un ‘arma di guerra’, come dimostrato dalla politica del governo israeliano di commemorare costantemente gli attacchi del 7 ottobre 2023. Questa strategia mira a giustificare le campagne militari e a radicare un senso di solidarietà nazionale attraverso un dolore condiviso ma unidirezionale. Film, mostre e tour organizzati ricreano gli eventi in modo crudo e immersivo, con l’obiettivo di ‘trasferire il trauma’ al pubblico. La “Nova exhibition” a New York ne è un esempio lampante, con la ricostruzione dettagliata del festival musicale interrotto dalla violenza, comprendente oggetti reali e simulazioni sonore per un’esperienza “macabra” e fortemente emotiva. Queste iniziative sollevano interrogativi etici profondi sulla mercificazione del dolore e sulla possibilità di riattivare il trauma nei sopravvissuti, o di generare in coloro che ne sono esposti sentimenti di odio e vendetta, piuttosto che promuovere la guarigione e la giustizia.

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Il ruolo della fede e della diplomazia nel Lutto Collettivo

Di fronte al dolore incommensurabile della guerra, la fede e la spiritualità spesso emergono come pilastri fondamentali per il ‘coping’ e la ricerca di un significato. Molte madri e comunità afflitte si rivolgono a queste dimensioni per trovare consolazione e affrontare il lutto collettivo. In questo contesto, figure spirituali come il Papa assumono un ruolo significativo. Il discorso papale sulla guerra è costantemente orientato verso la denuncia della sua ‘follia crudele’ e del suo essere ‘il segno più chiaro della disumanità’. Il Papa Francesco ha più volte ribadito come la guerra sia il fallimento della politica e dell’umanità.

Il Papa ha evidenziato che la vera pazienza nasce dall’incontro con il dolore altrui, un messaggio che rappresenta una speranza per tutti coloro che soffrono.

Questo approccio spinge a riconoscere la complessità morale dei conflitti, affermando che ‘non si può ridurre la guerra a una distinzione tra buoni e cattivi’. Il richiamo alla pace va oltre l’ordinarietà della mera esortazione; esso si configura come un’analisi incisiva delle radici e degli effetti del conflitto umano. È perciò vitale ‘ritornare a comprendersi’, facendo emergere la necessità di questo approccio. In tal senso, i messaggi provenienti dalla diplomazia papale intendono suscitare una metamorfosi nel modo di vedere il mondo; essi sono volti a far fiorire una cultura della pace in grado di superare gli egoismi individuali e le ideologie perniciose.

La Psicologia del Trauma Collettivo e i Percorsi di Intervento

Gli eventi traumatici di massa, come quelli derivanti da guerre e conflitti, lasciano un’impronta profonda e duratura sulla psiche delle persone. Uno degli aspetti più rilevanti è il trauma collettivo, una condizione in cui un intero gruppo sociale è esposto a una minaccia alla propria esistenza, con conseguenze devastanti sulla salute mentale.

Statistiche chiave:
– Si stima che il 30-40% dei bambini esposti a combatimenti possa sviluppare sintomi di PTSD.

La psiche umana reagisce in modi complessi a queste minacce, manifestando sintomi che vanno dal disturbo post-traumatico da stress (PTSD) a varie forme di depressione e ansia. Il trauma, che sia individuale o collettivo, richiede interventi specialistici per essere elaborato e superato, piuttosto che perpetuato. La terapia EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è oggi riconosciuta come un approccio efficace per superare traumi e lutti, operando attraverso la riattivazione e rielaborazione di ricordi traumatici al fine di attenuarne l’impatto emotivo. Specialisti in psicotraumatologia, psicologi cognitivo-comportamentali e psicoterapeuti che utilizzano tecniche EMDR o terapie sensomotorie sono figure professionali chiave nella gestione di questi scenari complessi.

Un centro specializzato per il trauma intergenerazionale può offrire supporto non solo ai diretti sopravvissuti ma anche alle generazioni future.

La Dott.ssa Sara Dell’Aria Burani, ad esempio, è una psicoterapeuta specializzata in queste tecniche, indicando una rotta per chi soffre di traumi profondi. Anche la Dott.ssa Chiara Gusmani, psicologa psicoterapeuta a indirizzo psicoanalitico, integra l’EMDR con la fototerapia e la sessuologia clinica, ampliando il raggio d’azione degli interventi. L’importanza di questi professionisti è sottolineata dall’emergenza di centri specializzati per il Disturbo Post Traumatico da Stress, come GAM Medical, che si concentrano sul riconoscimento dei sintomi e sulla cura di queste condizioni.

La necessità di una contro-memoria e la costruzione di un futuro comune

Nell’ambito delle esperienze traumatiche condivise dai gruppi sociali e della militarizzazione della memoria storica, si manifesta chiaramente l’urgenza di adottare una prospettiva alternativa: quella della contro-memoira. Essa non rappresenta soltanto una forma di opposizione alle narrazioni prevalenti, ma costituisce invece un vero e proprio processo attivo volto al recupero identitario e alla reintegrazione sociale. Tale visione è sostenuta anche da pensatori contemporanei, quali Michael Rothberg, attraverso il concetto innovativo della sua ‘memoria multidirezionale’. Di fronte ai rischi insiti nella ‘memoria monumentale’, spesso capace solo di perpetuare fratture sociali e alimentare conflitti violenti, questa contro-narrazione assume il ruolo cruciale quale strumento per favorire sia ‘la guarigione collettiva’, sia ‘la trasformazione sociale’.

I protagonisti coinvolti in queste dinamiche comprendono frequentemente associazioni non governative e iniziative popolari; tra queste spicca anche

IfNotNow

, gruppo composto prevalentemente da giovani sostenitori del progresso all’interno dell’ebraismo statunitense. La loro formulazione ideologica trova espressione nello slogan forte “Ogni vita, un universo“, respingendo così le concezioni esclusive tipiche dello schema “o l’uno o l’altro.” In questa ottica risulta evidente che gli obiettivi legati alla sicurezza individuale sono profondamente intrecciati agli interessi più ampi del benessere collettivo degli altri popoli coinvolti.

Tali nuovi paradigmi richiedono necessariamente uno sforzo per promuovere narrazioni inclusive capaci davvero di integrare e onorare le sofferenze espresse da ogni singolo gruppo attraversato dal conflitto.

La convergenza delle memorie offre l’opportunità non soltanto di commemorare coloro che hanno sofferto, ma anche di generare uno spazio condiviso in favore della pace.


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