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Monte Penna, la montagna rivela insidie psicologiche: l’analisi degli incidenti

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  • Nel 2024, il Soccorso Alpino ha effettuato 63 missioni, assistendo 11.789 persone.
  • L'escursionismo causa il 44,3% degli incidenti; le cadute il 43%.
  • Il 20% dei pazienti ha mostrato sintomi di PTSD dopo incidenti.

Monte Penna: Quando l’Avventura Diventa Trauma

Il 16 agosto 2025, un incidente sulla ferrata del Monte Penna, nel comune di Villa Minozzo, ha portato al soccorso di una donna fiorentina di 41 anni. Solo un giorno prima, un’altra situazione d’emergenza si è verificata con un incidente motociclistico a Cicogni, frazione di Alta Val Tidone, e un ulteriore sinistro sul Monte Penna, evidenziando una preoccupante frequenza di eventi critici in aree montane. Questi episodi recenti si inseriscono in un quadro di eventi tragici e incidenti avvenuti nella stessa zona nell’ultimo anno. Fatti avvenuti a ridosso dell’estate 2025, come il ritrovamento del corpo senza vita di Claudio Benassi, un 56enne di Toano, disperso da una settimana e poi localizzato proprio sul Monte Penna, hanno riacceso i riflettori sulla sicurezza in montagna. Il suo corpo era stato rinvenuto dopo una ricerca intensa, con le prime testimonianze che indicavano una caduta di diversi metri in una zona impervia.

Dati Recenti sul Soccorso Alpino Nel 2024, il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico ha effettuato 12. Il numero delle missioni di soccorso ha raggiunto le 63 unità, durante le quali sono stati assistiti un totale di 11.789 individui. Tuttavia, il bilancio degli incidenti in montagna rimane allarmante, con una tragica cifra di 466 decessi, segnalata dalle autorità competenti. Fonte: [CNSAS, relazione 2024]
Scenic view of Monte Penna with hikers navigating rocky paths

L’escursionismo, come dimostrano i dati del Soccorso Alpino e Speleologico per il 2024, si conferma la principale causa di incidenti, rappresentando il 44,3% dei casi. Le cadute o scivolate costituiscono oltre il 43% degli interventi, mentre l’incapacità di gestire l’attività svolta è responsabile di circa il 26,5% degli incidenti. Questi numeri non solo sottolineano l’ineludibile rischio intrinseco all’ambiente montano ma richiamano anche l’attenzione sull’importanza della preparazione, sia fisica che psicologica, e sull’adeguata valutazione delle proprie capacità e delle condizioni ambientali. Gli incidenti che hanno funestato il Monte Penna, da quello più recente che ha coinvolto la donna quarantunenne fino ai precedenti episodi che hanno visto soccorsi per cadute e malori, inclusa un’escursionista precipitata per 50 metri e una fungaiola infortunata nel bosco, evidenziano la necessità di un approccio consapevole e strutturato alla montagna. Questi episodi non sono isolati, ma riflettono una tendenza più ampia, che vede migliaia di persone soccorse ogni anno in Italia, con centinaia di deceduti e feriti, la maggior parte dei quali sono escursionisti. Spesso si tratta di individui di età compresa tra i 50 e i 60 anni, che d’estate affrontano vette o sentieri senza un’adeguata attrezzatura o preparazione, aumentando notevolmente il rischio intrinseco dell’attività.

Causa di Incidente Percentuale (%)
Escursionismo 44,3
Cadute o scivolate 43,2
Incapacità durante l’attività svolta 26,5
Malore 12,7
Nota Importante: La ripetizione di incidenti nello stesso luogo, come il Monte Penna, può generare una maggiore consapevolezza collettiva sui pericoli specifici di determinate aree, incoraggiando una maggiore prudenza e l’adozione di misure preventive.

I fattori psicologici nella gestione del rischio in montagna

L’approccio alla montagna e alla sua gestione del rischio è profondamente influenzato da fattori psicologici che spesso vengono sottovalutati. La motivazione che spinge una persona a intraprendere attività in ambienti naturali, come l’escursionismo o l’alpinismo, non è solo legata al desiderio di sfida fisica, ma anche a un profondo “bisogno della vetta”, come descritto dalla psicologia. Questo bisogno può essere dettato dalla ricerca di autoefficacia (la convinzione di poter riuscire in un’attività), dalla necessità di misurarsi con i propri limiti o anche da una ricerca di benessere psicofisico attraverso l’immersione nella natura. Tuttavia, questa spinta può talvolta offuscare la percezione oggettiva del rischio. La volontarietà nell’esposizione al pericolo è un elemento critico; la tolleranza al rischio varia in base al grado di libertà con cui si decide di affrontarlo. Quando una persona sceglie volontariamente di affrontare un ambiente potenzialmente pericoloso come la montagna, tende a percepire quel rischio come più gestibile, a volte minimizzandolo. Questo fenomeno è amplificato dalle euristiche, ovvero scorciatoie mentali che le persone utilizzano per prendere decisioni rapide, ma che possono portare a errori di valutazione. Ad esempio, una persona potrebbe basare la propria decisione di affrontare un percorso sulla base di esperienze precedenti positive, tralasciando di considerare variabili attuali come le condizioni meteorologiche o il proprio stato fisico del momento. L’eccessiva fiducia nell’attrezzatura tecnica moderna, che indubbiamente riduce alcuni pericoli, può al contempo generare un falso senso di sicurezza, inducendo gli alpinisti a osare di più o a prepararsi meno adeguatamente.

“La gestione del rischio in montagna, dunque, non si limita alla preparazione fisica e all’equipaggiamento, ma richiede una profonda consapevolezza dei propri processi mentali e delle trappole cognitive.”

È un processo continuo di apprendimento e adattamento, in cui si impara gradualmente a gestire le cadute non solo fisicamente, ma anche mentalmente, accettando che il rischio sia ineludibile e che l’unica vera forma di autoprotezione sia l’assunzione di responsabilità. La dimensione psicologica riveste una funzione determinante nel fronteggiare contesti caratterizzati da una notevole complessità e variabilità. Risulta essenziale che chi pratica escursionismo o alpinismo coltivi l’attitudine all’autovalutazione, tenendo conto non solo delle abilità tecniche in possesso, ma altresì del proprio benessere emotivo e cognitivo. Si deve essere capaci di riconoscere come il desiderio di avventura insieme al senso di autoefficacia influiscano significativamente sulla percezione dei rischi; pertanto è opportuno adottare modalità più riflessive anziché reattive nelle decisioni intraprese.

Le conseguenze psicologiche dei traumi in montagna

Subire un incidente in montagna può lasciare ferite profonde, non solo fisiche ma anche psicologiche, che richiedono un’attenzione mirata e un lungo processo di recupero. Immediatamente dopo un evento traumatico in ambiente montano, si manifesta spesso una reazione di “shock”, caratterizzata da stati confusionari, paura intensa, tristezza, rabbia o esaurimento. Questa reazione non è esclusiva delle vittime dirette, ma si osserva anche nei testimoni dell’incidente, specialmente in contesti ad alto rischio come lo sport in montagna. Le conseguenze a lungo termine possono essere significative: studi recenti hanno rivelato che circa un terzo delle persone ospedalizzate a seguito di incidenti in montagna sviluppa sintomi di un disturbo mentale da stress. In particolare, il 20% dei pazienti intervistati ha mostrato sintomi individuali di Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD) anche a sei o più mesi di distanza dall’evento. I sintomi principali del PTSD includono pensieri ossessivi e flashback intrusivi legati all’incidente, un senso persistente di paura e impotenza provato durante il trauma, che continua a manifestarsi nella vita quotidiana.

Statistiche Significative: Nel 2024, il 20% delle persone che hanno subito incidenti in montagna ha mostrato sintomi di PTSD, spesso manifestando ansia e problemi di evitamento.

Le persone affette possono rivivere l’evento traumatico in modo vivido, attraverso incubi o sensazioni fisiche intense, evitando luoghi, persone o attività che ricordano l’incidente. È interessante notare che l’esperienza pregressa può influenzare il recupero: chi ha maggiore esperienza in montagna tende a recuperare meglio da un incidente. Questo potrebbe essere legato a una migliore capacità di resilienza, a strategie di coping più consolidate o a una rete di supporto sociale più forte all’interno della comunità montana. Il trauma emotivo di un incidente in montagna può alterare profondamente il rapporto di una persona con l’attività stessa e con l’ambiente naturale, portando a un’ansia elevata persino prima di intraprendere un’escursione. Tuttavia, superare il trauma non significa necessariamente abbandonare la passione per la montagna; molte persone trovano la forza di tornare a vivere le vette, spesso con una consapevolezza rinnovata e un approccio più cauto e rispettoso. Il supporto psicologico, attraverso tecniche come le tecniche immaginative per la stabilizzazione (ad esempio, il “posto sicuro” per distogliere l’attenzione dalle reazioni iperattivanti del trauma), può essere fondamentale per elaborare l’esperienza e ridurre l’impatto dei flashback e dell’ansia residua. Questo approccio è cruciale per la salute mentale dei soggetti coinvolti, promuovendo il recupero e il ritorno a una piena partecipazione alla vita, e se desiderato, anche all’attività montana, ma con una consapevolezza e una preparazione assai più robuste e complete.

Affrontare il richiamo della vetta con consapevolezza

Abstract representation of human emotions and psychological trauma in mountain environment

Gli incidenti in montagna, come quelli che purtroppo continuano a verificarsi sul Monte Penna e in altre aree montane italiane, ci ricordano che la natura, nella sua bellezza e imponenza, non è mai priva di rischi. Non si tratta solo di preparare lo zaino e le gambe, ma di allineare la mente, le emozioni e le aspettative alla dura realtà dell’ambiente alpino. Dal punto di vista della psicologia cognitiva, la montagna rappresenta un terreno fertile per l’applicazione delle nostre euristiche e bias cognitivi. Spesso, la nostra mente tende a semplificare le situazioni complesse per prendere decisioni rapide, un meccanismo che si è evoluto per la sopravvivenza ma che in contesti moderni e apparentemente ricreativi può diventare un fattore di rischio. Ad esempio, potremmo cadere nella trappola dell’ottimismo eccessivo, sottovalutando i pericoli perché “a me non capiterà mai”, o nel bias di conferma, cercando solo le informazioni che supportano la nostra decisione di intraprendere un’attività, ignorando quelle che suggeriscono prudenza. La psicologia comportamentale, d’altra parte, ci insegna che il successo passato può rafforzare comportamenti rischiosi; se abbiamo affrontato percorsi impegnativi senza problemi in passato, potremmo sentirci invincibili e meno propensi a valutare attentamente le condizioni attuali. È fondamentale comprendere che la ripetizione di un successo senza incidenti non diminuisce la probabilità intrinseca di un evento imprevisto, ma rafforza solo la nostra percezione di controllo, che può essere illusoria. Andando oltre la nozione di base, una prospettiva più avanzata dal campo della psicologia della salute mentale ci invita a considerare il concetto di resilienza post-traumatica. Non si tratta solo di tornare allo stato pre-incidente, ma di crescere attraverso l’esperienza traumatica.

Resilienza post-traumatica
La capacità di superare un trauma, integrando l’esperienza in modo costruttivo nella propria vita.

Questo implica una profonda riflessione su ciò che è accaduto, sull’impatto che ha avuto sulla nostra psiche e sul nostro rapporto con l’ambiente, e su come possiamo integrare questa esperienza nella nostra identità in modo costruttivo. Le testimonianze di coloro che, dopo un incidente in montagna, sono tornati non solo a camminare ma a vivere la montagna con una consapevolezza più profonda e un rispetto maggiore, sono esempi di resilienza.

Testimonianze di Resilienza: Molti escursionisti ritornano in montagna dopo un incidente, spesso con una preparazione mentale e fisica migliorata e una consapevolezza più profonda dei rischi coinvolti.
Group of hikers preparing for mountain hike in beautiful scenery

La montagna ci offre opportunità uniche di riconnessione con noi stessi e con la natura, ma ci pone anche di fronte ai nostri limiti e alle nostre paure più profonde. È un invito a una riflessione personale cruciale: quanto siamo disposti a guardare onestamente dentro di noi, a riconoscere i nostri bias e le nostre fragilità, prima di lanciarci nell’avventura?

Glossario:

  • Resilienza: Capacità di affrontare e superare le difficoltà.
  • PTSD (Disturbo da Stress Post-Traumatico): Disturbo mentale che può svilupparsi dopo aver vissuto un evento traumatico.

La vera libertà in montagna non risiede tanto nell’assenza di rischio, quanto nella consapevolezza del rischio e nella capacità di gestirlo con intelligenza e umiltà, permettendoci di godere appieno della straordinaria bellezza e della sfida che solo questi ambienti sanno offrire, con la saggezza di chi sa che la più grande avventura è la conoscenza di sé.


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