- Ogni anno, circa il 50% dei problemi di salute mentale degli adulti emerge prima dei 14 anni.
- Fino al 75% dei bambini traumatizzati sviluppa sintomi simili al PTSD.
- L'EMDR, raccomandato dall'OMS, facilita l'integrazione delle esperienze traumatiche.
Nelle settimane successive al grave incidente avvenuto sulla Strada Statale 115, che ha visto il coinvolgimento di quattro veicoli e ha lasciato un padre di 49 anni e suo figlio di 13 in gravi condizioni, l’attenzione si è focalizzata non solo sull’immediato impatto fisico, ma anche sulle profonde e durature ramificazioni psicologiche, specialmente per i bambini. Il sinistro, verificatosi due mesi fa, ha richiesto l’intervento di elisoccorso per il trasporto del tredicenne all’ospedale Di Cristina di Palermo e del padre al Trauma Center dell’ospedale Villa Sofia. Questo evento, seppur con un focus su specifiche vittime, offre uno spunto cruciale per una discussione più ampia sulle esperienze traumatiche infantili e sulle loro ripercussioni a lungo termine.
Fonte: American Society of Positive Care of Children

Il trauma, definito come qualsiasi esperienza che mini il senso di sicurezza e benessere di una persona, può manifestarsi in molteplici forme, da eventi catastrofici – i cosiddetti “traumi con la T maiuscola” – a esperienze relazionali negative ripetute, o “traumi con la t minuscola”. Per i bambini, la vulnerabilità è intrinsecamente maggiore, poiché non possiedono ancora gli strumenti cognitivi, emotivi e fisici degli adulti per affrontare eventi spaventosi e imprevedibili.
- Traumi con la T maiuscola: esperienze traumatiche di natura estrema.
- I Traumi Con La T Minuscola: si riferiscono a esperienze ripetitive meno devastanti.
Un grave incidente automobilistico può generare vulnerabilità durature; tale situazione è capace di attivare meccanismi fisiologici e psicologici complessi. Se tali reazioni non vengono affrontate nel modo corretto, si rischia di incorrere in una difficoltosa elaborazione mnemonica degli eventi stessi, con effetti deleteri sul progresso personale del minore coinvolto. Le evidenze scientifiche indicano che circa la metà delle difficoltà mentali nei soggetti adulti fa la sua comparsa prima dei 14 anni; sorprendentemente, due terzi appaiono prima del compimento dei 24 anni; ciò suggerisce l’immediata necessità d’interventi specifici precoci rivolti ai giovani vittime di trauma.
Di recente, uno studio ha messo in luce l’idea secondo cui le esperienze traumatiche durante l’infanzia potrebbero causare compromissione neuronale ed alterazioni nel funzionamento cerebrale stesso. Queste trasformazioni possono ripercuotersi negativamente su comportamenti sociali ed emotivi, oltre alla capacità cognitiva a lungo termine, così come sulla salute fisica generale della persona all’età adulta. È calcolato che fino al 75% dei bambini confrontati con traumi possa sviluppare manifestando sintomi collegabili al PTSD o a difficoltà affini quali ansia o depressione. [State of Mind].
“Il trauma infantile non è solo un evento psicologico, ma una ferita profonda che può avere un impatto duraturo sullo sviluppo del bambino.” [Pediatria]
Un’esperienza come quella sulla SS 115, sebbene non menzionata esplicitamente come coinvolgente bambine, serve da monito per la consapevolezza sulle implicazioni del trauma sui più giovani, richiamando l’attenzione sul potenziale impatto neurologico e comportamentale e sulla necessità di strategie terapeutiche che possano favorire la neuroplasticità e il recupero. La natura umana è intrinsecamente orientata verso la sopravvivenza: nei frangenti critici si attiva uno stato di iperattivazione. Qualora le informazioni sensoriali e cognitive associate all’incidente traumatico non vengano trattate adeguatamente, esse tendono a stabilizzarsi in uno stato elevato, emergendo poi con modalità disfunzionali quando si presentano occasioni analoghe. Ciò può comportare la comparsa perturbante nel soggetto colpito da immagini mentali intrusive insieme a convinzioni ed emozioni decisamente sproporzionate; una situazione tale genera quindi una costante percezione minacciosa del mondo circostante oltre ad alimentare una visione inquieta della propria interiorità.
Per quanto riguarda i più giovani nella società — i bambini — queste espressioni possono differire radicalmente rispetto alla reazione tipica degli adulti: spesso si manifestano attraverso stati d’animo irritabili oppure tramite episodi d’ansia o regressione comportamentale accompagnati da sintomi somatici. Riconoscere queste avvisaglie risulta pertanto cruciale poiché indicano piuttosto segnali legati a traumi irrisolti invece che semplice incasellamento dentro diagnosi limitanti come disturbi comportamentali o problemi attentivi; infatti, tale errata interpretazione potrebbe ostacolare l’individuazione tempestiva delle terapie necessarie, contribuendo così al rischio di un’evoluzione cronica degli stessi segnali clinici fino al rischio dell’insorgere – nell’età adulta – della più grave affezione psicologica quale il disturbo borderline oppure dal complesso PTSD.
L’influenza del trauma infantile sulla neuroplasticità cerebrale
La straordinaria attitudine del cervello infantile alla neuroplasticità permette a quest’organo di modellarsi secondo le esperienze vissute. Tuttavia, studi recenti suggeriscono che il verificarsi di eventi traumatici in età evolutiva possa compromettere tale plasticità e modificare le architetture cerebrali stesse. Ciò porta a implicazioni significative per ciò che concerne la gestione delle emozioni e l’efficienza cognitiva. Fra gli esiti più rilevanti dei traumi vi è una diminuzione dell’attività della corteccia prefrontale, fondamentale nel controllo delle emozioni; concomitantemente si osserva un aumento dell’attività nell’amigdala, portando a difficoltà nell’autoregolazione emotiva. [State of Mind].
La sfida principale è che, pur essendo resilienti per natura e dotati di un forte senso del loro potenziale, i bambini traumatizzati sviluppano precocemente disturbi psichici con un decorso più pernicioso, un maggior numero di comorbidità e una minore risposta ai trattamenti convenzionali rispetto a individui non traumatizzati con la stessa diagnosi primaria. La mancata elaborazione del trauma può portare a un senso generale di vulnerabilità, inefficacia, stati di ottundimento emotivo e comportamenti di evitamento, spesso associati a diagnosi come l’ADHD, l’ansia generalizzata o la depressione.
- Articolo molto utile per capire l'impatto dei traumi...👍...
- Trovo riduttivo focalizzarsi solo sull'EMDR e il neurofeedback...🤔...
- E se il vero trauma fosse la società in cui viviamo... 😥...
EMDR e neurofeedback: Strategie per la guarigione dal trauma infantile
Nel panorama delle terapie innovative per i traumi infantili, l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) e il neurofeedback emergono come approcci basati sull’evidenza, capaci di promuovere un recupero significativo. L’EMDR, raccomandato dall’OMS insieme alla CBT per i disturbi post-traumatici, si fonda sull’idea che il cervello possieda un sistema innato di elaborazione delle informazioni, capace di integrare nuove esperienze nelle reti neurali esistenti. Tuttavia, le memorie traumatiche tendono a rimanere immagazzinate in modo disfunzionale, in reti isolate e in uno stato di eccitazione. Attraverso la stimolazione bilaterale alternata (visiva, tattile o uditiva), l’EMDR facilita il “metabolismo” del ricordo, consentendogli di essere connesso in modo adattivo ad altre informazioni in memoria, portando a trasformazioni positive e crescita post-traumatica.
Ciò che è utile di un’esperienza viene assimilato con emozioni appropriate, guidando la persona verso il futuro. L’efficacia dell’EMDR con i bambini è particolarmente notevole: i minori tendono a processare molto velocemente i ricordi, avendo meno “storia” e catene associative più brevi rispetto agli adulti. La terapia è quindi rapida ed efficace, soprattutto in casi di trauma singolo e ben circoscritto.
Il neurofeedback, invece, è un’altra frontiera nel trattamento del trauma. Questa procedura non invasiva utilizza il monitoraggio in tempo reale dell’attività cerebrale (QEEG) per permettere alle persone di apprendere tecniche di auto-regolazione. Confrontando l’EEG di un individuo con un database normativo, è possibile identificare le alterazioni nell’attività delle onde cerebrali causate dal trauma. Il condizionamento operante, attraverso il biofeedback, può invertire gli effetti dei cambiamenti strutturali e funzionali del cervello, rendendo le altre terapie più efficaci.
Un’importante autorità nel campo del trauma, il professor Bessel van der Kolk, ha raccomandato l’introduzione di strutture di neurofeedback in ogni scuola, evidenziando come una volta che il cervello, guidato dalla paura, si calma, le psicoterapie, il lavoro sul corpo e le terapie sociali ottengano risultati nettamente migliori e più duraturi.
Promuovere il cambiamento: un investimento nel futuro dei nostri bambini
La comprensione approfondita degli effetti del trauma sul cervello in via di sviluppo, unita all’emergere di terapie come l’EMDR e il neurofeedback, ci pone di fronte a una chiara opportunità per reimmaginare l’approccio alla salute mentale infantile. È ormai evidente che le esperienze avverse nell’infanzia non sono solo eventi psicologicamente dolorosi, ma vere e proprie alterazioni neurologiche che possono compromettere lo sviluppo e la qualità della vita per decenni.
Intervento | Descrizione | Ambito di Applicazione |
---|---|---|
EMDR | Metodologia per l’elaborazione dei traumi attraverso stimolazione bilaterale. | Trattamento dei disturbi post-traumatici in bambini, adolescenti e adulti. |
Neurofeedback | Monitoraggio dell’attività cerebrale per facilitare l’auto-regolazione. | Gestione delle emozioni e miglioramento della capacità cognitiva. |
Terapia CBT | Psicoterapia cognitivo-comportamentale per modificare schemi di pensiero disfunzionali. | Trattamento di ansia, depressione e disturbi comportamentali. |
La scienza, attraverso tecniche sofisticate come il QEEG, ci fornisce oggi la capacità di “vedere” e misurare queste alterazioni, offrendo una base oggettiva per interventi mirati. L’implementazione diffusa del neurofeedback, ad esempio, potrebbe rappresentare un passo rivoluzionario. Se, come suggerito da importanti esperti, potessimo avere centri di neurofeedback in ogni scuola, il potenziale di prevenzione e recupero sarebbe immenso, permettendo ai bambini di elaborare il trauma e riprendere un percorso di sviluppo sano.
La sfida principale, al momento, consiste nella formazione di un numero maggiore di professionisti qualificati in queste tecniche, superando le resistenze e gli ostacoli che ne limitano la diffusione. È un investimento non solo economico, ma sociale e culturale, fondamentale per costruire una società più resiliente e per proteggere le generazioni future dagli effetti devastanti del trauma.
- PTSD: Disturbo Post-Traumatico da Stress, condizione mentale che può svilupparsi dopo aver vissuto o assistito a un evento traumatico.
- Neuroplasticità: Capacità del cervello di modificare la sua struttura e funzione in risposta all’esperienza e all’apprendimento.

Riflessioni sul trauma e il potenziale umano
Il racconto dell’incidente sulla SS 115 e l’analisi delle sue implicazioni nel contesto della neuropsicologia dei traumi infantili ci invita a una riflessione più ampia sulla fragilità e, al contempo, sulla straordinaria resilienza della mente umana, specialmente in età evolutiva. Un concetto fondamentale nella psicologia cognitiva e comportamentale è che le nostre esperienze modellano il nostro cervello, un processo noto come neuroplasticità. Ogni interazione, ogni vissuto, positivo o negativo, lascia un’impronta sui nostri circuiti neurali.
Nel caso di un trauma, questa impronta può essere particolarmente profonda e disorganizzante. Per un bambino, che si trova in una fase di rapido sviluppo cerebrale, un evento traumatico non è solo un ricordo doloroso, ma può alterare la traiettoria normale della sua crescita, influenzando i suoi schemi di pensiero, le sue risposte emotive e persino la sua percezione del mondo e di sé stesso. Tuttavia, la stessa neuroplasticità che rende il bambino vulnerabile al trauma è anche la chiave del suo recupero.
Il cervello del bambino è incredibilmente adattabile e capace di riorganizzarsi. Questo significa che, con gli interventi giusti e precoci, è possibile non solo alleviare i sintomi del trauma, ma anche aiutare il cervello a ripristinare connessioni sane e a “riapprendere” a funzionare in modo più adattivo. L’avanzamento scientifico ci offre ora strumenti come l’EMDR e il neurofeedback che agiscono proprio su questi principi. L’EMDR, attraverso la stimolazione bilaterale, sembra facilitare un’elaborazione del ricordo traumatico che altrimenti resterebbe “bloccato”, permettendo al cervello di integrare l’esperienza in modo più funzionale.
“La terapia EMDR non è esclusivamente ‘psicologica’, è una tecnica che interagisce direttamente con la biologia del cervello, sfruttando le sue capacità innate di guarigione.” [IPSICO]
Il neurofeedback, d’altra parte, è un vero e proprio allenamento cerebrale, che insegna al sistema nervoso a autoregolarsi, modificando pattern di onde cerebrali disfunzionali. Queste terapie non sono semplice “psicologia”, sono tecniche che interagiscono direttamente con la biologia del cervello.
Ci invitano a considerare il trauma non solo come un evento psicologico, ma come una ferita che, seppur invisibile, ha profonde radici neurologiche. La possibilità di “riparare” queste funzioni cerebrali e di riportare una mente traumatizzata verso uno stato di equilibrio ci offre una speranza immensa. Ci spinge a riflettere sull’importanza di proteggere l’infanzia, di intervenire con tempestività e competenza quando un trauma colpisce, e di investire nella ricerca e nella diffusione di strumenti che possano davvero fare la differenza nella vita di chi ha affrontato esperienze difficili.
La vera forza non risiede solo nella capacità di superare una catastrofe, ma nel riconoscimento e nell’utilizzo del potenziale intrinseco della nostra mente a guarire e a crescere, anche dopo le tempeste più violente.