- Nel 2024, il CNSAS ha effettuato 12.063 missioni di soccorso alpino.
- Le cadute causano il 43,2% degli incidenti, l'incapacità il 26,5%.
- Nel 2024 si sono registrati ben 466 decessi e 1.431 infortuni gravi.
I numeri inquietanti degli incidenti in montagna e la risposta del Soccorso Alpino
Nel corso dell’anno 2024, il quadro relativo agli incidenti occorsi sulle montagne italiane evidenzia una situazione contrassegnata da numeri elevati e stabili. A rivelarlo è stato il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS). Negli anni recenti le attività destinate al soccorso tecnico-sanitario nei contesti alpini hanno continuato a seguire un andamento consistente: sono state realizzate ben 12.063 missioni* nell’anno corrente, cifra che risulta simile ai 12.349 interventi registrati nel precedente anno 2023, mentre presenta un incremento rispetto ai 10.367 salvataggi* effettuati nel lontano 2022; tali iniziative hanno garantito supporto a circa *11.789 individui affrontanti situazioni critiche soltanto nell’arco dell’ultimo esercizio annuale appena conclusosi; d’altra parte ciò dimostra anche un notevole impegno operativo comportando oltre 180 mila ore/uomo messe a disposizione nonché una rete attiva formata da più di 42 mila volontari esperti.
Sotto i riflettori delle operazioni del CNSAS emergono invariabilmente cause già note: la prima causa resta quella della caduta o scivolata, coinvolgendo il 43,2% degli interventi totali seguiti dall’incapacità durante l’attività svolta, attribuibile al 26,5%, ed infine troviamo anche casi legati al malore, incorrenti per ben 12,7% delle richieste d’intervento ricevute. Tra le altre cause, che complessivamente costituiscono il 9,6%, si annoverano eventi legati al maltempo (4,1%), frane (1,3%), valanghe (0,7%) e, in misura minore, shock anafilattico (0,4%).
Tipo di incidente | Percentuale |
---|---|
Caduta o scivolata | 43,2% |
Incapacità durante l’attività | 26,5% |
Malore | 12,7% |
Maltempo | 4,1% |
Frane | 1,3% |
Valanghe | 0,7% |
Shock anafilattico | 0,4% |
L’analisi delle attività che generano il maggior numero di incidenti pone l’accento sull’escursionismo, che da solo è la causa del 44,3% degli interventi. Lo sci alpino e nordico contribuisce per il 14,0%, la mountain bike per il 6,8%, l’alpinismo per il 5,9%, la ricerca di funghi per il 3,4% e le attività lavorative per il 2,6%. Le vie ferrate insieme alle falesie costituiscono in modo cumulato una quota pari al 3,6%. È rilevante anche la presenza di operazioni associate a pratiche venatorie, discipline aeronautiche e speleologiche.
In un quadro caratterizzato da elevati volumi di intervento nel complesso delle missioni effettuate, è preoccupante notare l’andamento dei dati concernenti le condizioni dei soccorsi ricevuti dalle vittime. Nel corso del 2024 si sono registrati ben 466 decessi, insieme a un tragico totale di 1.431 infortuni gravi, mentre quelli meno gravi ammontano a ben 5.288 casi; tra questi sono inclusi anche 299 feriti con compromissione delle funzioni vitali. Per finire, il bilancio conta altresì circa 4.187 individui rimasti illesi e documenta la scomparsa di ulteriormente due volte nella stessa cifra: ben 118 mancanti, dunque rimanendo celatamente fuori dal radar del registro ufficiale.
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L’identikit della persona infortunata e le aree geografiche più critiche
Approfondendo l’analisi delle persone coinvolte negli incidenti, emerge un profilo prevalente ben definito. Si tratta in larga parte di un uomo italiano di età compresa tra i 50 e i 60 anni, leggermente ferito a seguito di una caduta durante un’escursione. Questa fascia d’età rappresenta il 16,36% dei soccorsi, seguita dagli over 60 e dai giovani tra i 20 e i 30 anni. Gli italiani costituiscono l’80,4% delle persone soccorse, seguiti da tedeschi (6,8%), francesi (1,6%) e austriaci (1%). La disaggregazione per genere mostra una netta prevalenza maschile, con il 67,9% dei soccorsi a uomini e il 32,1% a donne. È interessante notare che solo l’8,6% delle persone assistite risulta essere socio del Club Alpino Italiano (CAI).
La stagionalità gioca un ruolo cruciale nella frequenza degli interventi. Quasi la metà delle missioni si concentra nei mesi estivi, con agosto che si conferma il periodo più impegnativo, incidendo per il 18% del totale. Seguono luglio (14,4%) e settembre (8,6%).
Dal punto di vista geografico, alcune regioni presentano un numero di interventi significativamente superiore alle altre. Il Piemonte si attesta al primo posto con il 15,9% delle missioni, seguito dalla Valle d’Aosta (14,3%, dati del Soccorso Alpino Valdostano), dal Trentino (11,7%), dall’Alto Adige (10,9%), dalla Lombardia (10,4%) e dal Veneto (9,2%). Queste cifre riflettono la maggiore frequentazione e la tipologia di attività outdoor praticate in queste aree.
Nonostante una lieve flessione rispetto agli anni precedenti, il numero dei decessi in montagna rimane un dato allarmante. Le 466 vittime registrate nel 2024, sebbene inferiori alle 491 del 2023 e alle 504 del 2022, sottolineano la necessità ineludibile di un approccio più responsabile alla frequentazione della montagna. La consapevolezza dei rischi, una preparazione adeguata, l’utilizzo di attrezzature idonee e una corretta informazione preventiva sono elementi fondamentali per la sicurezza.
Regione | Percentuale di interventi |
---|---|
Piemonte | 15,9% |
Valle d’Aosta | 14,3% |
Trentino | 11,7% |
Alto Adige | 10,9% |
Lombardia | 10,4% |
Veneto | 9,2% |
La percezione del rischio e i traumi psicologici: un’analisi approfondita
Nel contesto degli incidenti montani è importante riconoscere come tali eventi vadano oltre la mera necessità d’intervento immediato: essi sollevano considerazioni critiche riguardanti non solo la safety, ma anche il benessere psicologico degli individui coinvolti. I dati forniti dal CNSAS indicano chiaramente che questi episodi accadono con una certa regolarità e intensità; ciò invita alla riflessione su come gli escursionisti giudichino il rischio reale.
Si deve porre attenzione ai bias cognitivi, cioè quelle distorsioni ricorrenti nel processo attraverso cui viene elaborata l’informazione: queste possono determinare un’errata comprensione dell’entità del rischio affrontato. L’ottimismo irrealistico è uno dei principali responsabili; questa inclinazione conduce molti ad auto-percepirsi meno vulnerabili agli inconvenienti altrui sul sentiero di montagna. Allo stesso modo si osserva che una frequentazione assidua dei percorsi possa indurre un erroneo senso di sicurezza personale: tale fiducia mal riposta spesso risulta nelle disattenzioni verso le misure preventive appropriate da adottare durante l’escursione. Ulteriore complicatore è costituito dall’euristica della disponibilità: questo fenomeno cognitivo induce gli individui a esagerare il verificarsi potenziale degli avvenimenti vividamente richiamati (quali notizie sugli incidenti), creando contraddizioni tra paura paralizzante in alcuni casi e inattesa incoscienza nell’affrontarne altri, generati dall’insufficienza di esperienze real-time oppure da razionalizzazioni improprie sull’entità della minaccia presente nell’ambiente circostante. Il valore dell’esperienza accumulata nelle montagne si rivela complesso e sfaccettato. Da un lato, possedere una conoscenza approfondita delle dinamiche montane è in grado di perfezionare l’attitudine alla valutazione dei rischi nonché affinare le abilità tecniche; d’altro canto, però, questa stessa competenza potrebbe favorire il sorgere di un’eccessiva autoconfidenza insieme a una diminuzione della percezione degli indicatori critici, soprattutto quando ci si trova ad affrontare scenari sconosciuti oppure condizioni meteorologiche sfavorevoli. I racconti provenienti dagli escursionisti che hanno subito incidenti – così come quelli dei testimoni – mettono frequentemente in risalto quanto velocemente possano mutarsi gli eventi: dalla serenità dell’escursione quotidiana al dramma dell’incidente esiste solo una sottile barriera. Il peso duraturo derivante da eventi traumatici occorsi nel contesto montano può avere conseguenze pesanti sulla salute mentale degli individui coinvolti. Oltre alle problematiche fisiche dovute all’incidente stesso, è possibile che si manifestino disturbi ansiosi, paure specifiche legate all’ambiente alpino ed addirittura sintomi riconducibili al Post-Traumatic Stress Disorder (PTSD). Questo stato continuo di paura persistente, l’evitare sistematico delle circostanze similari ed i ricordi intrusivi possono profondamente minacciare non soltanto la qualità della vita ma anche il ripristino delle normali attività quotidiane. L’accesso a supporto psicologico specializzato, in particolare per la gestione dei traumi, diventa fondamentale per il recupero.
Interventi psicologici: la gestione delle conseguenze psicologiche degli incidenti in montagna richiede competenze specialistiche nel campo della psicotraumatologia. Professionisti specializzati in terapia cognitivo-comportamentale, EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) e psicoterapia sensomotoria sono figure chiave nel trattamento di traumi psicologici complessi.
Affrontare il trauma e la paura: il ruolo della psicologia
Il processo terapeutico noto come EMDR rappresenta un intervento psicoterapeutico ben definito che fa uso della stimolazione bilaterale—solitamente attraverso movimenti oculari—per assistere il cervello nell’elaborazione adattiva dei ricordi distressing. Tale metodo risulta particolarmente valido nell’diminuzione dell’intensità emotiva legata agli eventi traumatici e nella mitigazione dei sintomi ad essi connessi.
Dall’altro lato della pratica terapeutica troviamo la psicoterapia sensomotoria, finalizzata a indagare le manifestazioni corporee del trauma; essa impiega strategie atte ad agevolare il riconoscimento delle emozioni corporee correlate ai ricordi difficili. Questa modalità d’intervento si rivela estremamente vantaggiosa soprattutto per coloro che hanno vissuto esperienze perturbanti dal punto di vista della loro stabilità fisica.
Oltre alla gestione del trauma immediato, emerge con forza l’importanza della psicologia nella prevenzione degli incidenti, mirata all’aumento della consapevolezza riguardo ai rischi esistenti nonché alla gestione delle paure associate al contesto montano. Le azioni intraprese da varie associazioni ed enti volti alla promozione di campagne preventive sono indispensabili per instaurare una cultura orientata verso la sicurezza e minimizzare così le possibilità di affrontare circostanze avverse. L’approccio definito «montagnaterapia» combina in modo innovativo l’esperienza immersiva nella montagna con trattamenti di riabilitazione e supporto psicoterapeutico. Questo metodo illustra chiaramente come la natura stessa, insieme all’esercizio fisico, possa rivelarsi determinante per migliorare il benessere mentale e facilitare il processo di guarigione da vari disturbi psicologici, tra cui i traumi.
La montagna, la mente e il cammino della consapevolezza
Attualmente assistiamo a una rappresentazione della montagna come simbolo non solo della sua imponente bellezza, ma anche della necessità imperativa di adottare un approccio attento e preparato nei suoi confronti. Le problematiche occorse in quest’ambiente non devono essere interpretate come meri eventi fortuiti; al contrario, si configurano come esiti di interazioni complesse tra variabili ambientali e umane. Di notevole rilevanza sono le nostre predisposizioni cognitive nel decidere quando affrontiamo situazioni rischiose.
Dal punto di vista della psicologia cognitiva elementare emerge l’esigenza di analizzare attentamente come il nostro apparato cerebrale tenda ad agilizzare le decisioni attraverso processi semplificatori. Tali strategie decisionali si fondano frequentemente su euristiche, ovvero scorciatoie mentali efficaci nella quotidianità, ma suscettibili d’indurre errori fatali secondo gli imbarazzi in situazioni perigliose come quella della montagna. L’abitudine a minimizzare i pericoli – specialmente quando alimentata da precedenti esperienze favorevoli o da una percezione errata delle proprie abilità – costituisce una forma comune di bias cognitivo da cui è fondamentale imparare a proteggersi. Esplorando il tema della psicologia comportamentale, risulta chiaro come le nostre azioni siano plasmate da esperienze passate e da quello che anticipiamo nel nostro futuro. Se abbiamo intrapreso con successo escursioni impegnative precedenti, potremmo sentirci attratti dall’idea di ripetere tali esperienze o addirittura cercarne delle più ardue senza l’adeguato grado di preparazione. Tale rinforzo positivo, purtroppo, ha il potenziale di portarci a sottovalutare segnali d’allerta o a minimizzare la necessità dell’equipaggiamento appropriato. D’altra parte, se non affrontata correttamente, la paura può dar vita all’evitamento e limitare notevolmente ciò che viviamo; tuttavia, una paura ragionata diventa un valore aggiunto capace di frenare slanci avventati, stimolando piuttosto atteggiamenti prudenti.
Prendendo spunto da questi ragionamenti cruciali, è utile interrogarci sulla reale consapevolezza dei meccanismi mentali che plasmano le nostre scelte in montagna. Siamo realmente capaci di riconoscere i nostri pregiudizi cognitivi? Prestiamo attenzione ai messaggi provenienti dal nostro corpo e dall’ambiente circostante? Le esperienze accumulate ci portano verso una maggiore cautela o invece favoriscono audaci incursioni? Un altro aspetto significativo è costituito dalla salute mentale: concepita non solamente come mancanza di disturbi, ma come uno stato ottimale di benessere psicologico che si collega profondamente alla nostra attitudine nell’affrontare ambienti complessi e affrontarne le relative sfide con resilienza. Gli incidenti in montagna ci ricordano la nostra vulnerabilità e ci spingono a considerare l’importanza della preparazione non solo fisica e tecnica, ma anche psicologica. Forse, il vero cammino della consapevolezza in montagna inizia dentro di noi, imparando a conoscere e rispettare i limiti della nostra mente tanto quanto quelli del nostro corpo.
Glossario:
- CNSAS: Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, ente che svolge attività di soccorso in montagna.
- CAI: Club Alpino Italiano, associazione che promuove la montagna e le attività alpinistiche.
- PTSD: Disturbo Post-Traumatico da Stress, condizione di salute mentale che può svilupparsi dopo esperienze traumatiche.


