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Udine: carcere sull’orlo, aggressioni e sovraffollamento al limite

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  • A Udine, 4 agenti penitenziari feriti in un'aggressione, la terza in poco più di un mese.
  • Sovraffollamento al 146,9% nel Friuli Venezia Giulia, secondo il Garante dei diritti.
  • Nel 2023, 77 suicidi in carcere, il dato più alto degli ultimi 20 anni.

All’interno della casa circondariale udinese si è consumato l’ennesimo sconcertante atto violento, che ha visto coinvolti quattro membri della polizia penitenziaria costretti alle cure ospedaliere dopo essere stati aggrediti durante un’ispezione di routine. Tale episodio rappresenta la terza violenza registrata nel giro appena superiore a un mese nelle medesime strutture carcerarie, evidenziando così un preoccupante aumento delle tensioni e problematiche legate alla gestione interna dei penitenziari in Italia. I responsabili dell’aggressione erano due detenuti e i risultati dell’evento hanno portato a complesse fratture agli arti superiori per ben due degli agenti colpiti, con prognosi oscillanti tra sei e ventuno giorni. Stando alle prime notizie disponibili riguardo ai colpevoli dell’incidente risulta che questi presentino profili altamente problematici: uno era stato recentemente trasferito da Treviso proprio a causa delle sue condotte aggressive in passato; l’altro si era reso partecipe nelle sommosse accadute nel carcere triestino. Questa circostanza apre rilevanti quesiti sulle modalità di gestire soggetti detenuti problematici e sull’allocazione degli stessi nel contesto del sistema penitenziario.

Le organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria hanno espresso forte preoccupazione e frustrazione per la situazione, denunciando una mancanza di risposte adeguate da parte delle istituzioni. Massimo Russo, delegato nazionale di un sindacato di settore, ha sottolineato come gli operatori stiano «continuando a pagare le conseguenze dell’attuale sistema carcerario», mentre il dibattito pubblico si concentrerebbe su temi diversi come l’installazione di ventilatori, frigoriferi e celle per l’affettività. Questa percezione di disinteresse verso la sicurezza e le condizioni di lavoro del personale penitenziario alimenta il malcontento e la possibilità di future azioni di protesta, come l’indizione dello stato di agitazione.

La frequenza e la gravità di questi episodi a Udine, così come in altre carceri italiane, pongono l’accento sulla necessità di un’azione immediata e concreta per affrontare le cause profonde di questa violenza. I dati forniti dal Garante dei diritti dei detenuti rivelano che al 30 giugno del 2024 si è verificato un sovraffollamento allarmante pari a 146,9% all’interno degli istituti penitenziari della regione friulana. Tale situazione genera uno scenario di detenzione in cui sia i reclusi sia gli operatori del sistema carcerario potrebbero subire le conseguenze negative delle attuali condizioni.[Garante regionale FVG] Il quadro attuale riguardante Udine si colloca all’interno di un panorama nazionale caratterizzato da un crescente fenomeno di aumento delle aggressioni, rivolte al personale penitenziario. Tali episodi non costituiscono fatti sporadici; piuttosto rappresentano una manifestazione tangibile di una tendenza più globale che compromette significativamente tanto la sicurezza degli agenti quanto l’efficacia operativa dell’intero sistema carcerario. Le aggressioni risultano essere frequentemente violente e portatrici di gravi ripercussioni fisiche oltre a ferite psicologiche profonde su coloro che ne fanno esperienza; esse attestano altresì uno stato generale di insoddisfazione diffusa, rivelando disfunzioni sistematiche radicate nel tessuto stesso della struttura.

Le rimostranze avanzate dai sindacati mettono in luce problematiche quali l’inadeguatezza numerica del personale disponibile sul campo; inoltre viene sottolineata l’assenza necessaria di strumenti difensivi come body-cam o armamenti non letali idonei alla protezione. Questo scenario porta a una sensazione collettiva molto marcata di senso d’abbandono, associato a uno stato progressivo di spossatezza. Si rileva infine come nell’ambito del rapporto 2023 stilato da Antigone vi sia stata una drammatica impennata nel numero dei suicidi fra i detenuti: ben settanta casi registrati quest’anno costituiscono il dato più elevato osservabile nell’arco degli ultimi vent’anni.[Antigone 2023] La carenza di organico, come quella riscontrata a Udine dove a fronte di 112 posti previsti operano solo 88 agenti, compromette la capacità di gestire in sicurezza le dinamiche interne e di intervenire efficacemente in situazioni di crisi.

Anno Suicidi Atti di autolesionismo per 100 detenuti Aggressioni al personale per 100 detenuti
2021 61 18,1 3,5
2022 70 19,0 4,0
2023 77 20,5 5,0

La presenza di detenuti con gravi problemi psichiatrici, spesso non adeguatamente trattati, rappresenta un ulteriore fattore di rischio e di complessità nella gestione quotidiana delle carceri. Il rilascio in altro istituto dei detenuti problematici, come dimostrato nel caso degli aggressori provenienti da Udine, ha la tendenza a dislocare il problema senza affrontarlo efficacemente, generando così ulteriori situazioni rischiose. Questo scenario finisce con l’impatto grave sul personale delle strutture che accolgono tali individui. Pertanto, la richiesta avanzata dal SAPPE insieme ad altri sindacati per un incremento del numero degli operatori nonché per l’assegnazione di mezzi non letali destinati alla protezione personale si configura come una necessità sia legittima che urgente. Tale intervento è essenziale al fine di garantire la sicurezza degli agenti e assicurare condizioni lavorative ottimali.

Il nodo cruciale della salute mentale nelle carceri

La ripetizione degli episodi di violenza all’interno delle carceri, esemplificata dagli eventi recenti occorsi a Udine, è indissolubilmente legata a una questione ben più vasta e sistemica: la salute mentale dei detenuti insieme alla scarsità di risorse nei servizi attuati per il loro supporto. Le statistiche in merito forniscono un’illustrazione preoccupante della situazione attuale: circa il 15% della popolazione detenuta nelle istituzioni penitenziarie italiane presenta disturbi psichici severi. Pertanto, considerato un totale superiore ai 62.000 reclusi, si stima che tra i 6.000 e i 9.000 soggetti siano affetti da condizioni psicopatologiche significative.[Sentichiparla]. Tali disturbi, che possono variare dalla depressione alla schizofrenia, dal disturbo bipolare ai disturbi dello sviluppo, sono spesso aggravati dalle condizioni di detenzione e dalla mancanza di cure adeguate.

Glossario:

  • OPG: Ospedali Psichiatrici Giudiziari, istituzioni per l’assistenza psichiatrica.
  • REMS: Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza, alternative agli OPG.

Il carcere, come sottolineato da alcuni esperti, è un ambiente intrinsecamente “patogeno” e tossico per la salute mentale. Il sovraffollamento, la mancanza di spazi vitali, la scarsa possibilità di svolgere attività riabilitative e la monotonia della vita detentiva contribuiscono ad esacerbare i disagi preesistenti e a generarne di nuovi. Questo problema è amplificato dalla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, che ha ridotto ulteriormente le opportunità di trattamento.

La gestione del detenuto con disagio psichico è diventata una delle sfide più complesse per il sistema penitenziario italiano, specialmente dopo la chiusura degli OPG. Sebbene le nuove REMS rappresentino un passo avanti rispetto ai vecchi manicomi criminali, la difficoltà nel trovare soluzioni adeguate per i detenuti capaci di intendere e volere ma con patologie psichiatriche gravi rimane un nodo irrisolto.

Tipo di Disturbo Percentuale di Detenuti
Depressione 25%
Disturbi d’ansia 20%
Schizofrenia 15%
Disturbo bipolare 10%
Altri disturbi 30%

Le Articolazioni per la Tutela della Salute Mentale (ATSM), sezioni dedicate alla gestione del disagio psichico acuto all’interno di alcuni istituti penitenziari, sono presenti solo in 17 carceri a livello nazionale e dispongono di un numero limitato di posti (meno di 300 in totale). L’organizzazione vigente appare strutturata secondo norme amministrative anziché sotto una precisa regolamentazione legislativa, suscitando pertanto dubbi riguardo alla sua efficienza e al rispetto delle prerogative individuali. Tra gli operatori del sistema penitenziario prevale l’opinione che le problematiche psichiatriche stiano vivendo un aumento costante ed esponenziale all’interno della comunità carceraria; tuttavia, sembra che gli strumenti disponibili per affrontare tali difficoltà risultino insufficienti e poco adeguati.

Questa realtà conduce a un impiego massivo di farmaci psicotropi, rivelandosi una strategia comune per affrontare il malessere mentale presente nelle strutture detentive. Le statistiche parlano chiaro: circa il 20% dei reclusi ricorre abitualmente all’assunzione di stabilizzatori dell’umore, antipsicotici o antidepressivi; nel contempo, ben il 40% si avvale di sedativi o ipnotici.[Antigone 2023]. Questo uso diffuso di psicofarmaci, spesso con finalità di “pacificazione” e “sedazione collettiva” piuttosto che strettamente terapeutiche, evidenzia l’incapacità del sistema di affrontare il problema alla radice. La carenza di personale medico e psicologico specializzato aggrava ulteriormente la situazione: a fronte di un’alta prevalenza di disturbi mentali, le ore di servizio degli psichiatri e degli psicologi ogni 100 detenuti sono ancora insufficienti. La salute mentale sembra essere particolarmente elevata tra le donne detenute, con una percentuale di diagnosi psichiatriche gravi e un utilizzo di psicofarmaci significativamente superiori rispetto ai detenuti maschi. Questi dati indicano che la strada verso carceri sempre più “psichiatrizzate” sembra purtroppo già intrapresa, con gravi ripercussioni sulle condizioni di vita dei detenuti e sulla sicurezza degli operatori penitenziari.

Cosa ne pensi?
  • Finalmente un articolo che mette in luce le criticità del sistema......
  • È inaccettabile che la polizia penitenziaria debba lavorare in queste condizioni......
  • E se invece di concentrarci solo sulla repressione ci concentrassimo sulla riabilitazione... 🤔...

Sovraffollamento e le sue drammatiche conseguenze

La questione delle aggressioni carcerarie e la salute psichica dei reclusi risultano indissolubilmente connesse a una significativa problematicità strutturale nel contesto del sistema penitenziario italiano: il sovraffollamento. Le evidenze statistiche forniscono un quadro preoccupante; infatti, al 30 giugno 2024 si registravano ben 61.480 detenuti nelle carceri italiane, rispetto a una capienza autorizzata di soli 51.196 posti disponibili.[Antigone 2023]. In sintesi, ciò implica che l’ammontare dei detenuti eccede di circa 10.000 posti la capienza disponibile all’interno degli istituti penitenziari. Si rileva un contesto particolarmente allarmante in determinate aree del paese; tra queste spicca la Campania, contraddistinta da un tasso di sovraffollamento pari al134,47%.[Garante FVG] La questione del sovraffollamento non si limita a una semplice statistica; essa comporta condizioni di vita estremamente precarie per i prigionieri e una significativa escalation delle tensioni nelle strutture penitenziarie. Le limitate dimensioni degli spazi abitativi, l’assenza di intimità personale, la scarsità delle opportunità per intraprendere percorsi educativi o occupazionali e un’insufficienza nei servizi fondamentali alimentano una realtà caratterizzata da elevata conflittualità e frustrazione crescente. In aggiunta a ciò, la percentuale dei suicidi tra gli individui incarcerati sta aumentando costantemente: le statistiche segnalano già 79 casi dall’inizio dell’anno 2024.[Lamagistratura].

Statistiche del Sovraffollamento:

  • Capacità carceraria attuale: 51.207 posti.
  • Detenuti attuali: 61.133, con un tasso di sovraffollamento del 119,38%.
  • Massima capienza registrata: 711 detenuti nel carcere di Udine a giugno 2024.

Le conseguenze del sovraffollamento sono molteplici e drammatiche. Innanzitutto, ha un impatto devastante sulla salute fisica e mentale dei detenuti. Le condizioni igienico-sanitarie precarie favoriscono la diffusione di malattie infettive, mentre lo stress e la mancanza di adeguate opportunità di supporto psicologico e psichiatrico peggiorano le condizioni di disagio e malattia preesistenti. Un terzo dei detenuti sarebbe affetto da patologie come depressione, disturbo affettivo bipolare, schizofrenia, demenza e disturbo dello sviluppo, con una prevalenza maggiore rispetto alla popolazione generale[Report Antigone 2023]. Il sovraffollamento non solo influisce negativamente sulla salute, ma si configura anche come un fattore cruciale nell’aumento delle aggressioni e della violenza nelle carceri. L’assenza di spazio adeguato combinata con una folla numerosa di individui sottoposti a forte stress crea una situazione propensa a conflitti tra detenuti e attacchi verso gli agenti penitenziari. Gestire tali condizioni in contesti affollati con risorse umane limitate presenta notevoli sfide sia pratiche che insidiose.

In ultima analisi, il sovraffollamento mina profondamente la possibilità reale per una riabilitazione efficace o reinserimento sociale dei detenuti stessi. In scenari dove la lotta quotidiana per la sopravvivenza distoglie l’attenzione dalla gestione costruttiva dell’ansia, si complica notevolmente l’attuazione di interventi terapeutici idonei ed eventuale formazione professionale. Il preoccupante numero di suicidi tra le mura detentive funge da drammatica testimonianza del grave disagio psicologico generato da queste condizioni imprigionanti.

Riflessioni sul sistema carcerario e la natura della violenza

La necessità di riflettere sul sistema penitenziario italiano emerge con forza dall’esame delle aggressioni all’interno degli istituti carcerari, dalla diffusione del disagio psichico tra i detenuti e dal problema incessante del sovraffollamento. Risulta chiaro che il modello attualmente in vigore mostra criticità strutturali, manifestandosi come un circolo vizioso di violenza e sofferenza che colpisce tanto gli individui privati della libertà quanto il personale incaricato della loro custodia. Come hanno evidenziato diversi esperti nel settore, la violenza all’interno dei penitenziari non può essere considerata isolata rispetto al suo contesto; essa rappresenta infatti un sintomo di un sistema in crisi.

In termini di psicologia cognitiva, le condizioni carcerarie caratterizzate da sovraffollamento e deprivazione tendono ad alterare i processi mentali dei detenuti. L’aderenza prolungata a situazioni ad alto stress e instabilità comportamentale provoca distorsioni cognitive quali l’ipervigilanza accompagnata da interpretazioni negative degli eventi circostanti. Numerosi fattori contribuiscono ad aumentare la predisposizione dei detenuti a manifestazioni impulsive e aggressive.

In questo scenario emerge con forza l’importanza della salute mentale, insieme alla sua medicina correlata, come aspetti cardine nella comprensione delle dinamiche che caratterizzano gli ambienti detentivi. La trascuratezza del malessere psichico tra i detenuti costituisce non solo una grave offesa ai diritti umani fondamentali, ma si traduce anche in un perpetuo ciclo di violenza e recidiva. È vitale incrementare l’offerta dei servizi dedicati alla salute mentale nelle strutture carcerarie; ciò implica garantire ai detenuti l’accesso a trattamenti terapeutici psicologici e psichiatrici adeguati ed elaborare percorsi su misura per chi vive problematiche legate al disagio psichico.

Osservando oltre i confini nazionali, è evidente come diverse nazioni abbiano adottato pratiche più innovative nella cura della salute mentale in carcere: è stata riconosciuta l’importanza dell’integrazione fra professionisti sanitari qualificati, programmi efficaci di riabilitazione e una particolare attenzione agli aspetti qualitativi della vita detentiva. Integrare tali esperienze nel contesto italiano potrebbe rivelarsi cruciale per risolvere le sfide odierne nel sistema penitenziario nazionale. La riflessione sulla natura della violenza in carcere ci invita a considerare che essa è spesso un grido di aiuto o una reazione a condizioni insopportabili, piuttosto che una pura espressione di malvagità.

Interventi: Necessità di Aggiornamento NormativoÈ cruciale riconoscere l’urgenza di nuove politiche e investimenti nel sistema penitenziario per garantire il rispetto dei diritti umani e la salute mentale dei detenuti. Un approccio tuttavia deve essere centrato sulla riabilitazione e reinserimento, evitando di alimentare il ciclo della violenza.


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