- 9 su 17 IPM italiani sono sovraffollati, tra cui Treviso, Milano, Cagliari.
- Nel maggio 2025, circa 600 giovani tra 14 e 24 anni sono detenuti.
- Aumento del 54% dei detenuti negli IPM dal 2022 al 2025 (da 381 a 611).
Il panorama attuale del sistema penitenziario dedicato ai minori in Italia evidenzia una sconcertante crisi, culminante in un sovraffollamento senza precedenti che ha toccato persino gli Istituti Penali per Minorenni (IPM) nelle sue varie sedi. Non si tratta di situazioni isolate; infatti, coinvolge ben 9 degli attuali 17 IPM presenti sul suolo nazionale. Tra le località maggiormente colpite figurano Treviso, Milano (Cesare Beccaria) e Cagliari (Quartucciu), dove il tasso di occupazione supera considerevolmente i limiti stabiliti dalla legge.
La crescita esponenziale della popolazione detenuta nelle strutture penali giovanili suscita profonda preoccupazione: stando alle rilevazioni più aggiornate al maggio del 2025, sono circa 600 ragazzi e giovani adulti tra i quattordici e i ventiquattro anni a essere attualmente incarcerati qui dentro. Si tratta dunque di una variazione notevole rispetto ai trend degli anni passati, segnata da un’accelerazione marcata alla conclusione del 2023. Un elemento chiave nella spiegazione dell’inaspettata escalation dei numeri risiede nell’applicabilità delle norme previste dal decreto Caivano emesso nel novembre dello stesso anno. Il recente provvedimento legislativo ha comportato modifiche significative alle normative esistenti; esso contempla non solo un inasprimento delle pene riservate ai minori responsabili di atti illeciti, ma anche una aumentata facilità nell’adozione di misure cautelari.
Un’analisi approfondita dei fenomeni attuali è fornita dal report “Senza respiro” redatto da Antigone. Quest’ultimo rivela che entro maggio del 2025 il numero dei detenuti nelle carceri italiane supera i 62.445 individui, evidenziando un tasso medio di occupazione pari al 133%. Anche le strutture dedicate alla detenzione minorile presentano uno scenario preoccupante: si registra infatti un drammatico incremento nel numero dei giovani reclusi che arriva fino a 611 unità*, il dato più alto mai documentato finora; questo rappresenta un aumento del 54% rispetto ai 381 casi rilevati alla fine del 2022, con la cifra che sale ulteriormente fino ai 601 minori* nel mese di aprile 2025. [Antigone]. Osservando le dinamiche riguardanti le presenze negli Istituti Penali Minorili (IPM), emerge un quadro significativo: a luglio del 2023 – ovvero prima dell’entrata in vigore del decreto Caivano – erano registrati ben 420 giovani detenuti. Un confronto con il termine del precedente anno mostra un numero nettamente inferiore: 381 individui imprigionati a fine dicembre del 2022. Un incremento vicino alle 180 unità, avvenuto nell’arco temporale appena citato, richiama l’attenzione sulla necessità impellente di rivedere le strategie relative al contrasto della criminalità giovanile e sui loro effetti sistemici nel panorama carcerario. È interessante notare che la stragrande maggioranza degli incarcerati sono ragazzi; solamente 30 ragazze risultano presenti all’interno delle strutture dedicate agli IPM. Una dimensione inquietante colpisce gli osservatori: quasi metà della popolazione dietro le sbarre è rappresentata da minori stranieri privi di accompagnamento legale; ciò evidenzia non solo la complessità intrinseca delle sfide sollevate, ma anche l’urgenza di approcci integrativi.
Una considerazione fondamentale deve essere rivolta alla fascia d’età dei reclusi presso gli IPM; attualmente si stima che oltre il 60% dei ragazzi reclusi siano sotto ai diciotto anni – cifra crescente rispetto al 56% rilevato nell’anno passato (2022). Tale andamento risulta influenzato anche dalla normativa stabilita dal decreto Caivano, conferendo così facoltà ai minorenni già maggiorenni di essere riassegnati a istituzioni carcerarie destinate agli adulti. Tale meccanismo potrebbe teoricamente giocare un ruolo significativo nella decongestione degli IPM, ma suscita inquietudine riguardo al futuro dei ragazzi coinvolti. Infatti, una volta raggiunta la maggiore età, questi individui si ritrovano immersi in contesti completamente differenti rispetto a quelli precedenti; ciò influisce negativamente su percorsi educativi strong> ed eventuali possibilità di riabilitazione sociale.
Un’analisi delle iniziative destinate al reinserimento rivela che il problema del sovraffollamento all’interno degli IPM ha ripercussioni tangibili sulle esperienze quotidiane dei minorenni detenuti così come sull’operato degli agenti penitenziari. I minimi spazi disponibili, l’insufficienza del personale addetto e le complessità nella pianificazione delle attività educative risultano problematiche costanti. In questo clima carico d’ansia, dove la precarietà regna sovrana, si verifica frequentemente una diffusione del malcontento; fenomeni quali proteste collettive o comportamenti autolesionistici diventano quindi assai comuni. L’inadeguatezza dell’ambiente circostante, unitamente alla mancanza di interventi mirati, ostacola seriamente la capacità dei giovani non solo nel superamento delle esperienze traumatiche passate, ma anche nello sviluppo attivo di un bagaglio competente necessario per concepire un’alternativa positiva alla strada della criminalità.

La questione del sovraffollamento negli IPM si interseca con la più ampia crisi del sistema penitenziario italiano, caratterizzato da un tasso medio di affollamento del 133%. Questo dato, aggiornato al 30 aprile 2025, vede 62.445 persone detenute a fronte di una capienza regolamentare di 51.280 posti. Se si considerano i posti non disponibili per inagibilità o ristrutturazioni (circa 4.500), il tasso effettivo di affollamento sale ulteriormente. Su 189 carceri italiane, solo 36 non sono sovraffollate, mentre 58 registrano un tasso pari o superiore al 150%. Questa situazione di emergenza negli istituti per adulti si riflette inevitabilmente anche sul circuito minorile, rendendo più difficile trovare soluzioni alternative alla detenzione e garantire percorsi adeguati ai giovani in carico ai servizi della giustizia minorile.
La rieducazione e il reinserimento sociale, principi cardine del sistema penitenziario, faticano a trovare piena attuazione in un contesto di sovraffollamento e carenza di risorse. I giovani detenuti trascorrono spesso lunghe ore in cella senza avere accesso ad attività formative, lavorative o ricreative significative. Questo “tempo vuoto” non solo non contribuisce a costruire un futuro diverso, ma può acuire il senso di isolamento, frustrazione e disperazione. La mancanza di opportunità e la difficoltà nel mantenere legami con il mondo esterno rendono ancora più arduo il reinserimento nella società una volta scontata la pena.
Abuso di psicofarmaci: un campanello d’allarme
Uno degli aspetti che desta maggiore allarme connesso al sovraffollamento nonché alle difficoltà vissute all’interno degli Istituti Penali Minorili (IPM) riguarda il crescente utilizzo di psicofarmaci fra i minori reclusi. Tale tendenza emerge chiaramente attraverso svariati rapporti ed indagini che pongono interrogativi pressanti sulla salute mentale dei ragazzi detenuti ed sull’efficacia delle terapie attuate nei diversi contesti penitenziari. Il costante aumento della prescrizione di sedativi, ipnotici, oltre che benzodiazepine e antipsicotici mette in luce un sottostante disagio psichico, prevalentemente esteso tra questa fascia della popolazione carceraria.
Le statistiche riguardanti gli investimenti destinati agli psicofarmaci presso gli IPM risultano piuttosto rivelatorie. Alcuni istituti hanno registrato balzi esorbitanti nei costi associati all’acquisto di queste sostanze medicinali: a Torino si segnala un incremento pari al 64% nel biennio dal 2022 al 2024; a Nisida vi è stata una crescita straordinaria del 352%, calcolata su base triennale; infine Pontremoli ha visto impennarsi le sue spese addirittura oltre il confine dell’1.000%. [Alley Oop]. Questi numeri, di per sé allarmanti, assumono una gravità ancora maggiore se confrontati con l’andamento della spesa per gli stessi farmaci negli istituti penitenziari per adulti, dove l’incremento nello stesso periodo è stato di gran lunga inferiore (circa l’1% tra il 2021 e il 2022 per gli antipsicotici in 5 IPM analizzati).
A Milano, presso l’IPM Cesare Beccaria, l’utilizzo di antipsicotici e benzodiazepine nel 2023 è stato 8,3 volte superiore rispetto a Bologna e 3,3 volte superiore rispetto a Firenze. Queste differenze regionali suggeriscono possibili variazioni nell’approccio terapeutico o nelle condizioni di disagio psicologico tra i diversi istituti. L’associazione Antigone segnala di essersi imbattuta in “intere sezioni di ragazzi addormentati in orari che dovrebbero essere dedicati ad attività scolastiche o di altro tipo”, un’immagine che evoca un uso dei farmaci finalizzato più alla sedazione e al “contenimento” che a un reale percorso terapeutico.
L’aumento del ricorso agli psicofarmaci negli IPM è un fenomeno complesso, che non può essere ridotto a una singola causa. Risulta credibile supporre che il sovraffollamento, l’insufficienza del personale qualificato (psichiatri, psicologi, educatori), l’assenza di programmi rieducativi mirati ed un’atmosfera caratterizzata dalla tensione e dalla violenza nelle istituzioni stesse possano contribuire a incrementare il malessere mentale dei ragazzi detenuti. Tanti giovani giungono nel sistema penitenziario portando con sé trascorsi segnati da gravi traumi,difficoltà legate a sostanze stupefacenti, nonché disturbi comportamentali o psichici non affrontati; tali problematiche tendono ad acutizzarsi notevolmente quando si trovano reclusi.
Il ricorso a farmaci psicoattivi durante gli anni giovanili – epoca decisiva per il progresso delle abilità cognitive e della condotta – suscita forti timori riguardo agli impatti futuri sulla salute mentale. Pur riconoscendo che talvolta è necessario somministrare medicamenti psichiatrici per contenere manifestazioni cliniche acute ed alleviare il dolore emotivo degli individui coinvolti nella vicenda penale, occorre enfatizzare come tale pratica debba essere parte integrante di una strategia terapeutica personalizzata. Questo processo deve necessariamente avvalersi della supervisione competente del personale medico specializzato ed essere affiancato da attività formative ed interventistiche nei settori sociale.
L’abuso o l’uso inappropriato di questi farmaci può avere conseguenze negative sullo sviluppo del cervello in crescita, sulla capacità di apprendimento, sulla regolazione emotiva e sulla costruzione di relazioni significative.
Il carcere si trova ad assorbire un disagio che nasce ben prima dell’ingresso nelle strutture detentive. La medicalizzazione del disagio giovanile, che sembra estendersi anche al di fuori delle mura carcerarie, è un tema che merita un’attenzione approfondita. Il fatto che molti adolescenti siano in cura con psicofarmaci, a volte anche senza prescrizione medica, e la difficoltà nel trovare posti in comunità terapeutiche specializzate (in particolare quelle a doppia diagnosi) evidenziano una fragilità diffusa nella popolazione giovanile e una carenza di risposte adeguate da parte dei servizi territoriali.

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Trasferimenti e reati più diffusi
Un altro aspetto critico emerso dal quadro attuale della giustizia minorile italiana riguarda la questione dei trasferimenti dei giovani detenuti, in particolare al compimento della maggiore età. Sebbene il decreto Caivano abbia introdotto la possibilità di trasferire i giovani adulti dagli IPM alle carceri per adulti, le modalità e la frequenza con cui ciò avviene sollevano non poche perplessità e preoccupazioni. L’associazione Antigone segnala che “sempre più accade che al compimento del diciottesimo anno di età i ragazzi vengano spediti in via punitiva al carcere per adulti”. Questa pratica, se non adeguatamente motivata e gestita, rischia di interrompere bruscamente percorsi rieducativi avviati e di rendere ancora più arduo il reinserimento sociale di questi giovani.
Nel corso del 2024, i trasferimenti di giovani dal circuito minorile a quello degli adulti sono stati 189, con un incremento dell’80% rispetto ai 105 trasferimenti registrati nel 2022. Questo dato evidenzia una tendenza crescente a spostare i giovani maggiorenni verso strutture per adulti, una scelta che, secondo alcuni, sarebbe dettata anche dalla necessità di gestire il sovraffollamento negli IPM o di affrontare situazioni problematiche in maniera più rigida. Questa strategia sembra rivelarsi inefficace nell’affrontare il fenomeno del sovraffollamento degli IPM; al contrario, solleva preoccupazioni riguardo al benessere e alla riabilitazione dei ragazzi coinvolti nei processi di trasferimento.
Le manifestazioni scatenate dall’aumento delle pratiche di spostamento fungono da campanello d’allarme per il malcontento fra i minori in custodia. Situazioni critiche come quelle registrate a Bologna—dove giovani ormai maggiorenni sono stati collocati all’interno della sezione per adulti nel carcere della Dozza—e quella occorsa a Genova nel penitenziario Marassi, dopo gravi atti di violenza su un diciottenne proveniente dal circuito giovanile, evidenziano le problematicità insite nella gestione degli adolescenti durante il loro transito verso istituzioni carcerarie destinate agli adulti. Nonostante l’affermazione del Sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari circa l’assenza d’indiscriminata applicazione delle misure restrittive—in quanto si fondano sull’analisi comportamentale individuale—a emergere dalle recenti informazioni relative ai movimenti forzosi ci sono chiari indizi circa decisionismi punitori o indirizzati verso necessità organizzative interne; questo lascia aperta una profonda riflessione sulla veridicità dell’applicazione veramente centrata sulle realizzazioni educative oltre che sugli interessi primari dei minori stessi. In concomitanza con l’analisi delle condizioni di detenzione, risulta fondamentale considerare anche la mutazione dei reati che conducono i giovani nei diversi Istituti Penali Minorili (IPM). Alla luce dei dati pertinenti al primo semestre del 2024, emerge chiaramente un incremento significativo nei reati correlati agli stupefacenti: si riportano infatti 122 episodi nel periodo in esame contro i 153 registrati durante l’intero anno 2022. Non meno preoccupante appare la tendenza al rialzo nelle lesioni personali volontarie, passate da 211 nel 2019 fino a toccare le 263 unità nel corrente anno. Inoltre, gli atti di violenza – comprendenti resistenza e oltraggio ai pubblici ufficiali – hanno subito una crescita dai già significativi 108 ai vertiginosi 178 casi analizzati nell’arco temporale indicato. Destano altresì seria inquietudine gli incrementi registrabili nei tentativi di omicidio (passando da _38_ fino ad arrivare a _76_) nonché nelle molestie sessuali (in crescita da _35_ sino alle attuali _49_). [Ragazzi Dentro]. L’analisi presentata mette in luce una trasformazione nei profili dei crimini perpetrati da minorenni e giovani adulti; emergono così nuovi trend caratterizzati dall’incrementata frequenza di atti violenti e attività illecite collegabili allo spaccio.
È fondamentale evidenziare come un individuo possa essere destinatario di interventi per molteplici infrazioni; pertanto il catalogo dei reati prevalentemente riscontrabili tra i ragazzi minori sotto la supervisione delle istituzioni giudiziarie comprende furti, rapine oltre a infrazioni associate all’uso illecito delle armi. Tuttavia è chiaro che lo studio sulla devianza giovanile non pare sufficiente a spiegare l’imponente crescita del numero di ingressi negli Istituti Penali Minorili (IPM). Infatti i dati forniti dal ministero dell’Interno mostrano una diminuzione del 4,15% nelle denunce riguardanti minori nel corso dell’anno 2023 rispetto all’anno precedente. Anche la diffusione delle bande giovanili appare statica se non addirittura decrescente. Tali risultanze apparentemente discordanti portano alla conclusione che l’aumento degli accessi agli IPM potrebbe essere interpretato come riflesso piuttosto di mutamenti nelle politiche mirate alla lotta contro il crimine giovanile e nell’applicazione delle normative restrittive—soprattutto quella relativa alla custodia cautelare—anziché indicativo di una reale escalation nella criminalità fra gli adolescenti. La questione inerente ai reati commessi dai minori è parte integrante di una riflessione più ampia riguardante il destino della giustizia minorile stessa; una riflessione che implica la necessità improrogabile di riformulare l’approccio verso quei giovani che si sono resi responsabili di atti illeciti. Pur riconoscendo come l’incremento delle sanzioni penali e il ricorso a misure preventive possano soddisfare richieste legate alla deterrenza e alla tutela della sicurezza pubblica, appare essenziale mantenere saldo il rispetto dei principi costituzionali orientati alle finalità rieducative, nonché al reinserimento sociale degli individui coinvolti. In questo contesto, la detenzione nei confronti dei minori deve costituire davvero un’extrema ratio, privilegiando alternative che includano percorsi formativi ad hoc e opportunità lavorative affiancate da supporto concreto per superare esperienze traumatiche, favorendo così la costruzione di prospettive future positive.
Verso una riforma del sistema: nuove strutture e percorsi alternativi
È evidente come la gravosa situazione degli IPM richieda un intervento radicale nella giustizia minorile, superando la semplice attivazione delle nuove prigioni per puntare su processi rieducativi concreti ed elevati standard di sostegno alle misure alternative rispetto al carcere. Il ministero della giustizia ha pianificato inaugurazioni imminenti presso i nuovi istituti ubicati a Rovigo, Lecce, e L’Aquila nel corso dell’anno in corso; parallelamente sono previsti lavori per il restyling delle strutture già attive. Pur essendo queste operazioni utili nel contenere momentaneamente l’emergenza dovuta al sovraffollamento, non possono considerarsi soluzioni esaurienti alle problematiche radicate nella rete penal-educativa.
Riaprire penitenziari può finire per consolidare un tipo di isolamento che è stato classificato come simile ai modelli applicabili agli adulti: spazi angusti, affollamenti insostenibili, mancanza totale di opportunità sia formative sia professionali. Pertanto è cruciale progettare questi nuovi impianti secondo parametri innovativi; ciò include aree spaziose, specialisti formati appositamente e una gestione rivolta prioritarimente all’integrazione sociale dei giovani coinvolti.
Aumentare il numero dei letti non è sufficiente se i ragazzi si ritrovano rinchiusi nella cella per lunghi periodi senza possibilità d’interazione significativa o accesso a supporti adeguati. In questo contesto si segnala l’importante annuncio dell’inaugurazione delle comunità ad alta intensità sanitaria, destinate ai giovani affetti da disturbi psichici grazie alla sinergia tra le regioni coinvolte. Il primo esempio operativo sorge a Casteggio, provincia di Pavia. Questa struttura offre assistenza qualificata ai minori affrontando sfide relative alla loro salute mentale mediante supporti specializzati. Se queste comunità ricevessero i finanziamenti necessari e una corretta distribuzione territoriale, diventerebbero potenzialmente delle valide alternative al carcere per questi adolescenti vulnerabili; così facendo si promuoverebbe un approccio terapeutico personalizzato all’interno di un contesto migliore per il loro recupero.
Nonostante ciò, i problemi sembrano amplificarsi: sia le istituzioni pubbliche sia quelle private faticano a rispondere alle richieste crescenti degli utenti. L’insufficienza dei posti disponibili, unitamente alle difficoltà nel trattamento dei soggetti con esigenze particolarmente complesse e all’uscita dal settore dei professionisti dedicati (inclusi educatori), pone interrogativi sulla stabilità della rete assistenziale attuale. È fondamentale potenziare la rete delle comunità, investire nella formazione e nel mantenimento del personale specializzato, e garantire una stretta collaborazione tra i servizi della giustizia minorile, i servizi sanitari territoriali e le comunità stesse.
La discussione sul futuro della giustizia minorile non può prescindere da un dibattito sulla necessità di superare l’idea di un sistema basato prevalentemente sulla repressione e sul “contenimento”. L’inasprimento delle pene e l’uso delle misure cautelari, se non accompagnati da un robusto investimento in percorsi rieducativi e alternative alla detenzione, rischiano di produrre l’effetto opposto a quello desiderato: giovani che escono dal carcere ancora più incattiviti, sofferenti a livello psichico e privi degli strumenti necessari per costruirsi un futuro diverso.
Molti esperti e operatori del settore sottolineano la necessità di un approccio centrato sulla persona, che tenga conto della fragilità dei giovani, dei traumi pregressi e delle problematiche psicologiche e comportamentali. L’analisi dei comportamenti devianti non deve mai cadere nella trappola della giustificazione dei reati; piuttosto è essenziale scoprire le origini profonde, così da fornire opportunità concrete ai giovani per affrontare il loro passato. Attraverso lo sviluppo delle necessarie competenze sociali ed emotive diventa cruciale instaurare nuovi legami relazionali. A tal fine potrebbe rivelarsi particolarmente efficace l’istituzione di piccole comunità dove i giovani possano ricevere supporto individualizzato insieme a una valutazione psicosociale appropriata; inoltre è importante che tali ambientazioni offrano esperienze formative o occupazionali pertinenti come valide alternative a situazioni carcerarie caratterizzate da affollamento.
La questione dell’impiego indiscriminato degli psicofarmaci all’interno delle strutture penali per minori rivela ulteriormente questo bisogno urgente di interventi riformatori. La prescrizione degli stessi dovrebbe avvenire solo nei contesti realmente indispensabili mediante l’elaborazione preventiva di un programma terapeutico personalizzato; dunque va evitata ogni possibilità che divengano strumenti utilizzati per l’soppressione. È imperativo assicurarsi della disponibilità continua del personale medico specializzato—composto da psichiatri avanzati ed esperti neuropsichiatri infantili—sia negli Istituti Penali Minorili (IPM) sia nelle suddette comunità assistenziali. Contestualmente è necessario favorire strategie integrate che superino l’approccio farmacologico riduzionista proponendo anche interventi educativi, terapeutici e socializzanti sul territorio. La situazione critica del sistema giovanile giudiziario rappresenta il manifesto di una condizione sociale ben più complessa e diffusa. Essa evidenzia una fragilità sempre maggiore tra le nuove generazioni, accompagnata dall’assenza preoccupante delle necessarie reti sociali e familiari a sostegno dei giovani. Inoltre, l’incapacità sistematica nel rispondere adeguatamente alle problematiche legate alla salute mentale contribuisce a creare un quadro allarmante. È fondamentale che ci sia uno sforzo coordinato tra istituzioni pubbliche, attori della società civile ed esperti nel settore della giustizia minorile e psichiatrica per investire in modo significativo sul futuro non soltanto degli individui coinvolti, ma anche su quello dell’intera collettività sociale nella sua globalità.
Oltre le sbarre: una riflessione sulla salute mentale e la riabilitazione nei giovani
L’analisi della condizione attuale negli istituti penali minorili rivela sfide significative come l’ aumento del sovraffollamento accompagnato dall’intensificato ricorso a psicofarmaci. Questi fenomeni richiedono una profonda meditazione che supera le sole implicazioni repressive del carcere. Siamo di fronte a problematiche che intrecciano discipline cruciali quali la psicologia cognitiva, la psicologia comportamentale, la traumatologia e le questioni riguardanti la salute mentale durante il periodo evolutivo. Per cogliere appieno queste dinamiche è essenziale uno studio accurato sui meccanismi coinvolti nello sviluppo giovanile, soprattutto in ambienti segnati da alta intensità stressante e dalla carenza di opportunità.
Dal punto di vista della psicologia cognitiva, il contesto carcerario, con i suoi elementi monotoni e una stimolazione sensoriale limitata, colpisce profondamente gli aspetti funzionali dell’esecuzione mentale nei giovani reclusi. L’assenza di input intellettuali diversificati, combinata alla routine opprimente, può frenare l’acquisizione delle competenze cognitive utili per strutturare piani d’azione validi, condurre ragionamenti strategici efficaci ed adattarsi ad ambientazioni intricate. Tale situazione può rendere ardua per i giovani reclusi la possibilità stessa di concepire un avvenire differente che si collochi al di fuori delle dinamiche criminose.
L’analisi fornita dalla psicologia comportamentale offre spunti preziosi circa il modo in cui l’ambiente penitenziario possa consolidare specifiche condotte disfunzionali. In tale ambiente percepito come ostile e privo d’alternativa, meccanismi quali violenza, aggressività ed estraniazione sociale possono essere adottati come mezzi per affrontarne le sfide quotidiane. La scarsità d’esempi positivi da imitare, insieme alla mancanza d’opportunità per sviluppare competenze sociali, contribuisce all’incessante ripetersi del comportamento deviante. Qualora l’assunzione degli psicofarmaci non venga affiancata da misure comportamentali appropriate, rischia quindi solo d’intorpidire i sintomi senza penetrare nel nucleo delle problematiche originarie; ciò ostacola così il percorso evolutivo dei ragazzi nel formarsi strumenti adeguati per una gestione sana delle emozioni.
Il problema relativo ai traumi assume un’importanza cruciale nell’interpretazione della sofferenza vissuta dai giovani reclusi. Un numero considerevole degli individui che entrano in carcere porta con sé una serie complessa di esperienze traumatiche pregresse, incluse situazioni come abusi fisici o psicologici, negligenza da parte delle figure genitoriali principali, esposizione a contesti segnati dalla criminalità organizzata o da forme varie di violenza assistita. Tali eventi traumatici tendono ad avere effetti perduranti sulla salute mentale, sull’efficienza cognitiva così come sulle capacità emotive individuali. All’interno delle mura detentive, questi stessi traumi rischiano non solo di riemergere ma anche d’intensificarsi ulteriormente; ciò contribuisce ad accrescere la probabilità manifestativa verso disturbi d’ansia generalizzata ed episodi depressivi fino al PTSD e comportamenti autolesionistici oppure aggressivi nei confronti degli altri. Pertanto, l’impiego della farmacologia psicologica deve inserirsi in una visione terapeutica complessa – integrando necessariamente strategie mirate al trattamento specifico del trauma stesso.
All’interno degli IPM, la condizione della salute mentale dei giovani detenuti emerge quale fattore determinante nel quadro generale del loro benessere globale. La crescente incidenza di disturbi legati all’umore come ansia e depressione si correla direttamente a un utilizzo sempre più ampio degli psicofarmaci; questo fatto rivela con chiarezza quanto sia necessario implementare soluzioni efficaci sui servizi psico-sanitari offerti all’interno delle strutture carcerarie.
L’intervento professionale da parte dei psichiatri, psicologi e neuropsichiatri infantili riveste un’importanza cruciale per garantire che i giovani detenuti ricevano adeguato sostegno. La loro esperienza nel dominio della giustizia minorile insieme alle conoscenze in traumatologia rappresenta una risorsa indispensabile.
Un elemento fondante all’interno del quadro psicologico applicato risiede nel principio del rinforzo positivo. Nel delicato ambiente carcerario – frequentemente caratterizzato da misure punitive – l’implementazione strategica dei rinforzi positivi correlati a condotte favorevoli può risultare vantaggiosa nell’aiutare questi ragazzi a sviluppare nuove competenze ed eventualmente alterare modelli comportamentali nocivi. Tale approccio si traduce concretamente nella realizzazione di meccanismi incentivanti che si fondano su traguardi formativi o occupazionali oppure sull’impegno attivo verso itinerari rieducativi.
Un aspetto più sofisticato emerso dalla psicologia cognitiva riguarda la questione della plasticità cerebrale, soprattutto durante le fasi dell’età evolutiva. In questo periodo cruciale dello sviluppo umano, il cervello giovane mantiene una spiccata plasticità: ciò implica che esso ha la predisposizione ad adattarsi, modificando strutture interne attraverso interazioni con fattori esterni. Questo significa che, anche in contesti difficili come quello carcerario, esistono potenzialità di cambiamento e di riabilitazione. Tuttavia, per sfruttare al meglio questa plasticità, è necessario offrire ai giovani detenuti un ambiente ricco di stimoli positivi, opportunità di apprendimento e relazioni significative, che favoriscano lo sviluppo di nuove competenze cognitive, emotive e sociali.
Questa situazione ci invita a riflettere sul vero significato della riabilitazione e del reinserimento sociale. Non si tratta semplicemente di “neutralizzare” i giovani autori di reato attraverso la detenzione e l’uso di farmaci, ma di investire nel loro potenziale di cambiamento, offrendo loro gli strumenti e il supporto necessari per costruirsi un futuro diverso. La creazione di piccole comunità, in cui i giovani possono ricevere un supporto individualizzato, elaborare i traumi, sviluppare nuove abilità e ricostruire le relazioni sociali, rappresenta un passo fondamentale in questa direzione. Il costo di un approccio punitivo e repressivo non si misura solo in termini economici, ma soprattutto in vite sprecate e in un potenziale umano non realizzato.
Glossario:
- IPM: Istituti Penali per Minorenni, strutture penitenziarie dedicate ai giovani autori di reato.
- Decreto Caivano: Provvedimento normativo introdotto nel novembre 2023 con l’obiettivo di contrastare il disagio giovanile, ma criticato per le sue ricadute sulla giustizia minorile.
- DSA: Disturbi Specifici dell’Apprendimento, un insieme di disturbi che influenzano la capacità di apprendere e utilizzare le competenze attese in ambito scolastico.